Mercoledì 10 luglio 2013
ore 21.00 (Open Stage)
Sherwood Festival (#sherwood13)
Park Nord Stadio Euganeo, Padova
I governi si susseguono senza farsi carico della risoluzione Onu che impone al nostro paese l'introduzione del reato di tortura. Un racconto per immagini di ciò che nel concreto questo ha significato e un'occasione per riflettere e discuterne.
Un confronto a più voci con: Claudia Guido (autrice del progetto), Filippo Vendemmiati (curatore della mostra, giornalista Rai, regista e autore del Docu-film su Federico Aldrovandi "E' stato morto un ragazzo"), Patrizia Moretti (mamma di Federico Aldrovandi) e Lucia Uva (sorella di Giuseppe Uva), Annamaria Alborghetti (Osservatorio Carcere dell'Unione Camere Penali), Giuseppe Mosconi - Presidente Antigone Veneto.
Presenta e conduce: Giuseppe Romano (Avvocato)
A seguire la proiezione di "E' stato morto un ragazzo", un film di Filippo Vendemmiati. Documentario, - Italia 2010
In Italia la tortura non costituisce reato: non esiste in tal senso alcuna normativa penale. Sono 25 anni che il nostro paese è inadempiente rispetto a quanto richiesto dalla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite, che l'Italia ha da tempo ratificato.
Tutte le proposte di legge presentate giacciono da anni in Commissione Giustizia, vittime di uno dei rari casi di perfetta omogeneità bipartisan delle forze politiche parlamentari. Sono passati quasi 12 anni dalle giornate del G8 2001 a Genova, dalle immagini di violenze poliziesche tanto feroci quanto ingiustificate ai danni di manifestanti inermi, da quanto accadde nei locali della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto.
Nulla è cambiato in ordine alla imposizione alle nostre quattro forze di polizia di norme certe circa le regole di ingaggio, l'uso della forza e delle armi, l'identificabilità del personale che quando opera in funzione di ordine pubblico è irriconoscibile: nemmeno un numero o una sigla sulle divise. Nulla è cambiato in seno alla cultura che soprassiede a questa intollerabile realtà.
Nel frattempo abbiamo imparato a ricordare i nomi Cucchi, Aldrovandi, Sandri, Uva e molti altri.
Sherwood Festival propone un racconto per immagini, che riguardano uomini e donne colpiti nei loro affetti dalla scomparsa di un familiare, vittima ancora una volta delle violenze e degli abusi compiuti dalle forze dell'ordine. Una testimonianza e un'occasione di riflessione e di discussione.
Progetto "Licenza di Tortura" di Claudia GuidoLa tortura vista dagli occhi dei familiari delle vittime di soprusi e violenze di stato. Venti ritratti, senza sangue o violenza diretta, ma sguardi di dolore alla ricerca di verità, che ci dicono che quello che è capitato a loro in questo paese potrebbe accadere a chiunque, spesso senza motivo apparente, nell’indifferenza e nel silenzio. Stiamo parlando del progetto fotografico Licenza di tortura di Claudia Guido, trentenne padovana che ha deciso di raccontare con alcuni scatti la storia di quelle famiglie che hanno perso un figlio o un fratello per mano delle forze dell’ordine.
Con il progetto “Licenza di Tortura” si ha l’intenzione di far
conoscere, attraverso una serie di fotografie di ritratto, i familiari
delle Vittime di abusi delle Forze Dell’Ordine. Si ha la speranza che in
questo modo le persone possano riconoscersi nella assoluta normalità
di, ad esempio: Patrizia Moretti e Ilaria Cucchi. Si vuole, avvalendosi
del linguaggio fotografico, umanizzare queste vicende, senza alcuna
drammatizzazione, senza alcuna forzatura del tutto non necessaria.
“Licenza di Tortura”
è anche una richiesta al governo italiano: nonostante la convenzione
Onu firmata 25 anni fa, l’Italia non ha ancora introdotto nel proprio
ordinamento il reato di tortura.
Autrice:
Mi chiamo Claudia Guido ho 30 anni, vivo
e lavoro a Padova. Dal 2011 lavoro al progetto "Licenza di Tortura", in
questo contesto ho iniziato una collaborazione con "Articolo 21"
(associazione per la libera informazione) scrivendo alcuni articoli sui
processi in corso e sulle vicende familiari dei loro protagonisti.
Descrizione del progetto: Il lavoro ha vissuto più fasi.
La prima è stata quella della ricerca,
sei mesi dedicati ad approfondire le informazioni e le fonti attraverso
internet, blog, social network, giornali online, libri e documentari.
La seconda è iniziata contattando Filippo Vendemmiati (autore e regista del docu-film su Federico Aldrovandi) per poi conoscere e fotografare le famiglie delle vittime.
La terza è stata quella della raccolta fondi. Ho lanciato una campagna di Crowdfunding
per raccogliere i soldi necessari a stampare le fotografie, più di
ottanta persone hanno creduto in me donando cifre da 1 a 500 dollari per
un totale di 2000 euro.
La quarta è quella ancora in corso:
il tour della mostra. Per ora le tappe sono state: Ferrara (Festa della
Legalità c/o Festival di Internazionale), Bologna, Soliera (Modena),
Brescia, (le prossime e vicine: Trieste, Urbino, Terni), Padova
(Sherwood Festival).
Le fotografie sono accompagnate da didascalie scritte da tre giornalisti che da anni seguono le vicende che ho voluto raccontare: Dean Buletti (Chi l’ha visto?), Cinzia Gubbini (Il Manifesto, Globalist), Checchino Antonini (Liberazione, Globalist)
Le fotografie:
Il progetto è composto da una
serie di 20 ritratti mezzobusto, frontali e in verticale. Ho scelto di
realizzare ritratti il più verosimili possibile, senza alcun tipo di
alterazione o forzatura in modo tale che non ci possano essere filtri
tra chi le guarda e chi è stato fotografato. Non c’è alcuna
drammatizzazione ulteriore, non c’è sangue, ciò che racconto sono
sguardi già pregni di
significato.
I soggetti sono completamente
decontestualizzati, non ho voluto inserire alcun elemento di richiamo.
Per contestualizzare, ad esempio, Patrizia Moretti (mamma di Federico
Aldrovandi) sarebbe bastato metterle in mano un manganello rotto, ma non
ho voluto sottoporre ad ulteriore violenza queste famiglie.