"Dove Bisogna Stare" - Jessica, una delle quattro toccanti storie di accoglienza e solidarietà

8 / 2 / 2019

Si è svolta lunedì 4 febbraio a Cosenza la proiezione del docu – film “Dove Bisogna Stare”, distribuito da Zalab, presentato al Torino Film Festival e uscito lo scorso 17 gennaio, con la regia di Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli. Il film che sta girando l’Italia è stato fatto con la collaborazione di Medici Senza Frontiere, e racconta le storie di quattro donne che in varie parti d’Italia sono impegnate in attività di solidarietà dal basso nei confronti nell’ambito dell’accoglienza dei migranti o in percorsi solidarietà dal basso per rivendicare diritti come la casa o il riconoscimento all’interno delle comunità dove i migranti vivono.

C’è la storia di Elena, psicoterapeuta di Pordenone che decide di aiutare i migranti e toglierli dal degrado, quella di Georgia, che a Como aiuta i migranti con i documenti ed i permessi a loro necessari, e poi quella di Elena, attivista No Tav che ha preso in cura direttamente a casa sua un profugo che ha rischiato di perdere i piedi dopo aver camminato nella neve lungo il confine francese. E poi c’è la lotta di Jessica, attivista del comitato per la lotta per la casa attivo nella città di Cosenza da diversi anni che racconta la propria situazione di occupante insieme agli altri in quella che, come si legge in sovra-impressione in una scena del film, è una “political struggle” dove gli sguardi, le emozioni personali, e le storie di vita collettive,  politiche e personali si incrociano. La pellicola ha la puntualità del documentario, ma la forza espressiva del film. Quest’ultima sembra far scorgere non direttamente, quasi di traverso, la forza delle storie politiche che ci sono dietro ogni storia, lasciando spazio a considerazioni personali ed un'emotività importante che traspare nello scorrere delle immagini. Non poteva non essere presente nella sua Cosenza alla proiezione del film Jessica, che ha preso parola alla fine del film nel dibattito conclusivo insieme al regista Collizoli e Giuseppe De Mola di Medici Senza Frontiere, di fronte ad una platea gremita di centinaia di persone. C’è da dire che l’esperienza della lotta per la casa è diffusa in varie città d’Italia, ed una delle notizie più recenti sono le inchieste che nella giornata del 13 dicembre, a Milano ed a Cosenza, in maniera apparentemente scollegata, hanno preso di mira i comitati per la casa delle due città impegnati in alcune occupazioni, rispettivamente il Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio ed il Comitato Prendocasa. A Cosenza è arrivato per 16 componenti di Prendocasa un avviso di conclusione delle indagini con varie accuse fra cui quella di associazione a delinquere per 5 di loro. Per capire meglio il senso della battaglia politica della lotta per la casa che emerge dalla docu – film “Dove bisogna stare”, di seguito un’intervista a Jessica Cosenza.

Parlando della lotta per la casa, qual è secondo te la differenza maggiore tra quella che può essere considerata un’attività sociale e quella che è una battaglia politica vera e propria? 

Io penso che l’attività sociale si fa per sopperire a delle mancanze istituzionali, a dei servizi che mancano da parte dello stato. L’attività politica tu la fai per riuscire a cambiare qualcosa. Detto questo è inutile negare che la nostra è un’attività politica ibrida: noi facciamo sia attività sociale che politica. E’ importante dire che chiunque venga coinvolto nella nostra storia attraverso gli sportelli per il diritto all’abitare o gli sportelli sindacali, una volta sopperita l’esigenza di necessità più stringenti, è chiaramente inserito in un percorso. Una volta che qualcuno si avvicina perché ha bisogno della casa, una volta che ha ottenuto un tetto dove stare, la storia non è finita li. Lo spazio si difende, come si difendono diritti globali, complessivi. Se sappiamo che nella nostra città i soldi vengono spesi per grandi opere inutili, noi avanziamo una critica e scendiamo in piazza, ragioniamo su forme mutualistiche ed auto – organizzate di lavoro; abbiamo anche riscritto le legge sulle case popolari insieme alla Regione Calabria, il cui potenziale potrebbe essere il fatto che tutta una serie di nuove categorie della marginalità, di nuove povertà che prima non venivano contemplate nell’accesso al diritto alla casa adesso lo saranno. In più viene aggiunto un capitolo sull’auto-recupero, per cui gli stabili occupati, con la stretta partecipazione degli inquilini, vengono convertite in case popolari. Si tratta di percorsi politici che hanno chiamato le istituzioni a rispondere delle esigenze che vengono dal basso, attraverso percorsi politici partecipati.   

Quali sono le maggiori difficoltà affrontate in un percorso politico come quello dell’occupazione abitativa? 

