"I decreti Minniti-Orlando: cosa succede quando la percezione supera la realtà" a Sherwood 2017

9 / 6 / 2017

Il primo appuntamento con i dibattiti dello Sherwood Festival 2017 è iniziato con una discussione attorno ai cosiddetti "decreti Minniti-Orlando". Ad introdurre è stato Daniele Romano, del collettivo universitario SPAM, che ha spiegato come come l’ambiente studentesco sia spesso stato oggetto di sperimentazione di dispositivi securitari che, attraverso la standardizzazione di un concetto di “decoro”, tendono ad omogeneizzare dall’alto stili di vita e comportamenti. Per “decreti Minniti-Orlando” si intendono i due decreti (diventati leggi all’inizio del mese di aprile), riguardanti le “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” (che portano la firma dei due Ministri) e le “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” (firmate dal solo Ministro dell’Interno). Entrambi  si basano sulla sicurezza come percezione e non come condizione materiale. In questa narrazione, facile preda dei populismi, l’erosione del comune e dei diritti dei migranti risulta rinvigorita, estendendo la devianza sociale.

Paolo Graziano, docente ordinario di Scienze Politiche all’Università di Padova, ha introdotto il tema della “costruzione della verità”, evidenziando uno scollamento tra dati di fatto ed elementi che attengono alla sfera della percezione e della narrazione, sia mediatica che politica. Lo storytelling risulta, così, come la nuova cifra stilistica della politica, al cui interno emerge sempre di più una semplificazione e stigmatizzazione di ciò che viene raccontato, a cui si lega una mistificazione dei fatti e dei soggetti “discriminati”. È questo il terreno politico nel quale emergono i cosiddetti populismi. Uno studio condotto proprio da alcuni docenti dell’Università di Padova ha rilevato come nel semestre pre-elettorale si sia assistito ad una vera e propria biforcazione: da un lato è cresciuta la narrazione mediatica dei reati, dall’altro questi sono diminuiti nella loro cifra complessiva (dati ISTAT). La costruzione di leggi segue questa nuova tendenza ed i due decreti in questione ne sono una prova lampante. In tale contesto, la “contro-narrazione” dovrebbe avere proprio la funzione di interrompere questa catena e offrire la possibilità di ricostruire un senso critico rispetto alle narrazioni dominanti. Tutte le pratiche acquistano forza solo se non si limitano alla mera denuncia, ma si pongono come obiettivo quello di mutare l’attuale schema.

Paolo Giacon, attivista del Collettivo SPAM e studente al Master di Criminologia Critica e Sicurezza Sociale a Padova, ha provato a tracciare i principali assi di pensiero all’interno dei quali le due leggi sono state concepite. In primo luogo, esiste un diretto richiamo al concetto del “diritto penale del nemico”: pensiero elaborato dal noto penalista tedesco Günther Jakobs, secondo il quale esiste una sfera giuridica parallela ritagliata su misura per quei soggetti che, di volta in volta, vengono identificati come nemici all'interno di una data società. In secondo luogo, si porta a compimento l’idea neo- liberale di  annientare lo spazio pubblico in vista della privatizzazione. Il PD si manifesta come il soggetto politico che, per primo e con più forza, ha introdotto nel nostro ordinamento legislativo questi due concetti. In questo senso, si comprendono meglio le contestazioni di cui sono stati oggetto alcuni dei suoi esponenti nel corso della manifestazione “Insieme senza muri”, organizzata lo scorso 20 maggio a Milano dalla stessa giunta Sala. Lo striscione “PD - peggior destra” sintetizza al meglio lo status politico acquisito dal partito nel corso degli ultimi anni.

Stefano Ferro, di Padova Accoglie, ha illustrato alcune iniziative inclusive sul tema dell’accoglienza, che si stanno determinando nel contesto padovano, e non solo. Progetti nati da un desiderio comune di rispondere all’assenza totale di un programma centrale attraverso cui costruire vere politiche di integrazione. Il decreto Minniti-Orlando rende ancora più acute queste carenze governative, codificando una produzione dall’alto di “clandestinità” ed un sistema di giustizia sommaria per i migranti. L’eliminazione del secondo grado d’appello per i procedimenti di richiesta di protezione internazionale, potrebbe portare un’alta percentuale di richiedenti asilo ad essere immediatamente rimpatriati, sottraendo migliaia di persone a progetti reali di cooperazione ed imprenditoria sociale. Questo provvedimento «accetta dalla A alla Z la logica dell’emergenza e si afferma come uno dei più xenofobi mai prodotti da uno Stato europeo».

«Il decreto Minniti-Orlando si inserisce in un quadro europeo che parte da lontano e che ha accomunato negli anni governi di ogni schieramento politico», sostiene Stefano Bleggi, del progetto Melting Pot Europa. In Italia un cambiamento evidente della gestione del fenomeno migratorio è stato tracciato dalla circolare Gabrielli-Minniti del 30 dicembre 2016, che inaugura una vera e propria «caccia spietata ai migranti irregolari». Molti giuristi hanno sostenuto che il Decreto-legge del 17 febbraio 2017, n. 13 (conosciuto appunto come Minniti-Orlando) non è in linea con la Costituzione italiana, né con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo. In particolare violerebbe l’articolo 111 della Costituzione (il diritto a un giusto processo), l’articolo 24 (il diritto di difesa) e l’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti umani (diritto al contraddittorio).

Tra gli altri elementi fortemente criticati c’è l’ art.6, che segna uno stravolgimento radicale della figura degli operatori sociali, facendoli diventare dei pubblici ufficiali al servizio della procedura e rendendo di fatto «un ruolo caratterizzato da imparzialità ed indipendenza, simile a quello di un poliziotto». Inoltre, si dà alle prefetture il potere di costringere i richiedenti asilo a svolgere lavori socialmente utili, sdoganando forme di lavoro gratuito (come già successo a EXPO 2015). Uno degli altri punti di rilievo è il tentativo di regolamentare gli Hot spot, centri che fin dalla loro apertura nel sud Italia, sono stati utilizzati non solo per la prima accoglienza e l’identificazione dei migranti soccorsi in mare, ma anche come luoghi di concentrazione di chi veniva rintracciato sul territorio italiano. La nuova legge – già entrata in vigore sul punto – prevede che in questi centri possano essere condotti tutti gli stranieri irregolari sul suolo nazionale, al fine di essere sottoposti a rilievi foto-dattiloscopici (in tal modo viene legittimata la deportazione interna dalle zone di frontiera o dalle stazioni “di snodo”). Va tenuto anche conto di un dato economico legato all’entrata a pieno regime della norma, che sottrae 19 milioni di euro all’accoglienza in favore dei rimpatri. Al tempo stesso, la riapertura dei CIE, rinominati “CPR” (Centri permanenti per il rimpatrio), raffigura un altro tassello dell’ideologia securitaria volta a “umanizzare” il  modello fallimentare della detenzione e del rimpatrio forzato dei migranti irregolari. Tutte queste considerazioni tecniche e politiche ci dicono, intrecciando lo sguardo con il decreto sul “decoro urbano”, che la logica dell’emergenza sta modificando l’architettura dello stato di diritto, attuando una sfera giuridica differenziale che sottrae sempre di più gli spazi di libertà individuale e collettiva.

Immagine di copertina: "No One Is Illegal @Milano 20.05.17" di Melania Pavan (Sherwood Foto)