Catastrofe ecologica e attivismo imprescindibile

La presentazione del libro di Alberto Peruffo allo Sherwood Festival

13 / 6 / 2019

L'amianto a Porto Marghera, gli sversamenti di cromo esovalente a Vittorio Veneto, l'inquinamento da mercurio nel trevigiano, la presenza di tetracloraetilene nel vicentino ed ora i PFAS: cronologicamente l'ultima, enorme, devastante piaga che affligge il fragile e mal curato territorio veneto.

Ma cosa sono precisamente i PFAS? Insieme ai PFOS e ai PFOA, i PFAS sono un sottogruppo dei Pfc, ovvero di sostanze perfluoroalchiliche/polifluoroalchiliche.Hanno caretteristiche peculiari quali l'idrorepellenza, l'oleorepellenza, la stabilità termica e la tensioattività. Questi composti sono adoperati per trattare i rivestimenti di cartone, gli imballi alimentari, le pellicole fotografiche, le schiume antincendio e i detergenti per la casa. Non sono per nulla sostanze nuove, basti pensare che i PFOAS furono inventati già nel 1947 e i primi studi che hanno riguardato la loro tossicità sono stati effettuati ad inizio degli anni '60.

Nel 2009 sono stati inseriti nella lista che li raggruppa tra i pesticidi e le sostanze con pericolosità certa dalla Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti. Nel 2015, nei confronti della multinazionale americana DuPont attiva in West Virginia, si ha notizia della prima sentenza che impegna un colosso della chimica al risarcimento delle vittime di inquinamento per gli sversamenti di Pfc nelle falde.

Ma di preciso quali sono gli effetti sulla salute di queste sostanze? Gli studi effettuati, considerato che sono stati condotti su persone già contaminate o su animali, hanno mostrato una localizzazione dei PFAS all'interno del corpo principalmente sull'area del fegato e dello stomaco. Una relazione del 2016 voluta dal Coordinamento delle malattie rare ha evidenziato un aumento della gestosi, del diabete gestazionale e della nascita di bambini sottopeso. Le ricerche condotte durante il caso che ha coinvolto la DuPont hanno fatto risaltare un aumento di cancro al rene, al testicolo, alla prostata, l' infertilità femminile e l' alterazione della funzione tiroidea.

Quale al momento l'attuale situazione in Italia? Quali le aree coinvolte in Veneto? Come prima cosa dobbiamo ricordarci che, a causa di un vuoto normativo, il limite di concentrazione di PFAS in acqua è fissato con libero arbitrio dalle singole amministrazioni. Non vi è una regolamentazione a livello nazionale. Non precisamente un dettaglio.

Per quanto riguarda l'inquinamento da Pfas in Veneto si parla di zona rossa, che comprende sia l'area vicentina che l'alto veronese, di zona verde, in cui si stanno effettuando rilievi e che interessa il padovano, e zone attenzionate che interessano i terreni fino a Cavarzere, a una ventina di chilometri dal mare. Uno spazio spaventosamente vasto. Ma come ha spiegato martedì 11 giugno allo Sherwood Festival Alberto Peruffo, attivista e autore di Non torneranno i Prati. Storie esplosive di PFAS e spannoveneti, questa divisione in aree più o meno coinvolte ha ben poco senso. Innanzitutto perché la diffusione dei PFAS in acqua viaggia almeno a 1,7 chilometri l'anno come minimo e in secondo luogo perché oltre alle falde inquinate, con l'irrigazione dei campi ad essere attenzionata è l'intera filiera agro-alimentare.

Il rischio dunque è esteso e generalizzato. La prima cosa da fare, hanno sottolineato durante il dibattito sia Peruffo che Danilo Del Bello, del Comitato Zero Pfas Padova, è puntare sulla prevenzione. Bisogna richiedere con forza alla Regione Veneto che si garantisca uno screening gratuito per tutti, e non esclusivamente di chi abita nella zona rossa. Solo in questo modo, permettendo l'accesso agli esami del sangue, si potrà tracciare un reale stato di salute della popolazione.

Altro tema caldo in ballo è la bonifica dell'area lasciata dalla Miteni. Il colosso, nato dalla fusione tra Eni e Mitsubisci e poi passato in mano a una big farmaceutica tedesca, vede la sua sede posizionata a Trissino, proprio sopra la seconda maggiore falda europea, e dal 1964 utilizza i PFAS. Ora la Miteni è fallita ed ha lasciato in eredità un'enorme area da bonificare, andata proprio l'altro ieri all'asta. Si stima tra 40 e i 50 milioni di euro la cifra necessaria per affrontare questa imprescindibile impresa e circa un secolo il tempo necessario a seguito del risanamento dell'area per considerare scongiurato l'inquinamento da PFAS. Cosa si intenda realmente fare però non è chiaro.

Esattamente come ricostruire la catena di co-responsabilità che ha visto attori amministrativi, consorzi e multinazionali non sembra facile da sciogliere. Eppure, individuare le imputabilità ed esautorare chi non ha gestito tale disastro è un passo fondamentale e un obiettivo da perseguire per riuscire a riconsegnare almeno la verità ai cittadini. In particolare agli abitanti del vicentino che, come ha puntualizzato Italo Madia del Comitato Zero Pfas Padova, si trovano a fare i conti anche con un altro bel problema: la costruzione della Pedemontana.

Come ha detto Peruffo, se vivi in un territorio come questo allora «diventi attivista quasi per forza». Un attivismo che ha permesso, nel corso di questi anni, di coinvolgere più reti e più movimenti, compiendo azioni salienti, informando e mantenendo alto l'interesse per quello che sta succedendo. Perché è solo costruendo percorsi condivisi, lotte comuni, obiettivi da raggiungere che si potrebbe salvare un territorio e far realmente «tornare i prati».