"Biopolitica dell'amore": consenso, cura, riproduzione sociale

La conversazione a Sherbooks Festival 2023 con Jennifer Guerra e Valentina Mira.

6 / 3 / 2023

Tra i dibattiti della terza edizione di Sherbooks Festival, c’è stato Biopolitica dell’amore: una conversazione sul consensocon le due scrittrici e giornaliste Valentina Mira e Jennifer Guerra.

Hanno moderato il dibattito Stella Salis e Luisa Longobucco che ha introdotto la tematica riportando uno studio citato da Jennifer Guerra ne Il capitale amoroso di O’ Hara, nel quale si afferma che coltivare l’amore in una società neoliberale e capitalista è molto difficile in quanto scoraggia la cura, la passione e l’intimità. Il racconto mainstream che viene fatto dell’amore è stereotipato e a binario unico, come succede per la narrazione della violenza di genere. Difatti, questa si consuma per circa il 60% dei casi in famiglia o all’interno di una relazione e lo stupratore è per la maggior parte delle volte un conoscente. Gli interrogativi che ci si pone quindi sono: come si correlano queste tematiche tra di loro nella nostra società e quali sono le diverse sfaccettature che assume il concetto di consenso all’interno di relazioni di fiducia, ma anche all’interno di relazioni gerarchiche come potrebbe essere il posto di lavoro?

A partire da queste premesse, Luisa Longobucco ha chiesto alle ospiti di creare un lessico comune, per poter essere più comprensibili al pubblico, cercando di chiarire con loro cosa si intende per consenso e il concetto di cura, di relazioni di cura e di lavoro di cura.

La prima a rispondere è stata Jennifer Guerra, affermando che molto spesso si tende a separare nell’immaginario comune l’amore dalla politica, quando il punto in comune tra queste è in realtà la cura. Sia la politica che l’amore hanno come obiettivo il prendersi cura di chi è diverso da noi. Infatti, abbiamo degli esempi in cui la politica si è occupata solo dei suoi simili, creando una spaccatura in quanto non prende in considerazione i desideri di tutti. La politica e l’amore individuano l’integrità del riconoscimento dell’altra persona, nutrendosi delle divergenze e comprendendo che ci si può prendere cura anche da chi ha bisogni diversi dai nostri.

Valentina Mira invece ha approfondito la tematica del consenso, affermando che questo sia ancora un dibattito aperto. L’ordinamento italiano usa il consenso implicito dove bisogna dire per forza di no per far sì che si neghi il consenso. La campagna di Amnesty International vorrebbe cambiare la politica del consenso, prendendo esempio dalla Spagna, dove solo “Si vuol dire Si” per avere un rapporto. Inoltre, ha affermato che la questione diventa problematica se si pensa che sia stupro solo se c’è stata una negazione del consenso prima del rapporto, in quanto il consenso può essere implicito o esplicito. La cura, invece, deriva dal latino e significa “preoccuparsi”, ossia qualcosa che viene prima dell’occuparsi. Il 75% del lavoro di cura grava sulle spalle delle donne. Esso è il lavoro non retribuito emotivo e materiale, del prendersi cura ed è un pezzo di welfare che viene privatizzato. Ma in senso positivo, una forma di cura può essere la collettività, come ad esempio andare a picchiare lo stupratore che aveva violentato una compagna come succedeva negli anni ’70.

Stella Salis si è ricollegata al lavoro di cura femminilizzato e non retribuito, che va a gravare sempre sulle stesse persone e da qui ha chiesto a Jennifer Guerra da dove nasce il timore dell’instabilità e vulnerabilità per quanto riguarda il cambiamento di una società eteronormata con lo stereotipo della famiglia borghese e monogama.

La giornalista e scrittrice afferma che in questo momento viviamo in un periodo di grande confusione perché continuiamo ad affidarci alla famiglia tradizionale come unico modello fattibile, in quanto siamo tutti e tutte cresciuti e cresciute con questo tipo di esempio. Anche chi ripudia questo modello, si ritrova a fare confronti con esso. Quindi c’è un problema dal punto di vista di immaginario romantico. Grazie all’emancipazione femminile, le donne hanno cominciato a mettere in discussione il modello familiare dove l’uomo è il breadwinner, in quanto al giorno d’oggi è impossibile che ci sia solo un reddito e dunque ci troviamo di fronte a due breadwinner. Ma per quanto riguarda il lavoro di cura, le politiche di welfare in Italia non stanno provvedendo a questa ridistribuzione di responsabilità all’interno delle famiglie. Lo spostarsi dall’eteronormatività porta un prezzo da pagare, ossia l’esporsi ad un giudizio sociale e di come questo ci freni dal compiere scelte che esaudiscano i nostri desideri.

Inoltre, ha affermato che viviamo in una società ossessionata dalla sicurezza, che genera il panico per questioni minime o transitorie e che tutto ciò porta ad una paura nel compiere scelte rischiose perché si allontanano da un modello di perfezione, di performatività che ci vede come dei bravi cittadini.