Ci sono alcune difficoltà di ordine pratico ovviamente, come riorganizzare dei palazzi prima abbandonati, che magari erano uffici e non adibiti all’uso abitativo. Ma il discorso sulle difficoltà è proprio quello da ribaltare per far capire il senso del significato politico di chi è inserito in un discorso sull’occupazione abitativa, affinché non si percepisca l’idea che siamo solo vittime e soggetti passivi. Voglio dire questo: oggi la maggior parte delle persone si trova in difficoltà sociali da solo, si sente solo. Se tu sei solo ti passa pure la voglia di affrontare le questioni. Noi affrontiamo in maniera collettiva questioni che affrontano poi situazioni individuali di difficoltà. Noi sappiamo che possiamo contare su una comunità che ci sta intorno. 

Qual è il rapporto tra un’occupazione abitativa ed il resto della città in cui essa è inserita? 

Già l’occupazione delle case di per sé è una situazione dirompente all’interno di una comunità. Noi abbiamo fatto un’occupazione in un quartiere della città ad esempio dove chi abita intorno a noi si è iniziato a rapportare, a conoscerci, con gente che viene da tutt’altra parte del mondo. Un intero quartiere si è posto delle domande su di noi, ma questo è stato utile soprattutto per porsi delle domande sulla propria vita. I primi tempi ci hanno portato abbigliamento e beni di prima necessità, ma è stato un atteggiamento non di chi volesse aiutare degli animali in estinzione. Noi non ci siamo chiusi nella nostra dimensione, ma in termini collaborativi rispetto al quartiere. Anzi, abbiamo posto in essere modelli aggregativi di vita alternativi, e fatto emergere delle questioni politiche che interrogano l’intera città. Prendocasa ha denunciato lo sperpero di risorse per le grandi opere, la corruzione delle classi politiche cittadine intesa come forma di sfruttamento di alcuni pochi nei confronti del resto della città. Parliamo di acqua bene comune, di diritto ad una sanità accessibile a tutti e di qualità, cose che in quanto cittadini toccano tutti. 

Dalla tua prospettiva di attivista calata nel sociale, che considerazioni ascolti a proposito dei migranti? 

Un po’ le solite domande si sentono dire, come la questione dei migranti che prendono soldi dallo stato per esempio. Quello che mi preme dire invece è che siamo riusciti a far cambiare la percezione di quello che è falsamente visto come un problema. Rispetto allo sfruttamento ed alle ingiustizie sociali che viviamo, non c’è nessun “noi” autoctoni e “loro” migranti, ma siamo un blocco unico. Ci prendiamo anzi il merito che se un certo sentimento di razzismo non si sia diffuso nella nostra città, è anche merito proprio della nostra occupazione abitativa, per il bene dei cittadini, tutti, senza divisioni. 

Nel film “Dove bisogna stare”, sono raccolte le voci e riprese le esperienze di quattro donne? Cosa significa questo per te? 

L’importanza nel film è quello di aver dato a dei soggetti discriminati,colpevolizzati e stigmatizzati, come i migranti, i senza casa, o le donne. Ed attraverso la pellicola abbiamo fatto capire che le donne o migranti non cadono nei soliti stereotipi; nel caso delle donne ad esempio, si vedono persone con le loro forze e le loro debolezze coinvolte in percorsi di solidarietà dal basso senza che si debba per forza ricadere nel ruolo della donna angelo che svolge servizi ancellari, così come il migrante non deve essere pacifico per forza per non dover inquietare l’uomo bianco, che dovrebbe servire. L’attenzione al mondo femminile sicuramente ha la sua importanza se si pensa che ad esempio il 22 febbraio proietteremo il film “Dove bisogna stare” presso la “Casa delle donne” di Roma, dato che è importante essere in uno spazio sotto attacco come lo sono le occupazioni abitative ed altri luoghi dove si pratica autogestione e trovare dei punti di contatto tra i mondi al femminile che si muovono nel sociale.

Nell’inchiesta dello scorso dicembre tra le accuse ricadute su alcuni membri di Prendocasa, c’è quella dell’associazione a delinquere. Cosa pensi in proposito? 

Io penso che i delinquenti in questa città siano altri, e sono i membri della nostra classe politica che portano le persone in una condizione di estrema povertà, volutamente, per poi ricattare le persone che hanno bisogno attraverso logiche clientelari. Attraverso l’inchiesta, che ritengo banale, si è voluto colpire chi utilizza la solidarietà come metodo politico, chi grida in piazza senza vergogna i nomi di chi è realmente delinquente in questa città. L’inchiesta è stata fatta per dividere una comunità e spezzare la solidarietà delle altre persone, per creare paura. Hanno però davanti una comunità, e devono farci i conti.  Ne abbiamo approfittato per cementificare ancora di più il rapporto tra di noi e chi ci sta intorno, e far capire che la giustizia di una comunità è diversa dalla legalità formale.