Bologna - Un orto sociale a Làbas

21 / 3 / 2013

Nella fucina di nuovi linguaggi, nuove pratiche e nuove relazioni che Làbas prova a sperimentare, per noi Orteo rappresenta uno dei paradigmi utili per cogliere i discorsi, le volontà e le ambizioni che animano lo spazio (ri)occupato di via Orfeo 46.
Ci sembra importante immaginare Orteo non come un qualcosa di assoluto, sciolto quindi da qualsiasi altro percorso che parli con gli stessi linguaggi; piuttosto vorremo che Orteo si collocasse in quel campo di possibilità arricchito anche dalla volontà di creare un Gruppo d’acquisto Solidale e un mercatino contro la crisi costituito da produttori locali, sempre più schiacciati dalle grandi catene alimentari e dal caro-affitti di suolo pubblico per vendere in piazza.
Orteo non è solo spazio fisico costituito di terra e lavoro, ma è innanzitutto spazio politico, che porta con sé la potenza di un discorso come quello sull’alternativa concreta dentro e contro la crisi, sulla riappropriazione e messa a valore di aree altrimenti lasciate all’abbandono, sulle pratiche collettive agite e regolate dalla forza della cooperazione sociale.

Orteo è pratica di sovversione dei modelli di produzione e circolazione di beni e merci, a partire dagli assi della biodiversità, della solidarietà e dell’eco-sostenibilità. Orteo è messa in discussione di alcuni dei principi portanti odierni, sui quali si basano i meccanismi della speculazione che lasciano pesanti e irreversibili segni di sfruttamento e distruzione, sia delle risorse naturali del pianeta sia di quelle umane.
Per questo, ad esempio, abbiamo denunciato e continueremo a farlo la Coop Adriatica e tutte quelle società della grande distribuzione che, dietro una facciata ipocrita di cooperazione sociale e sensibilità alle tematiche ambientali, nascondono un sistema speculativo e di sfruttamento pienamente allineato alla tendenza generale.
Siamo convinti che le pratiche collettive e conflittuali siano motore positivo del cambiamento e pensiamo per questo alla riappropriazione diretta, all’autoproduzione, alla costruzione di società autonoma come a reali vie d’uscita dalla crisi, affermazioni di desideri collettivi che sfociano in pratiche reali di ripresa concreta e diretta d’elementi di reddito. Affermazioni, riteniamo, totalmente legittime, in nome di una giustizia che vada oltre a quella meramente legale/legalista, paralizzata nella sua utilità sociale da un voler normare (innalzare cioè a norma) forme d’austerità e depressione in nome della difesa di uno status quo che richiede, tra l’altro, la sistematica repressione di qualsiasi ricerca d’alternativa, imbrigliandone e mettendone a profitto la ricchezza che naturalmente queste ricerche sprigionano.
Noi questa ricchezza collettiva e potenziale, insita in quel “fare società” altra che ci piace praticare, intendiamo non solo crearla, ma anche difenderla; ed è per questo che teniamo sullo stesso piano cose apparentemente diverse come un mercato biologico del km0, un GAS, un’aula studio multimediale liberata, uno spazio abbandonato ri-occupato, un esproprio in un supermercato o lo sciopero dei lavoratori della logistica. Perché sono pratiche, cioè azioni concrete volte alla trasformazione del reale, riproducibili ed emblematiche, e sono conflittuali e costituenti, cioè determinate nell’obiettivo e decise a creare l’alternativa.