CSC Centro Stabile di Cultura

Giornata mondiale del rifugiato

Reading di Silvia Roncaglia, Saba Anglana in concerto, stand gastronomico e altro

20 / 6 / 2009

CSC Centro Stabile di Cultura
S.Vito di Leguzzano (VI), via Leogra, Strada Provinciale 46 al km 21
www.centrostabile.it  [email protected]


Giornata mondiale del rifugiato
comunicato stampa:
Il 20 giugno, come ogni anno, ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato. Sono milioni le persone che nel mondo, sono costrette a lasciare le propria casa, radici e cultura per cercare protezione altrove. Le politiche economiche, lo sfruttamento, il saccheggio delle risorse e i disastri ambientali, le guerre e la violazione dei diritti umani, il disequilibrio nell’accesso al mercato del lavoro sono fra le cause che spingono ad abbandonare il proprio Paese.

L’Italia attualmente ospita circa 38 mila rifugiati, risultando il paese europeo con il minor numero (la Germania ne ha 600 mila, la Francia 150 mila e la Gran Bretagna 300 mila).

Nel 2008 hanno chiesto asilo in Italia 31.097 persone, circa la metà ha ottenuto il riconoscimento di una protezione (solo il 15 per cento è entrato dalla frontiera di Lampedusa). I maggiori Paesi di provenienza sono Somalia, Nigeria, Iraq, Afganistan, Eritrea, Costa d’Avorio.

Non solo numeri, real people, real needs è lo slogan che l´UNHCR (agenzia ONU per i rifugiati) lancia richiamando l´attenzione ai diritti fondamentali.

Respingimenti, clandestino, Lampedusa, sicurezza, le parole usate per "informarci" e disegnare lo sfondo sul quale far crescere razzismo e xenofobia.

Accoglienza, conoscenza, tutela, rispetto sono le parole che dovrebbero riguardare "persone vere, veri bisogni”

Accogliere è un dovere
Essere accolti è un diritto.

Aderiamo alla campagna IO NON RESPINGO promossa da Fortress Europe


PROGRAMMA
Sabato 20 giugno 2009 - Parco del Grumo (Santorso) – Festival Ingrumà
- ore 16.30 “Ma che razza di razza è?” di Silvia Roncaglia.. Lettura per bambini/e e adulti a cura di Massimo Cavallini

- ore 21.00 Concerto di Saba Anglana, italo etiope nata a Mogadiscio presenterà il suo lavoro “Jidka”. Suoneranno con lei Cheikh Fall, Tatè Nsongan, Martino Roberts.

Funzionerà uno stand gastronomico in collaborazione con l’associazione “Il filò dei colori”

Giovedì 25 giugno 2009 – Santorso –Sala Conferenze Museo Archeologico

- ore 20.30 Presentazione dello SPRAR, del Progetto territoriale OASI e della campagna “Non aver paura. Apriti agli altri, apriti ai diritti”

Venerdì 03 luglio 2009 – Schio –( anfiteatro Toaldi Capra – Schio )
- ore 21.30 Proiezione del film “L’ospite inatteso” serata di apertura della rassegna estiva organizzata dal Cineforum Altovicentino di Schio.

Gli eventi rientrano nella rassegna Diritti d’Autore che fa parte del progetto “Per non perdere la tenerezza”, realizzato, con il contributo della Regione Veneto, dalle associazioni Il mondo nella città, Centro Stabile di Cultura, Cineforum Altovicentino, Associazione Atoz, Circolo Arci di Torrebelvicino, Comune di Santorso e la rete dei Comuni aderenti al progetto Oasi.
www.ingruma.org

sabato 20 giugno ore 21.00
Parco del Grumo (Santorso) – Festival Ingrumà
SABA ANGLANA, italo etiope nata a Mogadiscio presenterà il suo lavoro “ Jidka “.
Saba, italo-etiope nata in Somalia, nel raccontare la sua musica di naturale mescolanza, parte proprio dalla linea che attraversa realmente il suo ventre dividendolo in due porzioni, una più chiara ed una più scura. Una musica che da Mogadiscio abbraccia il Corno d’Africa ed oltre, fino a risuonare di ritmi r’n b e atmosfere pop, unendo a chitarre acustiche e kora, ritmi della tradizione africana e suoni percussivi contemporanei.

Presenterà il suo lavoro “Jidka” che in somalo significa letteralmente “la strada”, “la linea” prodotto da Fabio Barovero membro fondatore dei Mau Mau.
Cheikh Fall, senegalese al kora e al djembè; è un giovane e talentuoso musicista, maestro di percussioni che suona anche nell’Orchestra di Piazza Caricamento di Genova.
Tatè Nsongan, dal Camerun, alla chitarra ed al djembè, componente storico dei Mau Mau è autore di molti lavori incentrati sullo scambio culturale.
Martino Roberts al basso; raffinato musicista per metà italiano e per metà americano, lavora a Parigi, vincitore della medaglia d’oro alla Scuola Internazionale di Musica di Montreuil.

