Milano

EXPO All'ombra dei Sette palazzi celesti

Una riflessione sulla Kermesse all’Hangar Bicocca

10 / 2 / 2015

Difficile immaginare un’operazione iconoclastica più efficace di quella messa in atto dalla presentazione di Expo all’Hangar Bicocca. Quell’immagine di Renzi tra le torri di Kiefer, quella platea di “exposti” induce in una tentazione da cui, normalmente, ci si dovrebbe sentire al riparo, quella di attribuire all’arte un valore universale di solennità e di sacralità a rischio profanazione. Ma noi da tempo andiamo dicendo “viva la profanazione!”, perché sappiamo bene, come Giorgio Agamben ha scritto, che essa significa riportare all’uso comune degli uomini qualcosa che è separato nella sfera del religioso. E allora come interpretare il disagio fisico suscitato da quell’immagine? Quella sensazione di uno spazio occupato militarmente, in cui i sette palazzi celesti diventano, improvvisamente, la zona rossa dell’”estremismo di centro”, degli organismi geneticamente modificati, dei buoni propositi di chi ama mangiare lentamente, dei colonnelli dell’economia dell’evento e del lavoro gratuito…Certo, potremmo ironizzare. Visti i lasciti metropolitani degli ultimi Expo: debiti, relitti e quartieri abbandonati (vd. Hannover 2000), potremmo pensare che quella fotografia sia stata scattata dall’Angelo della storia che (come Tiresia) ha già presofferto tutto e ha pre-visto la fine di Expo e di Renzi, tutti a sbrodolare tra le rovine delle catastrofe della storia. E come sempre sarebbe bello che la linearità del progresso in cui sono impigliate le ali dell’angelo si spezzasse, trafitto dal Kairòs, e oscillasse sul vuoto, deviando infine verso la produzione di nuovo essere, nuove forme di vita oltre la soggettivazione neoliberista e i ricatti delle oligarchie finanziarie.
Ma intanto l’evento Expo all’Hangar non ha profanato nulla, anzi, ha implicato un secondo grado di separazione dell’opera di Kiefer dall’uso comune degli uomini.
Chi ha visitato i Sette palazzi celesti ha probabilmente avvertito che il loro impatto è creato attraverso una consapevole iper-museificazione. Non si tratta solo della mole, dei riferimenti sacri diretti, della permanenza dell’installazione, ma anche di una sensibilità atmosferica, quasi leonerdasca, che pervade lo spazio. L’apparente precarietà statica delle strutture, la loro consistenza materica indicano un’origine soprannaturale e ancestrale, nulla a che vedere con la percezione delle sculture minimaliste con la loro fredda (e così indubitabilmente) umana, provenienza industriale. Tutto allude alla grandezza del divino e alla piccolezza dell’uomo, ma anche al fascino del cammino spirituale, alla pace della meditazione, alla possibile sfrontatezza della scalata. Questa prima separazione dall’uso umano, ottenuta attraverso lo stratagemma della museificazione è dunque parte integrante dell’esperienza soggettiva dell’incontro con l’opera.
Su di essa si innesta un secondo livello di separazione, il cui sintomo più evidente è quello della sua retrocessione a scenografia per Expo, a sfondo per il nostro premier, a esperienza creativa a misura di evento, dove cibo, arte, città, politica, lavoro perdono consistenza venendo esibiti spettacolarmente, infine omologati nell’astrazione del denaro, nel valore di esposizione e nel primato del valore di scambio (che nel caso del lavoro mobilitato da expo è convenientemente vicino allo zero).
Come profanare questo improfanabile? Buona domanda che richiede una risposta collettiva e moltitudinaria che supera di molto la consolatoria idea di recuperare qualcosa all’uso individuale. L’arte di certo non è la risposta, semmai è uno dei campi in cui questa può essere articolata, perché la presenza di Expo all’Hangar Bicocca non richiama solo lo storico utilizzo celebrativo dell’arte da parte del potere, c’è qualcosa di diverso. Qui arte e creatività vengono infatti esposti quali alcuni dei prodotti principali della fabbrica metropolitana. L’evento targato Expo “all’ombra” dei Sette palazzi celesti è dunque una metafora che illustra un fenomeno più profondo, una sempre più accentuata cooptazione su cui vale la pena indagare e contro cui vale la pena praticare continui tentativi di restituzione ad un uso comune.