una riflessione di S.a.L.E.-Docks

A proposito di "The Mosque", la moschea-installazione di Venezia

Contro i Fascismi e la “Sottomissione”. Ancora con lo sguardo a Kobane.

23 / 5 / 2015

Quando l'arte è declinata prima di tutto come provocazione ci interessa poco. Vorremmo infatti sottrarci alla reazione che la provocazione si attende, quella di fare parlare di sé innanzi tutto a scopo autopromozionale. Per questo abbiamo resistito fino all'ultimo prima di prendere parola sull'opera di Christoph Büchel, la moschea-installazione allestita nella chiesta sconsacrata di S. Maria della Misericordia a Venezia che tanto dibattito ha suscitato in città e sui media internazionali.
Non ci soffermeremo quindi sull'operazione in sé, sulla goffa decisione del Comune di chiudere temporaneamente il padiglione adducendo ragioni di “messa a norma” e permessi mancanti per la pratica del culto. Ci interessa invece prendere la questione a pretesto per dire, partendo da alcuni scarni elementi storici, qualcosa in merito al campo politico cui questa opera allude.
La premessa è scontata, crediamo che laicità significhi anche libertà di culto, per cui rigettiamo con forza gli altrettanto scontati, ma mai sottovalutabili, cori di odio e razzismo che si sono puntualmente levati dai vari neofascisti, leghisti, e fratellini d'Italia.
Scegliamo quindi di guardare alla storia da una prospettiva opposta rispetto all'ottuso sguardo fondamentalista o identitario.
La relazione tra Venezia e Istanbul, come quella tra l'Europa cristiana e l'Islam è certamente segnata da conquiste e reconquistas, da uno spirito crociato in cui si mischiano radici spirituali e interessi politici. Eppure, per un periodo di circa mille anni, dal 711, anno di inizio della risalita araba della penisola Iberica fino alla chiusura del Fontego dei Turchi (1838) a Venezia, passando per Lepanto (1571), il rapporto tra Europa e mondo islamico si manifesta anche come una storia di legami stretti, di ospitalità reciproca, di commerci e di scambi, di spirito inter-religioso e di ibridazioni. E non è casuale che di queste ibridazioni l'arte sia una delle testimonianze più chiare.
Se pensiamo alla presenza araba in Spagna ci viene in mente l'arte mozarabica, quella dei Cristiani sotto la dominazione islamica a cavallo dell'anno 1000. Pensiamo agli straordinari Commentari dell'Apocalisse, compilati da Beato di Libeana, poi riprodotti e riccamente miniati. Certo, in quell'epoca i Commentari rappresentavano un libro di resistenza alla dominazione islamica, l'Apocalisse diveniva metafora della Reconquista, ma le miniature, fondendo la figuratività di matrice cristiana con elementi di provenienza araba, davano vita ad un modello di incredibile modernità figurativa, anticipando soluzioni formali che paiono riemergere nel Cubismo e nell'Astrattismo. Lo stesso vale all'inverso: lo stile Mudéjar testimonia della permanenza dei Musulmani in quelle terre di Spagna ritornate sotto la dominazione Cattolica. Così l'Alcàzar di Siviglia fu ampliato da Pietro I di Castiglia utilizzando maestranze more, dando vita ad uno stile che esplicita le diverse influenze (anziché imporne una a discapito dell'altra).
Così avvenne, per secoli, anche nella storia della Serenissima, una storia di conflitti e di strette relazioni commerciali e culturali con l'Impero Ottomano. I rapporti di relativa indipendenza di Venezia nei confronti del Papa fecero sì, ad esempio, che qui venne prodotta nel XVI secolo la prima copia a stampa del Corano. Celebre è anche il ritratto del Sultano Mehmet II che Gentile Bellini dipinse nel 1480. Il pittore veneziano si trovava a Istanbul su specifica richiesta di Mehmet, tanto per dimostrare quanto esistesse tra i due Stati un reciproco interesse culturale.
Ogni identitarismo esasperato, dal canto suo, spinge infine alla violenza e alla distruzione del patrimonio artistico, percepito come la condensazione simbolica di civiltà ostili o dominazioni precedenti. Vediamo questo processo all'opera nella demolizione di reperti millenari da parte dell'Isis. Già, l'Isis...Decapita statue e uomini e i populisti nostrani lo agitano come uno spauracchio per arraffare qualche poltrona in parlamento. Saremo conquistati a colpi di scimitarra? O forse ci ha visto bene il triste Michel Houellebecq, cantore di un' Europa fiacca e cinica che, per un eccesso di real politik, si islamizza di buon grado, si sottomette in cambio di un poco di poligamia, di tanti petroldollari degli Emirati e della certezza della perpetuazione del Neoliberismo. Che l'opera/moschea di Buchel sia un'avamposto di questa islamizzazione morbida? Ne dubitiamo. Siamo invece consapevoli di lavorare per uno spazio politico che rifiuta l'alternativa tra il fascio/populismo e il cinismo/corruzione. E' lo spazio che guarda alla resistenza curda di Kobane e del Rojava. Una resistenza armata contro il fondamentalismo islamico a cui non si oppone un'altro culto, un'altra identità esclusiva, ma l'esistenza di un autogoverno non statuale, basato su un confederalismo democratico, sul rispetto inter-etnico e inter-religioso. E' là, verso il Kurdistan siriano che guardiamo oggi per trovare le nostre risposte di Europei, per non smarrirci, per non paralizzarci di fronte al terrorismo islamico o all'avanzata xenofoba.
Purtroppo dubitiamo fortemente che The Mosque diventerà una sorta di nuova grande moschea di Cordova, ma una piccola lezione la possiamo trarre. Il patrimonio storico sopravvive quando il suo uso evolve, si modifica, si stratifica. Qui la restituzione al pubblico di uno spazio chiuso (la chiesa sconsacrata veniva utilizzata come deposito di bibite fino all'intervento artistico) si deve più all'economia dell'evento Biennale che non alla comunità islamica locale. Eppure si tratta di una restituzione parziale, basata sul profitto privato del proprietario dell'immobile (in questo caso la Reggiani Spa, un colosso globale dell'illuminazione con sede in Brianza). Si tratta solo di un esempio tra decine e decine di casi simili, nel contesto di una città in cui chi lavora nel settore culturale è precario, dequalificato o “costretto” al lavoro gratuito. Il gesto di Büchel solleva ovviamente un problema importante, ma è disinteressato a risolvere la contraddizione in cui è intrappolato. La pratica sovversiva in cui dobbiamo impegnarci è quella di rovesciare questo modello economico, riportando la gestione di questo patrimonio (e la porzione di reddito che esso produce) nella mani della cooperazione sociale, restituendolo ad un uso comune, in cui cultura (parola che oramai suona vuota) diventi sinonimo di forza costituente. Esatto, non stiamo parlando di una provocazione, servirebbe una piccola rivoluzione.

S.a.L.E.-Docks