Per quanto riguarda la violenza, il fatto che la maggior parte della violenza sessuale e domestica avviene all’interno delle famiglie o delle coppie è un enorme problema che riguarda la questione per cui molte persone non scelgono di stare davvero in queste relazioni e di come quindi credono che la loro infelicità sia giustificabile con la violenza. Questo ha a che fare con un altro tema di cui tratta nel suo libro, ovvero l’idea di amore come responsabilità e che si collega a tutta la questione della cura, non come qualcosa che ci travolge in maniera passiva, dove tutto è giustificabile compreso la violenza. Noi interagiamo con l’altra persona e non può essere vittima di ciò che pensiamo. Quindi l’amore deve essere pensato in maniera attiva, come dice bell hooks, scrittrice che è stata fonte di ispirazione per Jennifer ne Il capitale amoroso, in modo tale che molto probabilmente potrebbero cambiare le dinamiche della violenza.

Dopo la risposta di Jennifer Guerra, Luisa Longobucco ha posto una questione a Valentina Mira in quanto narratrice nei suoi libri di episodi di violenza e di molestie con protagonisti persone vicine alla scrittrice, ossia: come cambiano, nella sua esperienza personale e non solo, il concetto di consenso e le caratteristiche della violenza all’interno delle diverse relazioni? Inoltre, riprende una presentazione di Valentina Mira a Padova dove diceva che la violenza non è una questione di desiderio, quanto di potere e di come il potere patriarcale possa essere multiforme nella repressione dei corpi delle donne.

Valentina Mira ha fatto una premessa dicendo che non tutta la violenza è subita e che non tutte le forme di violenza agita sono negative. Ha citato il libro di Ilenia Rossini, una storica che ha scritto Un fiore che non muore, un libro che parla delle partigiane che cerca di smontare la narrazione che viene fatta di queste, come ad esempio il fatto che abbiano fatto solo il lavoro di cura, quando invece hanno commesso anche loro atti violenti. Inoltre, fa una distinzione tra disobbedienza e conflittualità, dicendo che non possiamo fermarci alla categoria della disobbedienza come donne e soggettività oppresse, ma dovremmo rivendicarci anche la conflittualità.

La violenza rivendicabile, ossia quella fatta dagli oppressi nei confronti degli oppressori è evidente: bisogna tener conto di chi l’agisce verso chi l’agisce, ossia dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso. Le varie forme di violenza sono tante, e nei suoi libri ha cercato di collegare i puntini di quello che è il patriarcato tra la sua esperienza molto normale e banale, quella familiare, la violenza sessuale, quella delle forze dell’ordine in un tentativo di denuncia dello stupro, e all’ambito di lavoro. Per ambito di lavoro intende quello del giornalismo, che è un ambiente molto problematico in Italia, in quanto sono i giornalisti a costruire la narrazione degli stupratori come “il gigante buono”, “quello che salutava sempre”, “ottimo marito”, “ha avuto un raptus”.

Michela Murgia ha formulato un decalogo per insegnare ai giornalisti a fare il loro lavoro ed inoltre bisogna fare i conti con il fatto che adesso ci sono i dati. Verso il 2019 c’è stata un’indagine anonima della Federazione nazionale Stampa italiana (FSNI), da cui è uscito fuori che l’85% delle giornaliste in Italia ha subito molestie da parte di capi e colleghi. Questa è una delle violenze di genere meno trattate in Italia, perché non c’è stato il movimento #MeToo. Nel mondo dell’editoria c’è stato il collettivo Moleste che è nato e ha raccolto storie di cui tutti sanno i nomi delle persone segnalate, ma non si è mai fatto niente. Nel mondo del cinema si sta muovendo qualcosa, con il caso di Fausto Brizzi. Il massimo che si è fatto nel mondo del giornalismo italiano è quello di cambiare di sede chi ha compiuto molestie.

Siamo in un paese in cui si ripete sempre che la violenza è sbagliata, ma nonostante questo esiste la legge sulla legittima difesa. Una possibilità è sempre reagire con violenza nel momento in cui ti fanno una violenza. Ma questo non è un modo per sminuire chi non reagisce con violenza nell’immediato, perché anche Valentina stessa racconta di non aver reagito nel momento in cui ha subito una violenza, soprattutto per com’è descritto lo stupro in Italia. Dobbiamo avere gli strumenti per saper riconoscere una violenza sessuale, a prescindere dalla narrazione mainstream che viene fatta, e nel momento in cui la sappiamo riconoscere dobbiamo capire che possiamo essere anche noi violente a nostra volta. Ha citato Difendersi, un libro di Elsa Dorlin che racconta il caso di una ragazza di Verona dove le era entrato un vicino in casa che ha tentato di stuprarla, e nel tentativo di liberarsi e difendersi, lui l’ha ammazzata. Perciò non c’è un vademecum su come comportarsi. Il punto è su come non si dovrebbe reagire nel post-stupro e su come la società non ti sostenga in questi casi. La cosa ideale sarebbe trovare un centro-antiviolenza e affidarsi alle compagne.

