Chronic City, Zona Lethem

di Beppe Allegri

8 / 7 / 2010

Chronic City, Jonathan Lethem, Il Saggiatore, Milano, 2010,

trad. it. di Gianni Pannofino, pp. 459, € 17.00.

Chase Insteadman, che verso la metà critica del libro viene scambiato “invece che uomo” per “Chase Unperson”, è un giovane, 30/40 something, proveniente dall'Indiana e attore in pensione anticipata, in virtù di un ruolo da infante protagonista in una sit-com di successo diversi anni fa, che gli permette di avere un reddito garantito per un'esistenza dissipata nell'”isola” di Manhattan. Quasi agli inizi della narrazione Chase sembra voler giustificare la sua figura nel libro: “proprio per la mia carriera residuale e la mia esistenza da bighellone a Manhattan ero perfetto per la parte in questione”. Mentre poco dopo osserva, sempre di se stesso: “la mia particolarità (ammesso che io ne abbia) sta nella disperata e pervasiva entità della mia empatia. Sono davvero una specie di vuoto riempito dalle persone con cui mi trovo, e in loro assenza divento un'insulsa neutralità”. E allora intorno a questo flemmatico, fumoso e allucinato flâneur, pieno di charme e buone maniere, ma in definitiva anche un “tontolone” di cui si sente la mancanza (“I miss you, you big dummy”, citando Captain Beefheart; anche se a noi evoca “I miss My Donkey!” nella scena madre di Clerks II), che si aggira per l'East Side, invertendo la notte con il giorno, si organizza una poliedrica e irriducibile moltitudine di personaggi indimenticabili, che un Jonathan Lethem in stato di grazia regala al lettore in astinenza dopo Non mi ami ancora . Ed è impossibile solo accennare alla ricchezza torrenziale e lisergica di questa comunità distopica, persa tra la casa di Arnheim, sindaco di New York, con la sua gelida, imperscrutabile assistente, e le notti all'addiaccio di Biller, clochard “smanettone”, che si rivelerà autentico genio del (virtuale?) Tutto un altro mondo; mentre il micro-mondo di Manhattan sprofonda in una nebbia permanente, che poi diviene soffice neve anche in agosto e una imprendibile tigre (di acciaio?) si aggira invisibile, con fare distruttivo, emergendo nottetempo dal sottosuolo. Al di là dell'atmosfera, persa in un'orbita astrale, confinata oltre delle minacciose mine spaziali cinesi, Janice Trumbull: l'astronauta fidanzata del nostro Chase, disperatamente lontana anche nel ricordo, eppure così vicina con le sue narrazioni interstellari, puntualmente riportate dai tabloid di Manhattan.

Ma su tutti si stagliano gli altri due compari del nostro Chase, a formare una dopata e straniante versione dei Tre Moschettieri al tempo imperscrutabile del complotto permanente. Richard Abneg, barbuto consulente del sindaco per la questione abitativa, con un tuttora ostentato passato da squatter, da anarchico formatosi nei riots di Tompkins Square Park nel 1988, e ora radicale difensore delle occupazioni di case (mentre la sua è attualmente infestata da un nido di aquile ed egli conquista la splendida ereditiera armena Georgina Hawkmanaji, il “Falchetto”, ed il diritto a installarsi nella di lei magione!). E soprattutto Perkus Tooth, geniale ex critico musicale di Rolling Stone e Village Voice ora isolatosi dal mondo, dall'occhio indisciplinato e dall'abbigliamento à la Lord Brummel, ma stropicciato e usurato, di seta consunta e velluto liso. È Perkus il reale motore immobile – perché fisicamente chiuso nel suo appartamento strappato alla speculazione, o al più seduto a ingollare hamburger nel baretto all'angolo –  di quella che potremmo ora definire la “Lethem zone”, evocando non a caso la “Pynchon zone”: dalla “zona magica” della cucina di Perkus, dove il nostro critico strabico rolla, per fumarle in compagnia, decine di canne di magica erba dagli scintillanti nomi di Chronic, Foschia Argentata, Funky Monkey, che il silenzioso spacciatore Foster Watt (i giochi di prestigio sui nomi dei protagonisti: do you remember David Foster Wa...? rip!) consegna in “tubetti di lucite”; alla “zona di autocancellazione” persa all'interno di Perkus; e quindi “la dimora di Perkus, sacro diorama di possibilità e incontri, era stata burocraticamente squalificata a mera «zona»” .

