Dov'è nascosto il teatro politico in Italia?

Il teatro di narrazione

Dal giullare all'attore-narratore, il filo rosso del teatro di denuncia

Utente: Serena
22 / 10 / 2009

In un periodo di crisi globale, come quello che attualmente l'Italia attraversa, è di fondamentale importanza interrogarsi sulle modalità con cui la parola teatrale può mantenere un rapporto vivo e diretto con la "cultura", intesa in senso antropologico, in cui nasce.

Il rapporto fra pubblico e teatro ha attraversato nel corso dei secoli alti e bassi notevoli. Ci sono momenti nella storia del teatro in cui le parole della scena rispecchiano perfettamente i desideri e i conflitti vissuti da chi è seduto in sala.

La maggior parte del teatro che oggi calca i palcoscenici italiani, non riesce più ad intessere un comune immaginario con gli spettatori e, cosa ancor più grave, ha perso di conseguenza la capacità di attrarli a sé.

Individuare i meccanismi che hanno portato a questa situazione di "crisi culturale" risulta piuttosto semplice ed immediato.

Da una parte troviamo la politica economica che regolamenta l'organizzazione dello spettacolo dal vivo in Italia, che è disastrosa e soprattutto tendente al peggioramento, agevolando soltanto grossi enti e teatri stabili e di conseguenza creando un panorama artistico piatto e omologato.

Dall'altra il linguaggio teatrale sembra essere affaticato dalla rincorsa verso altre forma espressive, nel disperato tentativo di poter competere con altri media, quando in realtà è di una riforma interna che avrebbe bisogno.

Solo partendo da ciò che è il teatro, dai suoi codici e dalle sue peculiarità, è possibile un rinnovamento reale che riavvicini quei due indispensabili elementi senza i quali non esisterebbe lo spettacolo: attore e spettatore.

Proprio in questo ambito di ricerca artistica si inserisce una particolare e ancora poco approfondita modalità di pensare e scrivere il teatro che è il teatro di narrazione.

Queste modalità di scrittura e messa in scena teatrali, oltre a  rinnovare artisticamente un certo tipo di teatro "impegnato", che in Italia affonda le sue origini nel teatro civile e in autori come Pier Paolo Pasolini e Dario Fo, denuncia in maniera diretta e convinta i perversi meccanismi del "Bel Paese".

La tecnica scenica del teatro di narrazione ritorna ai primordiali elementi del teatro, già citati prima, eliminando nettamente tutto quello che non è efficace e utile alla comunicazione, individuando in essa lo scopo primo dell'arte teatrale (B. Brecht).

L'attore diventa, in questo tipo di teatro, un operatore culturale, ed è necessario ch'egli abbia coscienza di questo passaggio, perché in qualche modo diventa un ESSERE PUBBLICO.

Se la comunicazione è il principale scopo del teatro, allora il tipo di linguaggio dev'essere immediato e il processo artistico deve tendere a far arrivare il messaggio in maniera non equivoca.

Questo non vuol dire negare allo spettacolo lo statuto di opera d'arte, piuttosto caricarlo di una forte valenza di utilità sociale.

Per far ciò, il teatro di narrazione elimina il personaggio, l'attore in scena interpreta un racconto, ritorna al cantastorie, quel giullare girovago, che stabiliva col suo pubblico una comunicazione franca e diretta, raccontandogli parodie e satire sul potere vigente.

I cosiddetti "fronzoli" dell'evento spettacolare, tanto cari a numerose tradizioni teatrali a partire dal teatro barocco in poi, scompaiono, e al loro posto trovano spazio elementi che possono in qualche modo coadiuvare la comunicazione del messaggio (o dei messaggi).

Fanno la loro comparsa supporti e materiali audiovisivi, le proiezioni di foto e video, musica anche amplificata, ecc..., tutto non più con funzione scenografica o estetica, ma piuttosto esplicativa, "palesatrice".

Fra le varie pièce di questo filone teatrale, alcune fra le più significative sono "Lampedusa Beach" di Lina Prosa, tutta la produzione di Ascanio Celestini e "Genova 2001" del più giovane Fausto Paravidino.

Naturalmente in Italia questo tipo di teatro si fa strada per diverse ragioni. Da una parte perché facile da far girare anche nei teatri cosiddetti "ufficiali", dati i bassi costi per l'allestimento scenico, dall'altra per la necessità e l'urgenza di trovare efficaci alternative all'interno di un panorama artistico, misero e appiattito, improntato su sterili modelli pre-confezionati prodotti in maniera quasi seriale dalle fabbriche della cultura.

In conclusione, il teatro civile che, partendo dalla tradizione del monologo, approda alla forma espressiva del teatro di narrazione, risulta uno dei migliori ri-attivatori della parola teatrale, che si dimostra ancora capace di denunciare le contraddizioni della società, urlando la sua rabbia degna dritta in faccia al potere.