Stella Salis ha concordato sul modo in cui l’affidarsi alle compagne possa essere una forma di amore nei momenti in cui si subisce una violenza, giungendo così all’ultima domanda per entrambe: Jennifer, ne Il capitale amoroso parla della forma di amore Agape, l’amore incondizionato basato su altruismo e compassione, accennando al potenziale rivoluzionario che può avere se diventasse prassi politica. Invece Valentina in X esplicita il fatto che non sia solo un libro sulla violenza, ma è anche un libro che parla d’amore. Come dice bell hooks, l’amore può diventare strumento per elaborare alternative al potere e quindi come fare per rendere l’amore e le relazioni una prassi politica e come questa può essere parte della lotta contro il patriarcato?

Jennifer Guerra ha affermato che questa forma di amore pratico per lei è stato il femminismo. Nella sua esperienza, lei si prende cura di tutte le soggettività oppresse, anche delle donne che non la pensano come lei, perché è facile compiere atti femministi con chi è già in un’ottica femminista. Il femminismo come cura va anche oltre le compagne, ed è un lavoro faticoso. C’è tanta interdipendenza tra questa forma politica di amore e l’amore che prova ogni giorno nei confronti delle persone che ama e di sé stessa, quindi deve essere recuperato questo nesso.

Valentina Mira, dal suo canto, è stata molto d’accordo sul non limitare le forme d’amore solo verso le compagne, ma c’è un limite. Per far si che l’amore possa diventare prassi politica, non bisogna dimenticarsi dell’odio. Nel movimento femminista antifascista bisogna riconoscere l’esistenza del limite nell’aiutare chi la pensa diversamente da noi, come ad esempio i fascisti o le politiche di destra. Ha concluso con una citazione: «Bisogna uccidere il maschio dominante dentro e fuori di noi», e secondo lei questo è strettamente legato al discorso dell’amore come prassi politica. Anche nelle narrazioni di bell hooks ha trovato una problematica finale, in quanto la scrittrice è figlia di un uomo di chiesa e la chiesa cattolica prende delle cose che sono paternalistiche. Secondo lei non si può evangelizzare il femminismo, perché una persona se vuole essere femminista cerca e chiede gli strumenti per poter agire da femminista.

È stato molto interessante l’intervento da parte del pubblico che vede la questione della cura come un atto rivoluzionario. Bisogna partire da quello che vuol dire cura per dare valore alla nostra società. La cura è stata sempre una responsabilità della donna, fortemente misconosciuta e poco remunerata nonostante siano alla base delle grandi ricchezze. Dovremmo riconoscere il valore della cura all’interno delle nostre famiglie, piuttosto che spartirlo. Prende come esempio le maestre e di come queste siano quasi sempre solo donne e di quanto ci sia bisogno di una visione diversa di genere all’interno delle scuole. Bisognerebbe partire dalla cultura dal basso, a insegnare ai bambini che la cosa più importante è il prendersi cura e che poi da quello si impara a chiedere e a prendere.

In risposta all’intervento Jennifer Guerra ha affermato che a un certo punto della nostra vita avremo bisogno di “essere curati”, e che diamo per scontato questo aspetto, che tendiamo a disprezzarlo, facendo l’esempio delle donne straniere che arrivano in Italia e di come queste vengano indirizzate solo a svolgere il lavoro di cura come badanti. Il lavoro di riproduzione è quello che manda avanti il sistema capitalista.

Valentina Mira ha invece affermato che il lavoro di cura è riconosciuto come problema, ma il punto è come si risolve questo problema. Fa l’esempio della questione sul fatto: “le casalinghe devono essere retribuite?” dove c’è una corrente che è favorevole ed un’altra che non lo è perché così si disincentiva l’entrata delle donne nel mondo del lavoro. Secondo lei, in un’ottica reazionaria, dovrebbe esserci il reddito di base affinché una donna non debba rifiutare di andarsene di casa nel momento in cui ha a che fare con un marito violento solo perché percepisce un reddito da casalinga.

L’ultimo intervento da parte del pubblico ha affermato esserci uno studio portato avanti da antropologhe e attiviste che parla di economia del dono. Si mette al centro l’economia del dono che accende i riflettori sulla figura femminile in quanto tutta la vita nasce dal dono materno che la madre fa al figlio che è alla base dell’umanità stessa. Hanno studiato delle società in Cina che mettono al centro del loro sistema economico il dono, anziché lo scambio monetario e hanno capito che da questo punto di partenza può nascere un’economia e una società senza rapporti di potere. Il problema non è monetizzare la cura, ma mettere la cura al centro dell’economia e da questo parte tutta una costruzione che l’economia mondiale ha distrutto.