Mettendo assieme i ricordi di infanzia nella Pinsk polacca occupata dall’Armata Rossa nel 1939, le descrizioni e le interviste raccolte nel “continente sovietico” a partire dal primo viaggio attraverso la Siberia nel 1958 sino all’epilogo finale dell’Urss nel 1993, tra Mosca e San Pietroburgo, Kapuscinski descrive la vita e la lenta dissoluzione di un impero coloniale al cui interno hanno convissuto molteplici culture e popoli.

Imperium: la lenta dissoluzione dell’URSS

17 / 5 / 2013

IMPERIUM: LA LENTA DISSOLUZIONE DELL’URSS

NEL RACCONTO DI RYSZARD KAPUSCINSKI

Imperium sta per Impero Sovietico secondo la descrizione che ne fa Ryszard Kapuscinski. Mettendo assieme i ricordi di infanzia nella Pinsk polacca occupata dall’Armata Rossa nel 1939, le descrizioni e  le interviste raccolte nel “continente sovietico” a partire dal primo viaggio attraverso la Siberia nel 1958 sino all’epilogo finale dell’Urss nel 1993, tra Mosca e San Pietroburgo, Kapuscinski descrive la vita e la lenta dissoluzione di un impero coloniale al cui interno hanno convissuto molteplici culture e popoli. Ed è viaggiando, soprattutto, nelle colonie dell’Urss – la Siberia, le Repubbliche caucasiche del sud dell’impero, i granai agricoli ucraini e bieolorussi – che Kapuscinski ci fornisce, in un arco di tempo molto lungo, che abbraccia l’affermazione delle potere stalinista, il difficile processo di destalinizzazione, la burocratizzazione brezneviana e la dissoluzione progressiva delle strutture politiche e sociali dell’Urss, un affresco dell’universo sovietico profondo, originale, ricco di informazioni minute di vita e sofferenza quotidiana. Mettendone a nudo il fallimento delle speranze nate dalla rivoluzione del 1917, presto sommerse sotto il pugno di ferro dello stalinismo. Il peso del controllo sociale repressivo, la sofferenza e la rassegnazione delle popolazioni, il terrore del sistema dei gulag, il grigiore e la stupida determinazione del burocratismo accompagnano tutto il viaggio di Kapuscinski nelle repubbliche sovietiche.

“Imperium” venne pubblicato, ancora parziale, come raccolta di un ciclo di reportage in venti puntate tra l’agosto del 1992 e il gennaio 1993 su “Gazeta Swiarwczna”, supplemento del sabato del quotidiano polacco “Gazeta Wyborcza” di Varsavia. Solo successivamente sempre nel 1993, ampliato, uscì l’omonimo libro in Polonia. In Italia venne pubblicato l’anno successivo da Feltrinelli e ora si può trovare anche nel volume dei Millenni Mondadori dedicato all’opera omnia dell’autore.

Il libro si apre con alcuni ricordi d’infanzia di Kapuscinski quando l’Armata Rossa invase la parte di Polonia in cui viveva con la famiglia, successivamente assorbita nella Bielorussia sovietica. Sono ricordi di guerra visti con gli occhi di un ragazzino: l’impatto forte con la morte, con la fame, con la paura delle deportazioni subito messe in atto dai sovietici nei confronti di parti consistenti della popolazione polacca assoggettata all’Urss. Le immagini più forti di questi ricordi sono:

-                il costante clima di tensione vissuto dalle famiglie polacche di essere prelevate brutalmente di notte, caricate in convogli freddi e spediti a migliaia di chilometri di distanza a vivere un’altra esistenza in una terra del tutto sconosciuta. Tutti, genitori e figli, dormivano vestiti in quei momenti con la valigia pronta a fianco del letto;

-                la fame tremenda patita da tutti e la capacità dei ragazzini, sotto il freddo invernale, la neve e il ghiaccio, di trovare il modo per “sfangarsela”, arrivando persino ad acquistare, dopo una lunga e dolorosa coda notturna davanti a un negozio, scatole di dolciumi vuote ma ancora “ricche” di grumi zuccherati sufficienti a gratificarli;

