Avere 13 anni e un corpo che appartiene a tutti

Bangladesh, oggi: la realtà delle ragazzine che si prostituiscono ricorrendo alla «cow pill», una pillola a base di steroidi che le fa apparire più adulte

3 / 7 / 2020

Esistono migliaia di storie individuali di esperienze collettive che ignoriamo quasi completamente. Esistono protagonisti senza nome sparsi in diverse parti del mondo, seminati in diversi momenti storici, tutti però accumunati dal vivere sulla propria pelle oppressioni e lotte che noi in genere ascoltiamo o leggiamo distrattamente sui media, ma che per loro sono realtà concretissime. Questa serie di racconti brevi ci trascina nel mondo quotidiano di queste persone e, attraverso i loro ricordi, frammentati e incompleti come quelli di tutti, ci permette di ricostruire la loro storia e di approfondire contesti lontani dalla nostra conoscenza diretta. La prima puntata della rubrica "Suture"- che uscirà ogni giovedì alle 12.30, a cura di Valeria Andreolli.

L’atto è sempre lo stesso. Ripetuto migliaia di volte.

Lui si struscia. Magari devi toccarlo un po’. E poi comincia a dimenarsi sul tuo corpo come se fosse invasato da una strana divinità. Certe volte a questo punto hai già finito il lavoro: puoi lasciare che faccia tutto da solo e fuggire, col pensiero, in qualche posto lontano.

Magari neanche troppo lontano, solo un posto diverso da Bani Shanta, l’isoletta semisprofondata tra le paludi bengalesi dove abiti ormai da qualche anno. Puoi tornare al villaggio in cui sei nata, dove vivevi con la tua famiglia: una madre gracile e affettuosa, un padre affaticato con le guance scavate dalla miseria, due fratelli che partivano la mattina presto e che rivedevi solo in tarda serata e una sorellina appena nata che non sapeva ancora parlare. Ma adesso avrà sicuramente imparato qualche parola, adesso saprà perfino camminare e chissà, magari ti somiglia.

Eppure è incredibilmente faticoso tornare ai giorni della tua infanzia. I ricordi sono sfumati e ti pare si stiano cancellando, un po’ alla volta. Però te lo ricordi bene il giorno in cui sei stata portata sull’isola. Vi eravate svegliati presto e con tua madre e tuo padre avevate dovuto viaggiare mezza giornata per arrivarvi. Avevate incontrato una donna sulla cinquantina, grassa; tu non avevi mai visto una donna grassa. Ti sembrava emanasse salute da tutti i pori, ti sembrava fosse bellissima. Ti aveva fatto un mezzo sorriso e aveva messo un sacco di soldi in mano a tuo padre. Tu avevi pensato che con quei soldi avreste potuto vivere per sempre ed eri felice. Però tua madre scoppiò a piangere e corse via e tuo padre ti fece una carezza con un’espressione triste in volto e se ne andò anche lui. Tu non esprimevi nessun giudizio sui tuoi genitori, d’altronde all’epoca avevi solo diec’anni e tutto il mondo in cui eri vissuta fino ad allora era fatto di vita rurale e pasti scarni e taciturni.

Ed ora eri capitata in un luogo affollato e rumoroso, ricco di colori e degli odori più strani. Gli odori erano una delle cose che ti avevano da subito affascinato di più. Ogni uomo aveva un odore: c’erano i marinai che sapevano di pesce e di fango, gli scaricatori di porto che puzzavano di sudore rappreso e poi c’erano i turisti, sempre carichi di strane fragranze che rimandavano a mondi lontani, impossibili.

Questo per esempio doveva essere un marinaio. Oltre che dall’odore, lo si riconosceva dalla pelle bruciata e dall’atteggiamento presuntuoso con cui ti aveva rivolto la parola. Prima di lui c’erano stati due scaricatori di porto, un poveraccio che non ti aveva dato una lira e un turista francese.

I primi mesi della tua vita sull’isola non saresti mai riuscita ad avvicinare tanti clienti in un giorno. Eri così magra e giovane che gli uomini ti guardavano con un misto di disgusto e vergogna e passavano oltre. Così dopo qualche tempo la donna che aveva arricchito i tuoi genitori t’aveva messo in mano un blister contenente dieci pastiglie bianche e ti aveva detto di prenderne una al giorno. Hai visto il tuo corpo trasformarsi, stirarsi, gonfiarsi: hai attraversato tutta la pubertà in qualche settimana e ti sei ritrovata con delle curve da donna e un viso coi dei lineamenti da bambina. Hai cominciato a truccarti allo stesso modo delle altre ragazze, un po’ goffa, un po’ ridicola, forse addirittura un poco oscena, animata dall’illusione che tutta quella cipria con cui ti copri il viso e il rossetto che tanto ti piace premerti sulle labbra nascondano la tua minore età.

Sembra che abbia finito. Ora è fermo sopra di te e fa dei respiri profondissimi. Finalmente si alza, si riveste senza guardarti e ti lascia una manciata di monete davanti allo specchio in cui ti guardi prima di appollaiarti sull’uscio a lanciare languide occhiate ai passanti. Se ne va senza dirti una parola.

Un’altra giornata è finita.

** Liberamente tratto dal Reportage di Ettore Mio, su Il Corriere della Sera, 19 agosto 2012

** Pic Credit: Andrew Biraj - Reuters