Alteristituzioni, autonomia e cattura capistalistica: “L’autunno caldo del curatore”

24 / 11 / 2021

Come possiamo trasformare lo spazio istituzionale dell’arte da dispositivo di cattura e neutralizzazione delle radicalità a luogo di sperimentazione per un’arte del comune? Che cos’è, come può agire e cosa deve immaginare un’alter-istituzione? È possibile infrangere l’agire neoliberale dell’arte contemporanea? Il mondo dell’arte non è un territorio neutro, si costruisce attraverso rapporti di forza, disuguaglianze e precarietà economiche, affermazioni di individualismi e retoriche politicamente impegnate.
Possiamo e dobbiamo immaginare luoghi di autonomia, riprogettare biografie, deterritorializzare le istituzioni artistiche e organizzare l’intelletto sociale creativo.

L’autunno caldo del curatore. Arte, neoliberalismo e pandemia è una raccolta di saggi di Marco Baravalle che affronta questi interrogativi. Pubblicata da Marsilio Editori (2021, pp.168, € 18), con una prefazione di Manuel Borja-Villel, è parte di Incommon, collana diretta da Annalisa Sacchi. L’intento è di unire le riflessioni attorno lo statuto dell’arte contemporanea e le sue implicazioni economiche e politiche, attraverso una rilettura storica che parte dal “lungo Sessantotto” e giunge a immaginare differenti modelli di rapporto tra città, arte e grandi eventi. Nel mezzo, la costruzione di una emotiva geografia personale utile a comprendere l’agire del Sale Docks di Venezia (di cui l’autore è attivista) e che passa dalla critica dell’imprenditoria neoliberale del sé - analizzata nell’operato dei curatori Harald Szeemann e Hans Ulrich Obrist - al recupero di figure quali Enrico Crispolti e Giuliano Scabia e del loro tentativo di agire l’arte nel sociale.

La seconda parte del libro esplicita la propria ambizione trasformativa. Lo fa con l’introduzione di un concetto fondamentale: quello di “alteristituzionalità”. La necessità di sorpassare la teorizzazione delle pratiche artistiche relazionali e antagoniste genera una lucida e puntuale decostruzione delle retoriche della necessaria autonomia dell’arte e dell’immanent togetherness. Lontana dalla semplificazione univoca delle differenze sociali e dalla critica come sola enunciazione, la svolta alteristituzionale immaginata da Baravalle “non è un movimento artistico ma un’operatività che si sviluppa su piani differenti: produzione artistica, produzione teorica, management e curatela”. È importante notare che, tra gli esempi di alteristituzioni presentate, vengano rintracciate finalità similari e problematiche costanti. Progetti quali The Immigrant Movement International di Tania Bruguera, The Silent University di Ahmet Ögüt o The New World Summit di Jonas Staal hanno in comune un  intento pedagogico, il lavorare frequentemente sul rapporto tra visibilità-invisibilità di soggetti marginalizzati e minoranze e il tentativo di un utilizzo consapevole delle nuove tecnologie. Definiti “alteristituzioni culturali governamentali”, sono spesso opere autoriali subordinate ai flussi di finanziamento che ricevono e che ne mettono in discussione l’esistenza stessa. Per chiarezza, viene definita governamentale “quella modalità che procede per cattura, non soffocando le libertà e le eccedenze, ma piuttosto basandosi sulla loro continua valorizzazione”.

Ad una seconda categoria denominata “alteristituzioni culturali autonome” appartengono invece luoghi quali Sale Docks (Venezia), Ex Asilo Filangeri (Napoli), Macao (Milano) e Teatro Valle Occupato (Roma), esperienze che, nel presente e nel passato, sono state in grado di creare tensioni nei rapporti di forza tra costruzione di autonomia e cattura governamentale. Si tratta di esperienze nate da processi di occupazione e riflessione sopra il bene comune, si distinguono per modalità di gestione collettiva, processi di soggettivazione alternativi, per il ripensamento costante delle loro identità ed economie e per la loro resistenza ai processi di privatizzazione della città contemporanea.

La terza ed ultima parte del libro è dedicata a Venezia (ed alla sua Biennale). La pandemia ha svelato le fragilità della ricetta neoliberale, delle città e dei nostri modi di abitarle, in particolare modo dei nostri rapporti sociali ed economici. Venezia non è un’eccezione, bensì un esempio avanzato delle fragilità di un modello che la vuole accogliente con i turisti, costosa per i cittadini e sempre pronta a rispondere alle nuove logiche del mercato dell’arte, in altre parole a tramutarsi in un “eventificio”. È in questa città pensata come “fabbrica della cultura” che S.a.L.E. Docks ha costruito nel tempo una successione di inchieste ed azioni, allo scopo di ripensare l’abitare e le politiche culturali cittadine dettate dall’agenda della Biennale di Venezia. È con un tentativo di ripensamento propositivo dell’operato di questa istituzione culturale che si conclude il libro, immaginando una possibilità di tramutare un evento temporaneo e autoreferenziale in un programma collettivo che agisce permanentemente sullo spazio pubblico con e per i cittadini, gli artisti e gli studenti.

L’autunno caldo del curatore. Arte, neoliberalismo e pandemia è un’analisi personale e allo stesso tempo lucida dell’arte politica e della politica dell’arte. È un libro situato e scritto in una città, Venezia, che tuttavia sa confrontarsi e dialogare con realtà internazionali, a testimoniare che operare in luogo determinato non significa rinchiudersi in ottiche locali. È un libro che genera nuovi saperi e interrogativi, un libro per studenti, attivisti, politici, curatori, direttori di museo, cittadini e artisti.  Ma cosa più importante, non è un libro tramutato in vita, ma una vita scritta in un libro, che testimonia l’impegno dell’autore in quanto attivista e curatore.

Le alteristituzioni culturali autonome sono imprescindibilmente legate ai movimenti sociali e alla cittadinanza attiva politicamente, necessitando di una passione costante e collettiva per il loro funzionamento. In un periodo storico di sottrazione dello spazio pubblico, ma anche di nascita di movimenti per le rivendicazioni di genere, per la giustizia ecologica e contro la discriminazione razziale, potrebbe essere necessario ripensare le energie sociali in campo e i modelli di organizzazione e azione delle alteristituzioni culturali autonome. Come fare i conti con le esigenze disparate e i desideri di ogni singolo membro, mantenendone simultaneamente le libertà? Come generare nuove economie di vita differenti e sostenibili, personali e collettive, politiche e artistiche? Come alimentare spazi di conflitto, gioia e azione dell’arte? È cercando di ordinare e riassumere le idee e i tentativi, susseguitesi negli ultimi anni all’interno delle alteristituzioni culturali autonome, che L’autunno caldo del curatore. Arte, neoliberalismo e pandemia diviene non solo un filtro per leggere la storia recente, ma anche un pensiero d’immaginazione per un nuovo presente.