-                la capacità dei ragazzini di trovare spazi di gioco in ogni situazione. La cieca propaganda sovietica attraverso l’azione degli uomini dell’Nkvd impose da subito nelle scuole che ai ragazzi fossero distribuiti i distintivi con le effigi di Stalin – distintivo più grande – e dei nove capi del momento – Andreev, Vorosilov, Zdanov, Kaganovic, Kalinin, Mikojan, Molotov e Chruscev. Dovevano essere attaccati sulla parte sinistra del petto ma la distribuzione non era uniforme e con terrore dei maestri, timorosi delle ritorsioni possibili dell’Nkvd, a non tutti i ragazzi venne distribuita la serie completa. Alcuni possedevano Zdanov ma non Mikojan, o due effigi di Molotov e nessuna di Kaganovic, ecc. Incuranti della propaganda e dell’assurdità burocratica dell’ordine impartito, i ragazzi si organizzavano trasformando l’ordine in un gioco di scambio di distintivi. Racconta Kapuscinsky che lo scambio fu da subito impostato sull’importanza data dai ragazzi a questa o quell’effige, come quella di Vorosilov che siccome portava la divisa, sapeva di guerra e, quindi, era più importante di un capo in borghese.

Dopo questo intermezzo il libro si immerge nel continente sovietico descrivendo situazioni e paesaggi, riportando racconti di vita quotidiana e interviste con gente comune. Nel primo viaggio lungo la transiberiana nel 1958, Kapuscinski descrive l’ingresso in Urss dalla Cina e il viaggio all’incontrario dalla periferia verso il centro dell’Impero. Da un lato la magnificenza della natura siberiana, i grandi spazi bianchi e la potenza delle forze naturali e dall’altro l’impatto con un mondo di reticolati a dividere l’impero dal mondo esterno ma anche all’interno di esso, a dividere territori da altri territori, a proibire passaggi, luoghi e città dalla libera circolazione delle persone. Scrive Kapuscinski:


“Reticolati. Sono la prima cosa che si nota. Spuntano fuori dalla neve, innalzandovisi sopra a linee, a mucchi, a siepi. Aggrovigliati nelle posizioni più bislacche, in nodi, in matasse, in architetture che uniscono tra loro cielo e terra, i reticolati spuntano da ogni lembo di campo gelato, in mezzo al paesaggio candido e sullo sfondo dell’orizzonte glaciale.”

Nel 1967 Kapuscinski descrive il suo primo viaggio a sud dell’impero, nelle repubbliche meridionali dell’Urss: Georgia, Armenia, Arzerbajdzaon, Trukmenistan, Tadzikistan, Kirghizistan e Usbekistan. Territori a maggioranza mussulmana, con importanti enclave cristiane come gli armeni sopravvissuti al genocidio turco. Territori dove la maggioranza della popolazione è di lingua turca – nell’impero, ci informa Kapuscinski, le popolazioni di ceppo linguistico turco non erano affatto una minoranza. In quelle terre che puntano verso l’Asia percorre luoghi con un lungo passato storico, descrive città come Samarcanda o Erevan dove ancora sopravvivono tradizioni antiche, abitudini e modi di vita risalenti alle popolazioni nomadi del passato. Molto belle le pagine dedicate agli armeni; in particolare alla tradizione della riscrittura dei testi praticata sino dall’antichità che ha consentito all’umanità di godere oggi di una vasta biblioteca di testi antichi, soprattutto religiosi, sparsi in varie parti del mondo, compresa Venezia.  Altrettanto belle le pagine dedicate alla cultura nomade delle popolazioni del deserto caucasico che molto prima della collettivizzazione sovietica ripartivano tra tutti le risorse idriche e che furono piegati alle regole del kolkhoz non avendo affatto bisogno di essere educati alla cooperazione forzata.

Kapuscinski tornerà in queste terre tra il 1989 e il 1991, descrivendone il dramma dei conflitti nazionalistici e gli effetti della devastazione dell’ambiente e del tessuto sociale perpetrata per decenni dal cieco burocratismo e dal brutale terrore militare del potere sovietico. Immerso nella brutalità della guerra interetnica Kapuscinski riflette sul portato dell’homo sovieticus, prodotto del progetto del potere di lavare delle proprie identità le diverse popolazioni “colonizzate”: il vuoto totale di una società civile inesistente ora in balia dei virus nazionalistici, interetnici e dei fondamentalismi religiosi.