JIDKA, la lineadi Igiaba Scego

intervista tratta da World Music n.87 novembre/dicembre 2007

In una poesia Gloria Anzaldùa, la grande intellettuale chiana, scrisse: “per sopravvivere ai confini/ devi vivere sin fronteras/ essere un crocevia”. Parole del passato di Gloria che si applicano al presente di Saba Anglana. Lei che crocevia lo è da una vita. Padre italiano ex-ufficiale dell’esercito, madre etiope nata e cresciuta in somalia.
Saba è un intreccio vivente di storie, destini, umori che riguardano da vicino la memoria italiana.
“fin da piccola non mi sono preoccupata della mia identità. Ero sempre altro. Per i somali ero etiope, per gli etiopi somala, per gli italiani qualcosa di non chiaro, di non scuro. Ho imparato presto che nessuno ti dà la petente del tuo sé. Che in fondo non serve una patente d’identità”. Saba oggi canta e lo fa in somalo. “Molti mi chiedevano perché non cantavo nella mia lingua natia. Anch’io me lo chiedevo. Però erano anni in cui ero legata musicalmente a un universo in lingua inglese: r&b, Erykah Badu, Sam Cooke. Immaginario black intimamente connesso all’aAfrica, ma non ero totalmente Africa. Poi Fabio Barovero, anima dei Mau Mau e produttore del mio album, mi ha iniziata al mondo della world music. Ho approfondito le mie conoscenze e mi sono resa conto che avevo un bacino da cui attingere e che questo bacino cominciava dalla mia pancia”.

Di pancia infatti parla il brano “Jidka”, che dà il titolo al primo album da solista di Saba pubblicato da World Music Network: “C’è una linea che mi attraversa. In somalo si dice jidka, che significa anche strada. La linea divide e unisce la parte scura e quella chiara. È l’incontro d’amore tra i miei genitori, è la pace”. Pace che nella Somalia di Saba non c’è da 17 anni, la guerra civile ha devastato questo paese che era considerato la gemma profumata del Corno. Pace che però il canto recupera. “Mi sono accorta che quando canto in somalo la mia voce è più libera, non si preoccupa più del significato delle parole, segue il suono, l’emozione. In italiano sono più rigida. Le parole somale ivece mi aiutano a seguire un flusso, molte sono onomatopeiche. Per esempio nel brano “Hanfarkaan” il vento è connesso alla parola. Dici hanfar, vento, elo senti…. un sibilo, soffia nelle orecchie”.

Una lingua di nomadi il somalo, essenziale, che descrive. Saba nel percorso descrive i suoi vari sé: “ è una lingua contaminata la mia. C’è dentro tutto. L’italiano perché la Somalia è stata una ex colonia e il passaggio ha lasciato traccia, ma c’è anche l’inglese, l’arabo e soprattutto c’è l’amarico. Il somalo composito di casa mia quindi. In alcuni brani si spazia nel francese e nel bassà. Le lingue in Jidka non sono barriere tra le persone, non più incomunicabilità ma ponti”.

Le melodie sembrano seguire le parole, suoni che come presenze lisergiche intrecciano pianeti. “Ho scritto prima i testi, poi quasi come un evento psicoacustico sono nate le melodie. Era un po’ come se la parola suggerisse una pista da seguire. Strumento principe del lavoro il djembe, accompagnato da altre piccole percussioni costruite da Nsongan (percussionista camerunese legato ai Mau Mau, nda). Per esempio piccoli tamburi che hanno un’anima di terracotta. La dimensione acustica si è sposata felicemente con l’elettronica, un omaggio alle mie passioni afro-americane. Poi c’è la kora in alcuni brani, non propriamente uno strumento dell’Africa orientale, ma l’obiettivo era creare un suono spregiudicato, mio, nostro. Non la musica delle radici quindi. Radice è un termine che non mi piace poi, crea solitudine, fissità. In Jidka la musica è movimento”.

Anche nei temi dei brani c’è questa spregiudicatezza, unita a una ardente dolcezza. Si parla di passione, solitudine, sorellanza. Le donne sono presenti in ogni lettera quasi. C’è hooyo la mamma, abbayo la sorella, boqorada la regina. “La regina povera, “Boqorada Meskin”, quel brano è dedicato a mia nonna. Lei è la matrice, io vengo da lì. Era una donna semplice, faceva l’ostetrica all’ospedale De Martino a Mogadiscio, ha fatto uscire dalle pance delle donne quasi tutta la città. Era amata. Nella sua semplicità nonna era molto regale. Un po’ io vedo l’Africa in questo modo.

Le donne africane lontane da ogni orpello, anche in condizioni disagevoli, sono sempre molto fiere”. Un po’ come la noire de ….. di Ousmane Sembène, la regina povera di Saba ci insegna il senso segreto della femminilità. Il brano è un rituale. Inizia con quella parola italiana, “fiore”, che ci getta ipnoticamente in uno tsunami di percussioni e voci lontane.
La lontananza, il distacco sono i temi ricorrenti in Jidka. La strada, oltre a passare per le pance, passa anche sotto i piedi dei migranti che macinano chilometri per arrivare nell’Occidnte ricco. Nel brano “Hoio” è molto chiaro: “La canzone parte da una ninna somala che ogni mamma canta al suo bambino. Da questa base ho costruito la storia di una donna che cerca dalla sua assenza di rassicurare il figlio. La genesi è una signora romena che ho conosciuto. Lei qui a crescere i figli della famiglia per cui lavora, i suoi figli invece soli in Romania”. Il suono hoyada watana hab hab sii (tua mamma è qui, abbracciala) è un grido di aiuto, ma anche di speranza.

Circola molto amore in questo lavoro di Saba. Nelle intenzioni, nella sinergia del team, nei testi, nelle persone incontrate nel tragitto e mai perdute. “Io lo sento come un inno al presente Jidka.
Una fotografia emozionale”.