PlanetK
Ovvero, i kurdi non hanno uno stato e si prendono un pianeta. Anzi, lo creano, mettendoci dentro suggestioni, idee, emozioni. E chiedendo a quanti lo visiteranno di contribuire alla sua definizione Planet Kurdistan è questo: una sorta di laboratorio permanente che per i cinque mesi della Biennale si modificherà e interagirà con visitatori e cittadini.
Un progetto artistico e politico molto ambizioso. Che è partito dalla visita di Leyla Zana, ex parlamentare kurda incarcerata per dieci anni per aver parlato di pace, con il sindaco Massimo Cacciari ma che strada facendo ha affascinato, coinvolgendole, persone come Emiliano Gandolfi, architetto e co-curatore del Padiglione Italia alla scorsa Biennale architettura, il regista kurdo iraniano Bahman Ghobadi, giornalisti e grafici, il collettivo Exyzt (che stava al padiglione francese della scorsa Biennale architettura), gli architetti di Stalker (che lavorano con i rom).
Non esiste come entità politica indipendente, sebbene la sua creazione
fosse stata prevista nel 1920 dal trattato di Sévrese. E, in
seguito, nel 1923 - quando il trattato di Losanna ne spartì il
territorio ricco di petrolio tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq
trasformando i Curdi in minoranza - i Curdi, all’epoca erano 25
milioni, oggi sono 40 milioni e lottano ancora per loro l’unità
nazionale.
Dove non è ancora riuscita la diplomazia cerca, ambiziosamente, di arrivare la cultura.