Appunti da Multiversity ovvero l'arte della sovversione

22 / 5 / 2008

Venezia, Magazzini del Sale

Le tre giornate del seminario “Multiversity (ovvero l’arte della sovversione”) svoltosi alla Punta della Dogana a Venezia, S.A.L.E dock il 16-17-18 maggio, non potevano essere più ricche di spunti e di analisi.

Pacate ma determinate indicazioni per un mondo a venire di Venezia che forse dovrebbero scuotere, più ancora della pioggia e del vento di questo fine settimana, i teloni che ricoprono il cantiere dei lavori dove sta crescendo il nuovo museo di arte contemporanea proprio là alla punta della Dogana.

Lascia però la voglia si saperne di più proprio perchè l’inchiesta fatta a Venezia su lavoro cognitario e città antica inserita in un territorio metropolitano, da cui forse è partita l’esigenza di questo seminario, non può rimanere solo un esercizio accademico, tanto per vedere che mondo ci circonda, non può essere solo il racconto di numeri e di tendenze ma vien voglia di saperne di più proprio di chi il S.A.L.E lo ha fatto e lo sta facendo.

C’erano critici, galleristi, intellettuali, artisti, mercanti (anzi critiche, galleriste, artiste perchè stranamente in questa sessione le donne erano la maggioranza, forse perchè quando si parla della vita professionale sono presenti le donne ma quando si parla di politica difficilmente il microfono è in mano ad una donna. Ma questo è un altro discorso e meriterebbe un po’ di attenzione…) di cui sappiamo o possiamo sapere tutto dalla rete in un battito di clik ma non sappiano niente delle vite di chi ha permesso che questo seminario venisse fatto in un luogo liberato, sottratto…. Se infatti questo spazio non è uno spazio no-profit né alternativo ma quello in cui si traducono i conflitti quotidiani singolari in pratiche collettive di conflitto vorremmo che fosse svelata la creatività delle vite di quelli che lo abitano e lo agiscono.

Se, come sacrosantamente dice Judith Revel, arte è inventare se stessi (e inventare anche le relazioni con gli altri e il mondo), e se è necessario investigare la vita dei soggetti, i loro desideri, le loro voglie, i loro bisogni, allora questo è esattamente il contrario della sublimazione della pratica di resistenza, che spesso viene praticata all'interno dei movimenti.

Chi ha permesso al S.A.L.E di esistere sono forse giovani stagisti non pagati che per sopravvivere poi lavorano nei ristoranti alla sera , donne che si dividono tra un paio di lavori a contratto e il far crescere un figlio, attivisti che si dividono tra una manifestazione in provincia e l’istallazione del palco di un concerto, eterni studenti troppo occupati in questa produzione biopolitica per finire l’università, o altri che l’università l’hanno finita ma per non sentirsi schiavizzati preferiscono sperimentare altre strade, o chi ha trovato lavoro ma ha paura che sia “per sempre”e quindi in conflitto tra il bisogno di uscire dalla precarietà e quello di riempire di senso la propria vita.

Sono quelli che hanno occupato le case a Santa Marta, Castello, a Canareggio e che dopo averle occupate ora le restaurano con sistemi innovativi. Poi ci sono quelli che passano al S.A.L.E , mettono dentro la testa tra un concerto e un seminario e magari dal seminario se ne escono subito perchè sembra pomposo e perché, nei tavoli, ci sono gli altri che parlano, quelli che, precari dell’ università, fanno oggetto di ricerca la difficoltà delle vite loro e degli altri.

E allora proprio pensando a chi ha permesso al S.A.L.E di esistere ( e dico il S.A.L.E ma ce ne sono tanti di posti così nelle nostre città) e di parlare di ARTE/ ATTIVISMO/ POLITICA vien da pensare che per tenere viva Venezia o resuscitarla, perchè sta proprio spirando, c’è solo da augurarsi che questi si rendano visibili, pezzi d’arte inconsapevoli, inventori di se stessi che, come ha giustamente sottolineato Judith Revel, è l’opposto dell'essere imprenditori di se stessi.
Visibili a chi, fuori Venezia, nel Veneto metropolitano, sta vivendo lo stesso segreto atto creativo, a Verona, a Vicenza, a Padova, a San Pietro di Rosà, a Schio fin su nelle montagne di Folgaria, perché i desideri dei singoli si incontrino e si riconoscano nella comune irriducibilità al comando.

Vite come atti creativi artistici che solo da questi possono essere salvate essendo loro il “sabot” del “sabotaggio”, che si vedano e riconoscano loro stessi di essere atto creativo artistico e da quel riconoscimento ricavino anche solo un attimo di piacere assoluto.

Se queste soggettività che sperimentano in continuazione nuove pratiche di vita fossero coscienti del loro divenire creativo, asimmetrico a quello del potere che continua ad ingurgitare spazi di libertà (perchè il potere, come ha detto Judith Revel, ha bisogno della libertà, agisce sull’azione degli altri, quindi viene sempre per secondo), da qui potrebbero partire le “allegre brigate” capaci di fare inchiesta perché capaci, partendo da sé, di oltrepassare il sé, di interrogare la vita, la propria e quella di quanti nel territorio sperimentano varie forme di resistenza rispondendo ai propri desideri irriducibili al potere, contaminandosi e costruendo spazi comuni.

Questi non sono altro che lo specchio che riflette la pratica che nei seminari viene teorizzata: quella delle api (non operaie) che succhiano la vita, girando rizomaticamente per la metropoli. E questa vita la restituiscono sotto forma del miele della produzione cooperante.
Non servono infatti militanti che sognano macchine da guerra ma "allegre brigate" sguinzagliate e aperte al territorio.

Un'immagine ha segnato il seminario di Multiversity, quella dell’artista Paul McCarthy che in un filmato insegue il suo agente gridandogli “Give me back my money” in rivendicazione del proprio valore che il capitale tenta
continuamente di assorbire.

Il "Give me back my money", non come gesto singolare, ma dentro uno spazio comune di autovalorizzazione, altro non è se non, mutatis mutandis, la richiesta di salario nudo e crudo di operaista memoria; quella richiesta che inflazionò a tal punto da affrettare, come minimo, il tracollo del fordismo. E su che cosa interroga se non sulla richiesta di un (nuovo) Welfare che non potrà non essere se non europeo e che abbiamo imparato a definire come reddito di esistenza? A retribuire la forza produttiva che è la nostra vita. Che poi è arte.
E qui il cerchio si chiude.

Presentazione Multiversity - L’arte della sovversione
tutti gli audio di Multiversity
16-17-18 maggio - S.a.l.e docks - Venezia
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www.sale-docks.org
www.myspace.com/saledocks187