Il debito studentesco: tra bolle speculative e forme di resistenza

Intervista al sociologo Andrew Ross a cura di S.a.L.E. Docks

29 / 10 / 2014

Domenica 26 ottobre il giardino liberato di Ca' Bembo è stato la cornice di un interessante incontro con Andrew Ross, sociologo e docente presso la New York University, e alcuni studenti del corso di Arti Visive dello IUAV del laboratorio tenuto da Rene Gabri e Ayreen Anastas. Tra gli argomenti trattati molti sono i temi affrontati da Andrew Ross nei suoi libri, in particolar modo nell'ultima pubblicazione Creditocracy and the case of Debt Refusal (2014), e nelle sue azioni all'interno del movimento Occupy Wall Street, Occupy Student Debt Campain e Gulf Labor. Primo fra tutti il tema del debito, con particolare attenzione a quella che viene definita la bolla universitaria. Il debito studentesco negli Stati Uniti ma non solo, collegato alle altissime rette delle università sia private che pubbliche, schiaccia gli studenti mentre ancora frequentano l'università e li vincola per tutta la vita. E’ importante, infatti, sottolineare come la gran parte dei debiti che vengono contratti negli anni universitari non siano effettivamente estinguibili nonostante molti studenti comincino a lavorare già da subito in modo da accumularne il meno possibile, e questo per volontà degli stessi creditori. La dinamica creditore-debitore diventa una forma di controllo sociale. Agli studenti non resta più tempo “libero”. Non c’è tempo per pensare, per confrontarsi con gli altri o per mobilitarsi collettivamente. L’individuo sempre più chiuso in se stesso non riesce ad elaborare un proprio pensiero critico che gli permetta di analizzare la complessità in cui e' immerso, diventando così un cittadino passivo. Il soggetto inadempiente diventa debole e  facilmente ricattabile e questo accade allo stesso modo allo Stato. In un contesto in cui il debito pubblico assoggetta sempre di più i governi alle banche, le “fail democracy” non possono più garantire servizi e protezione ai proprio cittadini, ai quali non resta altro che organizzarsi e disobbedire.

 

Come studenti dell’Università di Ca’ Foscari abbiamo assistito al progressivo adattamento dell’università al modello universitario americano. Prima con la repentina applicazione del decreto Gelmini, poi con la creazione di veri e propri campus e la sempre più frequente proposta di prestiti universitari a fronte di un continuo aumento delle tasse. Tutto questo nonostante l’evidente crisi di tale sistema. Per questo motivo ci chiediamo come sia possibile voler ricreare in Italia questo tipo di meccanismo, quando a livello internazionale si parla dei debiti studenteschi come della prossima bolla speculativa.

In molti paesi il modello americano del finanziamento del debito studentesco universitario si sta espandendo e sia i politici sia i creditori premono affinchè questo accada.Oltre ad essere particolarmente redditizi, infatti, i debiti studenteschi sono garantiti dallo Stato. Cosa che invece non accade con i mutui o i debiti legati al sistema sanitario.                          

In Inghilterra, ad esempio, le tasse universitarie hanno fatto un enorme salto arrivando a 10.000 sterline all’anno, mentre prima erano quasi nulle. Anche in Sud America hanno provato a privatizzare il sistema universitario. Il punto è resistere. Esistono molti movimenti significativi di opposizione, come dimostrano il movimento studentesco in Quebec e in Cile. Sono esempi di alto profilo e successo tanto da impedire allo Stato di procedere con la privatizzazione.

 

In uno scenario di crisi economica si tende a mettere sempre più in evidenza il prestito universitario come una prospettiva favorevole per gli studenti In contrasto ad un costante aumento delle tasse d'iscrizione all’Università. Possiamo interpretare tutto questo come la volontà di creare un nuovo mercato basato su un maggiore sfruttamento economico dei giovani e un maggior controllo sulla loro carriera universitaria e sulle loro scelte di vita?

