66a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica - Tra premi Pro life e i racconti di Sherazade

Il mio premio "pro life"

Utente: mari
9 / 9 / 2009

Quest'anno sbarca alla mostra del cinema di Venezia il premio “pro life”. Il titolo ricorda lo spot di un multivitaminico o quello di una bevanda al gusto di agrumi per atleti e sportivi. Pro life ricorda anche la pubblicità dello shampoo antiforfora, protagonista di Metropia, film d'animazione svedese che ha aperto la XXIV Settimana della Critica di quest'anno. Uno shampoo che trasforma i capelli di chi lo usa in efficaci antenne da cui è possibile ascoltare i pensieri. Ascoltare? Interagire e manipolare piuttosto, come in un grottesco spot pubblicitario, un enorme telequiz con voto da casa,  nella immaginifca Stoccolma ideata da Tarik Saleh.

E proprio quest'anno compare, e non è un incubo,  nè un film di animazione, né tantomeno un multivitaminico, il premio “per la vita”, da assegnarsi ad una pellicola presentata alla Mostra del Cinema.

Premio promosso e organizzato dal Movimento per la vita. Anche qui, come per lo shampoo di Saleh, l'opera di mistificazione continua, a livello comunicativo: “Pro life” è prodotto vincente. Lo è per definizione, “per la vita” appunto. Ma anche qui ci si prende gioco delle parole e si gioca con i loro significati. Il gioco è condotto da chi sulle scelte di vita di altri in nome di ben altre vite (ultraterrene) vorrebbe interferire, interagire, e quelle stesse scelte a volte condannare. Pro life, temo, intenda manipolare il termine “vita” ma di questa vita occuparsi e interrogarsi poco, soprattutto in termini di qualità. Di libertà. E di scelta.

Ma visto che di premi e di film stiamo parlando...: ecco "il mio premio pro life". 

Al festival del cinema di Venezia è stato presentato il film egiziano “Scheherazade, raccontami una storia” (Ehky ya Scheherazad) del regista  Yousry Nasrallah, attrice protagonista la bellissima Mona Zaki, stella del cinema arabo.

Se ne è parlato poco. Film fuori concorso che mette in scena il vissuto e il narrato di alcune donne egiziane invitate in una trasmissione televisiva condotta da una bella, combattiva ed accattivante giornalista., al secondo matrimonio, sposata con un giornalista politicante altrettanto bello, molto virile e decisamente meno combattivo.

In scena (nel film e nella trasmissione televisiva) le donne, appartenenti a classi sociali diverse, anzi i loro racconti. Donne con e senza velo, che fanno sesso e vogliono amare. Si sposano. Oppure no e vengono dichiarate “pazze” come in una tragicomica novella pirandelliana. Donne che ricorrono all'aborto, clandestinamente, spiegando che non vogliono un figlio che “possa diventare come lui”, l'uomo che le ha umiliate e ricattate. Donne che possono essere ripudiate, ingannate, picchiate, minacciate. Che devono essere difese, accompagnate, consigliate, seguite. Donne che hanno studiato, che hanno una posizione sociale, un lavoro, una carriera ma che che devono fare i conti con una società fortemente maschilista, misogina in termini culturali e quotidiani. Donne che si ribellano. Con ogni mezzo necessario. Che scelgono e pagano, a volte duramente, le proprio scelte. Nei loro gesti, violenti o silenziosi, difficili o simbolici, la rabbia e la certezza che niente sarà più come prima.

Come in un gioco di scatole cinesi, in Egitto, la stampa tradizionalista ha criticato ferocemente il film attaccando la vita privata  dell’attrice che ha commentato: “è stato troppo dura, essere giudicata più nel mio rapporto personale con mio marito che sul mio lavoro:  mi ha scioccato, anche se sapevo che sarei stata attaccata: mi sono trovata contro tutta  la cultura tradizionale egiziana”. La storia reale dell'attrice protagonista e l'attacco reale della stampa tradizionalista egiziana potrebbe essere una delle storie raccontate nel set televisivo della protagonista del film. La realtà supera, come spesso accade, la rappresentazione, la messa in scena.

La midlle class egiziana si racconta, quindi.
E come nelle mille e una notte: Sherazade racconta una storia per salvarsi. Ad ascoltare non c'è più il re persiano Shāhrīyār (che ha deciso di uccidere tutte le sue mogli per vendicarsi di un tradimento)  ma un pubblico di donne che quei racconti sente e condivide. Ne condivide soprattutto il finale: gli applausi nello studio televisivo (e non il re persiano)  salvano la vita e la scelta di vivere di tutte le Sherazade.

Maria Fiano