Il racconto degli anni ’89-’91 riporta Kapuscinski in Siberia a visitare la Kolima e il lascito terribile del sistema segregativo e di annientamento dei gulag. Lo fa attraverso il ricordo dei sopravissuti all’orrore e al massacro dei gulag, accompagnandolo con la descrizione della distruzione della natura perpetrato nel nome del progresso. Questa parte del racconto è un pugno nello stomaco. In particolare i racconti delle nefandezze perpetrate dagli aguzzini: guardie comuni e comandanti,  come Garanin comandante del gulag della Kolima nella seconda metà degli anni ’50, che uccide indifferentemente prigionieri, guardie e sottoposti nel pieno arbitrio conferitogli dal sistema del terrore messo in piedi da Berija:

“Garanin uccideva una, dieci, talvolta anche varie decine di persone al giorno. Nel massacrarle rideva o cantava allegre canzonette popolari […]”

sino a quando per ragioni del tutto sconosciute Berija lo fece fucilare, sostituendolo con un altro aguzzino altrettanto spietato. Garanin e quanti come lui prestatisi a questo compito orrendo, racconta Kapuscinski, somiglia a Foma Opiskin, il torturatore, mostro e tiranno, piccola creatura di provincia creato da Dostoevsky nel racconto “Il villaggio di Stepancikovo e i suoi abitanti”, che infierisce senza motivo sulle sue vittime al solo scopo di soddisfare il bisogno di accanirsi, seviziare, infliggere dolore.

Un racconto forte e struggente quello della Kolima così come le testimonianze della poco conosciuta Guerra della Grande Fame perpetrata da Stalin contro i contadini ucraini negli anni 1930-1933 che fece dieci milioni di morti secondo il parere di demografi e storici attuali. La collettivizzazione forzata dell’Ucraina e le deportazioni per distruggere il sistema delle piccole proprietà kulaki provocò un vero massacro per denutrizione, soprattutto di uomini e bambini, sacche di cannibalismo e sofferenze indicibili. Il lungo racconto di quanto avvenuto nel reportage di Kapuscinski non lascia indifferente il lettore.

Fra le tante storie raccolte in questo libro spicca anche la distruzione o meglio il tentativo cieco di piegare la natura, il territorio alle esigenze della pianificazione economica sovietica. Il capitolo “Asia Centrale, l’annientamento di un mare” descrive come la cieca collettivizzazione abbia prosciugato il fiumi Syr Darja e Amu Darja e, conseguentemente, il mare d’Aral.

Mentre la gran parte dell’Asia centrale si contraddistingue per “[…] deserti, brune distese di pietra sbriciolata, fuoco dal cielo, tempeste di sabbia […]” il mondo bagnato da questi due fiumi era ben diverso. “Lungo i due fiumi” racconta Kapuscinski “si stendevano campi coltivati e ricchi frutteti: noci, fichi, palme, melograni a non finire. Grande era il piacere di serdere all’ombra del proprio giardino, sotto una veranda ben ventilata a godersi la pace e il fresco della sera”. Grazie all’acqua di questi fiumi e al mare d’Aral prosperarono le città di Bukara, Chiva, Kokand e Samarcanda da cui passavano le carovane cariche di mercanzie lungo la Via della Seta. Negli anni 60, in due decenni, per imporre una intensiva produzione di cotone su quel territorio si è prodotto un disastro ambientale incredibile, desertificando fiumi, mare e terra. Chruscev e Breznev ne furono gli ideatori e i funzionari statali gli autori materiali. Nel 1993, ravvedutesi, le autorità imperiali, di un impero in disfacimento, hanno cominciato a pensare come rimediare al danno con progetti purtroppo incredibili e irrealizzabili come quello di dirigere il corso dei grandi fiumi siberiani da nord a sud per far rivivere questo paradiso terrestre. Solo che per deviarne il corso si dovrebbe scavare un canale di duemilacinquecento chilometri con conseguenze ambientali devastanti tanto quanto quelle già prodotte.

Kapuscinski ha viaggiato molto, soprattutto in quello che un tempo si chiamava Terzo Mondo, assistendo al violento processo di decolonizzazione dell’Africa e alla dissoluzione di regimi dittattoriali come quello del Negus in Etiopia e del Pascià Reza Pahlavi in Siria, poi divenuta Iran. Ha conosciuto l’orrore della guerra, il sapore della prepotenza e dell’oppressione, la sofferenza dei deboli e degli oppressi, gli effetti delle torture, delle deportazioni, della fame e delle privazioni. Nello scrivere Imperium ci ha messo, a mio parere, qualcosa in più perché anche lui è stato parte, per la quasi totalità della sua esistenza, di quei popoli, assemblati insieme in una entità che prometteva libertà e diritti universali ma che ha concesso solo repressione e sofferenze ancora difficili da rimarginare.

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Bibliografia

Ryszard Kapuscinski

“Imperium”

Edizione Feltrinelli

Si possono leggere tutte le sue opere nel volume “Opere” dei Meridiani Mondadori

16 maggio 2013

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