Così è come funziona l’ideologia. Devi creare il bisogno su cui basare la relazione economica prima di cominciare effettivamente a sfruttarla. E’ ironico come questa spinta verso l’educazione universitaria abbia luogo in un periodo segnato da un altissimo livello di disoccupazione. In Italia è ormai al 45%. Ci sono sempre meno posti di lavoro, ma allo stesso tempo ai giovani viene detto che l’unico modo per avere una vita dignitosa è quello di avere una laurea. E’ una delle tante contraddizioni del sistema. Ma è sempre importante continuare ad opporsi. Ci sono Paesi che hanno rifiutato questo sistema. La Germania, ad esempio, ha annunciato di recente che tutte le università resteranno gratuite e questo è accaduto anche in Cile e in Scozia dove, a differenza dell’Inghilterra, il governo continua a sostenere l’accesso gratuito all’università. Questi sono Paesi che non necessariamente hanno o hanno avuto un forte movimento studentesco come invece è accaduto l’Italia, dove il movimento civile è stato molto forte durante il periodo dell’Onda.

 Negli ultimi anni le condizioni lavorative sono cambiate, si è assistito ad un’istituzionalizzazione sempre maggiore del lavoro precario. Come dicevi anche tu durante l’incontro, siamo passati dalla lotta per il salario del XIX e XX secolo ad una lotta al debito, che diventa così il possibile elemento di contatto per tanti individui diversi. Le discussioni riguardo lavoro e riguardo determinati aspetti del lavoro non possono più rifarsi a modi e categorie ormai anacronistiche. Basandoti sulle esperienze fatte all’interno del movimento di Occupy Wall Street, in un contesto in cui è sempre più difficile ritrovare un “nemico” o una situazione comune intorno a cui riunirsi, quali possono essere le nuove forme di lotta ed i nuovi campi di mobilitazione possibili?

Questa è proprio una bella domanda. Il fatto che sia difficile, non significa però che non possa accadere. E’ stato molto difficile per i lavoratori organizzarsi durante gli anni dello sviluppo industriale. Nessuna legge era a loro favore  e ogni forma di organizzazione era illegale. Va ricordato che tutte le proteste non solo erano illegali, ma venivano brutalmente represse e molte persone morirono durante il loro svolgimento. Non è stato facile, ma fa parte del movimento operaio. L’attuale panorama del mondo del lavoro non solo è  precario, ma fortemente disorganizzato, in particolar modo per ragioni politiche.  Nello stesso tempo siamo anche debitori. Puoi rinegoziare un prestito con il tuo creditore se lo fai in maniera collettiva. E proprio per questo motivo bisogna agire così.

La prima campagna a cui ho partecipato è stata “Occupy Student Debt Campaign”. Volevamo che un milione di studenti indebitati firmassero un impegno per dire che avrebbero rifiutato i loro debiti nel momento in cui fossimo riusciti a raccogliere un milione di firme. Questo accadeva tre anni fa. Non fu una grande campagna. Era troppo presto, non era il momento giusto e venne sabotata dalle industrie finanziarie. La cosa interessante, però, è che nel corso di quell’anno un milione di studenti furono inadempienti, ma lo fecero individualmente e per questo non ebbero nessun effetto. Se quel milione di debitori si fosse mosso collettivamente, come era appunto il nostro obiettivo, allora avrebbe avuto un potente impatto politico. Lo scopo principale è trovare gruppi di persone disposte a farsi avanti e intraprendere azioni collettive.                

