"E' stato il mio maestro"

Quattro ragioni per leggere o rileggere Convenzione e materialismo di Paolo Virno

15 / 4 / 2011

Grande merito va riconosciuto alla casa editrice Derive Approdi per aver ripubblicato, dopo venticinque anni, un “capolavoro” del pensiero critico italiano. Scritto tra il 1980 e il 1985, nel pieno della controrivoluzione italiana, del “vuoto” carcerario e molto altro, Convenzione e materialismo di Paolo Virno torna finalmente in libreria. Un capolavoro giovanile – perché era davvero giovane l'autore, per la grandezza dei temi trattati ‒, un “classico” con cui vale la pena tornare a fare i conti.

Lessi per la prima volta Convenzione e materialismo nel 1999, intanto, studente e attivista universitario, cominciavo a mettermi in viaggio con le Tute bianche, tra Nizza (o Ventimiglia) e Genova. A Roma, nel 1999, c'era una libera università, la Libur, presso il Rialto occupato. Fu quella l'occasione del mio incontro con Paolo Virno, il suo «lavoro senza teleologia», e, soprattutto, con i fratelli e le sorelle dei «miei giorni migliori». Fu quello il momento in cui, avidi lettori della rivista Derive Approdi, maniaci di Marx oltre Marx di Toni Negri e della Politica della moltitudine di Lucio Castellano, cominciammo (e come sempre le cose che contano riguardano i gruppi, le «mute», mai le persone o gli individui) a coniugare il materialismo marxiano con la filosofia del linguaggio. Una «svolta linguistica» di seconda generazione, lontana dalla buona educazione analitica, “sporca”, piuttosto, di lavoro e rapporti di sfruttamento.

Rileggendo oggi il testo, dopo essere passato per una lettura meno ingenua di Marx, esser transitato per la «materia intensiva» di Deleuze-Guattari, dopo aver perso irrimediabilmente la testa per l'Etica di Spinoza, e dopo, soprattutto, aver percorso tanta strada nella vita senza riparo della prassi politica e sovversiva, ritrovo le ragioni del mio passato entusiasmo. E queste ragioni vorrei raccontare brevemente, per consigliare la lettura del testo a chi non l'ha già fatto, alle compagne e ai compagni giovanissimi, che si sono affacciati nella scena politica tra il movimento dell'Onda e i tumulti pieni di gioia dello scorso autunno. Sarò schematico e diretto, non me ne voglia a male il prete zelante (figura di cui la scena politica di movimento ultimamente è piena).

1. Convenzione e materialismo è l'attualizzazione critica più compiuta del concetto marxiano di general intellect. Il «cervello sociale» del Frammento sulle macchine abbandona il capitale fisso e si disloca sul terreno dei linguaggi formalizzati e del lavoro vivo. Allo strumento come punto medio della traiettoria finalistica, si sostituisce la «macchina linguistica», premessa o condizione del processo produttivo, della prestazione lavorativa, singolare e relazionale nello stesso tempo. Se quando si lavora si parla, meglio, si lavora perché si parla, allora il lavoro rompe ogni finalismo, piuttosto modula, come ci indica la causalità formale aristotelica, un comune spartito. «Sussunzione reale», diciamo con Marx. Sappiamo come queste tematiche sono state riprese in modo brillante da Christian Marazzi nel suo, altrettanto fondamentale, Il posto dei calzini. Sappiamo quanta importanza hanno avuto nella definizione del “nuovo inizio” del pensiero critico, tra le riviste (da Luogo comune a Derive Approdi) e il clinamen della Pantera.

2. Assieme a Differenza e ripetizione di Gilles Deleuze e a L'individuazione psichica e collettiva di Gilbert Simondon, Convenzione e materialismo di Paolo Virno è tra i testi più importanti sul problema dell'individuazione degli ultimi decenni del secolo scorso. Pensare l'individuo come emergenza insulare, temporanea e relativa, di un processo di individuazione sempre irrisolto: questa la mossa che si sbarazza, senza rimorsi, della filosofia del soggetto. Entra in scena la singolarità, laddove tra individuo e potenza produttiva non c'è più separazione possibile. Singolare e comune è la potenza, l'essenza modale (modus intrinsecus) ci suggerisce Spinoza. Ancora, la potenza è preindividuale: Deleuze parla di intensità, di eventi, di «ecceità» (un giorno, una stagione, un grado di calore, un affetto), Simondon di energia potenziale, con riferimento alla teoria dei campi, Virno si getta nella materia storicamente determinata, il general intellect, appunto, forza produttiva con un altissimo grado di socializzazione.

3. Convenzione e materialismo è un antidoto robusto all'illuminismo senza corpo di Jürgen Habermas, più in generale, avversario ostinato della traiettoria teorica-politica socialdemocratica inaugurata dal francofortese più “sbiadito”. Come aveva fatto prima di lui Hans Jürgen Krahl, Paolo Virno mette in scacco l'impianto discorsivo dell'autore di Conoscenza e interesse e Teoria dell'agire comunicativo: ad un concetto povero di lavoro, lavoro come agire strumentale, si sostituisce un concetto ampio di produzione, laddove, marxianamente, con produzione bisogna sempre intendere lavoro e cooperazione (e divisione del lavoro). Ed è proprio la socializzazione compiuta delle forze produttive, l'affermazione delle tecnologie informatiche, il passaggio alla sussunzione reale, a rendere impossibile il dualismo agire strumentale-agire comunicativo. Quanto linguaggio, quanti affetti, quanta vita, nel lavoro post-fordista, quanta povertà nella scena politica della rappresentanza!

4. Convenzione e materialismo è un testo di filosofia, colto e raffinato, che si occupa, senza timidezze e senza nostalgia, del presente. Sì, fare filosofia parlando del presente, «afferrare il proprio tempo con il pensiero»: questa è la mossa dirompente – stiamo parlando degli anni '80 di Gianni Vattimo e del pensiero molle ‒ di Paolo Virno! L'assenza di nostalgia, però, è forse il fatto decisivo. In un Paese in cui chi ha vissuto gli anni '60 e '70 non smette mai di far suonare sempre lo stesso disco, guardare senza remore al tempo ruvido che tocca in sorte, era ed è cosa poco comune. Uno sguardo privo di memoria che prova sempre e con ostinazione a cogliere, del presente, anche quello più nero, il carattere ambivalente, le virtualità non ancora attualizzate. Non è forse questo il modo deleuziano («non essere indegni di ciò che ci accade»; cogliere, nell'accadimento, lo splendore dell'evento) di intendere la morale? Uno stile del pensiero, un'etica, un modo di rovesciare il presente contro il presente, la cicatrice contro la ferita, la vita contro la morte.

Sono queste, brevemente, le ragioni che rendono Convenzione e materialismo un libro ancora attuale, un libro da cui partire o ripartire, nella consapevolezza che ciò che allora veniva pensato per la prima volta, oggi non può non essere già da sempre pensato, per fare i conti propriamente con i rapporti di produzione, per provare a fare male ai padroni.