Da questo incontro con Perkus, che apre il libro, sin dalla prima riga, e poi da quello con l'estremista istituzionalizzato Richard, nasce una miscela di racconti, sperimentazioni, eventi, ricordi, vere e proprie epifanie che accompagnano questi Tre uomini a zonzo nella ricerca di un irraggiungibile calderone, troppo post-moderno Graal, apparso a Perkus, come in una visione allucinante, mentre era sotto gli effetti dell'agopuntura operata dal santone delle stars Strabo Blandiana. Poi appare Oona Laszlo (ossuta sorella scompagnata del mirabolante Jamf Laszlo, personaggio tra le miriadi di Gravity Rainbow di Thomas Pynchon?), ghost writer di biografie di personaggi spettacolari, attualmente alle prese con l'artista “troppo-tardo-modernista” Laird Noteless (i nomi, ancora!!), autore isolazionista di gigantesche opere consistenti in abissi, buchi, fosse, fiordi come quello che Chase ribattezza Obstinate Hole, dove precipita una copia di Obstinate Dust, tomo di oltre mille pagine scritte in corsivo ad opera di Ralph Warden Meeker e – nella realtà – titolo poi scartato di quell'immenso capolavoro di oltre mille pagine che è Infinite Jest; e quindi ulteriore omaggio di Lethem al genio isolato, incompreso eppure sempre melanconicamente presente, di David Foster Wallace.

Saranno Chase e Oona a convincere Perkus a riprendere la scrittura di quei logorroici manifesti, “o invettive, se preferisci”, pieni di provocazioni politiche e musicali, che il nostro, proprio con l'aiuto di Oona, attaccava agli angoli di Manhattan, negli anni in cui le Mille luci di New York evocavano la Più lucente corona d'angeli in cielo. E Perkus, che ammette di essere “più Seymour Krim, che Lester Bangs”, partorisce solo la foto di un orso polare isolato su un blocco di iceberg alla deriva, al centro di una distesa infinita di mare nordico, senza alcun approdo visibile.

Ma intanto intorno il complotto della reale finzione virtuale prende il sopravvento, in uno scenario tra le paranoie di un Philip K. Dick molto stonato e Ai confini della realtà: Marlon Brando è effettivamente morto? La lettura di Indagini di un cane di Kafka ha come conseguenza una danza invasata abbracciati ad Ava, pit bull storpia, al suono di Shattered dei Rolling Stones? Il successo non ha importanza! Questa città è vestita di stracci! Guardami! Sono devastato! Marlon Brando si presentò nudo sul set di Queimada di Gillo Pontecorvo? Perché Norman Mailer si è ritirato dalla lotta, senza diventare sindaco di New York? Les Non-Dupes refusés!! Oppure ha ragione il sindaco tardo lacaniano che “les non-dupes errent”? Peter Falk ha lavorato in The Gnuppet Video? I critici rock sono “autistici ad altissimo funzionamento”, che “si incontrano a fini di reciproca consolazione”? Come vivere senza aver visto Echolalia, film-saggio che documenta il tentativo di Werner Herzog di intervistare Marlon Brando sul set di Neanche lontanamente, film cult di Morrison Groom?

A volte, sempre più spesso, vorremmo perderci nella “sapienza ellipsistica”di Perkus Tooth: “ellipsistico deriva da ellissi: una specie di intervallo vuoto, un accenno o una fuga in cui lui non era depresso, né non depresso, e non desiderava concludere né iniziare pensieri di sorta. Uno stato intermedio. Con il tasto «pausa» premuto.” Ma non possiamo anche non essere a fianco di Chase: “Io vivo nella capitale del capitale, ma tifo contro il Dow Jones. Provo un istintivo brivido da lucertola nei giorni in cui il listino crolla.” Precipitiamo nell'abisso in compagnia di questo strabiliante capolavoro: nell'ostinata polvere dello scherzo infinito...un inno a una città, anzi a un'isola dentro quella città; ma anche alla vita, alle controculture ostinate dell'underground non riconciliato, alle singolarità che, seppure “devastate”, immaginano e raccontano un altro mondo, per scardinare quello presente; alle combriccole di affini che almeno ci provano! Tutto un altro mondo...