Abbiamo appena dato vita all’Unione dei debitori e abbiamo trovato un gruppo di studenti che si sono dimostrati perfetti per compiere azioni di resistenza al debito. Stiamo provando ad aiutarli ad organizzarsi e speriamo che presto siano in grado di agire. Abbiamo, inoltre, comprato il loro debito di 4 mln per estinguerlo. Questo potrebbe essere un modello, un prototipo di un tipo di Unione dei debitori.  Gli studenti universitari indebitati sono i più propensi a seguire i propri interessi collettivi e hanno più voglia di mobilitarsi, più degli insolventi nel settore sanitario o edilizio. Penso che questo derivi da una questione morale. L’educazione dovrebbe essere un bene comune, un diritto e quello che è successo in Paesi come gli Stati Uniti e che sta accadendo anche negli altri è che il diritto all’istruzione è stato rimpiazzato dal diritto ad avere un prestito per l’istruzione. Questa è la storia degli ultimi 40/50 anni. Io penso che le persone sappiano che l’educazione è un bene sociale primario e all'interno delle società che vogliono competere nell’economia del sapere è un loro interesse che l’istruzione sia gratuita per tutti. Mantenere l'educazione gratuita non è una scelta economicamente insostenibile. Secondo una nostra stima servirebbero 15 miliardi di dollari.

All'interno della mostra collettiva Open#6 di S.a.L.E Docks che si è tenuta l'anno scorso, uno dei progetti riguardava la figura del mediatore culturale e di come questa sia solo un esempio di come l'università, attraverso stage e tirocini obbligatori, sia diventata un bacino di manodopera a basso costo da cui imprese e grandi eventi come Expo e Biennale possono prendere gli studenti e utilizzarli secondo le proprie necessità. Queste esperienze, spesso frustranti, mancano di quell'aspetto formativo che tanto viene sbandierato dalle istituzioni stesse. In questo modo si crea un sistema  in cui tutti vengono spinti alla competizione e risulta spesso difficile risvegliare le coscienze degli studenti e far capire loro che un sistema che afferma che lavorare gratuitamente è possibile e si deve fare è malato. Esiste un meccanismo simile, uno sfruttamento legato al free jobs,  anche negli Stati Uniti?

Si, esiste ed è addirittura peggiore in quanto nel sistema universitario americano gli studenti si indebitano per fare dei tirocini attraverso il pagamento dei college credit.  Quando poi terminano l'università ed entrano nel mondo del lavoro continuano ad indebitarsi perchè la maggior parte dei tirocini non vengono retribuiti. C’è molta domanda in un simile mercato del lavoro, c’è molta competizione. Ma ci sono anche gruppi che si sono fatti avanti compiendo delle iniziative che hanno avuto successo. Esistono alcuni esempi di cause legali di alto profilo, soprattutto nelle industrie d'intrattenimento, in cui gli stagisti hanno fatto causa alle aziende. Tra gli esempi che mi vengono in mente un paio riguardano casi di sfruttamento all'interno di un set cinematografico oppure all'interno di una rivista di moda. Questi sono riusciti ad avere successo seguendo vie legali. Altre volte si è tentato di convertire i tirocini non pagati in altri retribuiti. Il settore delle organizzazioni non-profit è un altro caso di sfruttamento di lavoratori volontari, specialmente quando intervengono partner politici. Si tende ad indicare i posti in cui questo accade, per metterli in cattiva luce. Il governo ufficialmente deve prendere nota di queste segnalazioni e richieste perchè molti di questi tirocini sono illegali. C'è molta confusione su quali siano i compiti ed i doveri di uno stagista, nonostante esistano delle leggi a riguardo.             

All'interno di questo meccanismo nemmeno l'università offre delle prospettive migliori in quanto  vedono lo stage come qualcosa di economico, non dovendo occuparsi degli studenti durante questo periodo. In questo modo non investono sull’aspetto formativo, delegandolo alle aziende e risparmiano. Molti college non ritengono di dover pagare i tirocinanti ma in alcuni casi gli studenti riescono a ricevere dei benefici. Questi, però, possono scegliere se fare uno stage. Sono pochi i programmi in cui è obbligatorio. Tra i miei studenti, però, tutti hanno fatto almeno un tirocinio per poter avere più possibilità lavorative