Battaglie in Sudamerica: la lotta delle sinistre in Cile, Perù e Brasile

Un report del dibattito “Il momento della sinistra” tenutosi al Festival di Internazionale Ferrara

24 / 10 / 2022

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rivitalizzazione della sinistra nel continente sudamericano: Cile, Perù, Bolivia e ultimamente anche il Brasile ne sono gli esempi più emblematici. Nel corso del dibattito “Il momento della sinistra” avuto luogo al Festival di Internazionale Ferrara si è parlato di ascese, difficoltà e controversie dei movimenti progressisti che stanno caratterizzando attualmente la scena politica in Sudamerica.

Recentemente in Cile abbiamo assistito ad un evento storico per il Paese: la votazione del referendum per cambiare la costituzione voluta da Pinochet nel 1980. La nuova costituzione scritta dall’Assemblea costituente e voluta fortemente dal Presidente del Cile Gabriel Boric è stata però rifiutata in maniera decisa il 4 settembre, con oltre il 60% di no. A tal proposito, Patricio Fernandez, giornalista e membro dell’Assemblea, ha riflettuto sulle cause della sconfitta di quella che avrebbe dovuto essere la “costituzione più progressista del mondo”.

Alcuni punti parlavano della creazione di uno stato plurinazionale, di democrazia diretta, salute, pensioni, educazione, e anche di indipendenza per le popolazioni indigene (tema, quest’ultimo, assai divisivo in Cile); ed è forse per la radicalità delle soluzioni proposte dal nuovo governo che una larga fetta di persone non si è sentita rappresentata dalle istanze proposte e il rechazo ha avuto la meglio. 

Patricio Fernandez spiega come il Cile sia attualmente un laboratorio politico dove, parafrasando Gramsci, «il vecchio muore e il nuovo non può nascere». Al potere c’è adesso una generazione senza esperienza istituzionale che non ha vissuto direttamente la dittatura di Pinochet ma che al contempo è stata coinvolta direttamente dai grandi fenomeni degli ultimi trenta anni: l’avvento di Internet, le lotte femministe, la prepotente crisi ecologica. 

Il governo di Boric sta cercando di porre rimedio ai danni causati dalle politiche neoliberiste adottate da Pinochet, e per farlo deve essere in grado di farsi portavoce di istanze sì progressiste, ma che faccia sentire davvero rappresentati i suoi cittadini.  Cercando di perseguire questa strada, il Presidente del Cile ha messo in atto alcuni cambiamenti sin dal giorno successivo alla sconfitta, sostituendo alcuni dei suoi amici delle manifestazioni studentesche del 2011 con alcuni ministri legati alle istituzioni.

E a proposito di porre rimedio ai disastri attuati da politiche neoliberiste si è espressa anche la giornalista peruviana Gabriela Wiener. Anche qui in Perù il nuovo governo di Pedro Castillo deve ancora scontare i danni causati dal dittatore Alberto Fujimori, in carica dal 1990 al 2000, che adottò non solo un regime autoritario e repressivo, ma introdusse un modello economico di stampo liberista, ad oggi ancora protagonista della vita economica. Castillo, Presidente della Repubblica dal 2021, è un politico per certi versi anomalo. Senza aver mai coperto una carica istituzionale prima di essere eletto, era insegnante in un villaggio rurale del Perù e leader sindacalista, motivo per cui si è attirato le simpatie di buona parte dei cittadini poveri, come i lavoratori delle Ande abbandonati dallo Stato e vittime dell’estrattivismo. Essere uno di loro ha permesso a Castillo non solo di vincere le elezioni (seppur di poco) ma anche di lenire le critiche rivolte a certi passi del suo programma che, per quanto fosse in difesa di lavoratori e lavoratrici, presentava alcune evidenti criticità (essere contro l’aborto, contro i diritti delle persone LGBTQIA+ e a favore dell’istituzione della pena di morte). E nonostante alcuni dei punti più conservatori siano stati smussati successivamente, altre critiche - prima di tutte quella di corruzione - gli sono state rivolte da quando è in corso la sua presidenza. Al netto di tutto ciò, secondo la giornalista Wiener seguirlo è l’unica opzione che ha il Paese per evitare il ritorno di correnti fujimoriste ancora vive e presenti nel territorio.

L’ultimo tema affrontato durante il dibattito è una questione tuttora apertissima: la corsa per la presidenza del Brasile che si sta correndo adesso tra Lula e Bolsonaro; dell’argomento se ne è parlato con la giornalista Carola Pires (co-sceneggiatrice del documentario prodotto da Netflix Democrazia al limite). Il dibattito si è tenuto prima delle elezioni che non hanno portato ad un vincitore definitivo. La sfida dunque prosegue e le speranze di vittoria sono tutte per Lula, già presidente del Brasile dal 2003 al 2011 e, proprio come Pedro Castillo, proveniente dal mondo del sindacalismo.

Durante il primo mandato il Brasile sembrava vivere un periodo stupendo, testimoniato anche da grandi avvenimenti come i Mondiali di calcio nel 2006; successivamente Lula è stato vittima di una campagna di persecuzione che si è conclusa con la sua incarcerazione nel 2018, ritrovandosi costretto a non partecipare alle elezioni e lasciando il campo libero all’ascesa di Bolsonaro.

La presidenza di quest’ultimo ha fatto cadere il Paese in uno stato di disagio molto più grande rispetto a prima e si è resa protagonista di scelte estremamente negative su ambiente, sanità e mille altre tematiche.

Un fatto emblematico è il numero di persone armate: Carol ricorda come ad inizio mandato ce ne fossero circa trecentomila mentre adesso se ne stima circa un milione; si tratta di gente stremata ed impoverita. Adesso l’alleanza costruita da Lula per le elezioni è ampia e al suo interno sono presenti diverse correnti e tutte necessarie a frenare una eventuale seconda vittoria di Bolsonaro.

Il futuro del Brasile è adesso nelle mani dei cittadini, e a noi rimane la speranza di un’altra vittoria tesa ad arginare le destre, che nostro malgrado stiamo imparando a conoscere così da vicino.

Immagine di copertina: l'esultanza di Pedro Castillo dopo la vittoria al secondo turno delle elezioni presidenziali in Perù, avvenuta il 6 giugno 2021.