[*] Facoltà di scelta. La difficile situazione delle donne in Italia

1 / 2 / 2016

Abbiamo deciso di scrivere questo articolo per poter aprire una riflessione su quanto sta accadendo alle donne che scelgono di avere – o non avere – un figlio nel nostro paese.

Questo perché, nel decreto legislativo sulle depenalizzazioni del 15 gennaio è previsto l'inasprimento delle misure per le donne che si rivolgeranno a centri o persone non accreditate per interrompere la gravidanza. Il decreto prevede l'inasprimento delle sanzioni alle donne che si rivolgono a strutture non riconosciute dallo stato, con multe che passano da un massimo di 51 euro a un massimo di 10.000 euro (1, 2).

Ma è giusto attaccare le donne che abortiscono clandestinamente? Forse un excursus di quello che sta succedendo nel nostro paese in merito alla 194 può aiutare a fare chiarezza.

COSÌ MUORE LA 194

Percentuali mostruose di medici e infermieri che praticano l'obiezione di coscienza; cartelli di cartone che recitano mestamente: “qui non si pratica più l'igv”; liste d'attesa chilometriche, per cui le donne sono costrette a pagare cliniche private, se hanno i soldi per farlo; o a ricorrere ad un aborto clandestino, spesso e volentieri grazie all'acquisto di farmaci abortivi. Repubblica, in un'inchiesta realizzata nel 2013 che potete trovare qui, spiega chiaramente qual è il target di donne che subisce le conseguenze di quello che è diventato un boicottaggio vero e proprio di una legge che funzionava: immigrate, minorenni, precarie, costrette a ricorrere a soluzioni pericolose per la propria salute, fidandosi dei passaparola, dei tam-tam, delle soluzioni low-cost. “Le giovanissime abortiscono da sole, nel bagno di casa, perché della legge o del giudice tutelare non sanno nulla, perché in ospedale la lista d'attesa è troppo lunga e i consultori sono sempre di meno. (Dal 2007 al 2010 ne sono stati tagliati quasi 300)”, recita l' inchiesta. Parliamo di una cifra sottostimata di 20000 aborti illegali annui, cui vanno aggiunte le cifre, sospettosamente in aumento, di aborti dichiarati come spontanei, che vedono un incremento del 70% di giovani minorenni.L'aborto 2.0 diventa “fai da te”: basta acquistare il Cytotec, medicinale per curare l'ulcera composto da misoprostolo, che preso in dosi elevate provoca il distaccamento del feto dalla placenta e quindi la sua espulsione. Un florido mercato nero, arricchito dalla possibilità di acquistare con un click la RU486, come ci riporta un'altra inchiesta di Repubblica. Nel frattempo i pochi medici che praticano gli aborti - costretti a non fare carriera e ad occuparsi solo di quello - hanno raggiunto l'età della pensione e non si trova nessuno disposto a sostituirli. Come ci riporta Valentina Greco in questo articolo del 2015, in Italia il tasso di obiezione è del 69,6 per cento per i ginecologi, del 47,5 per cento per gli anestesisti e del 45 per cento per il personale medico. Il diritto alla salute della donna va pertanto in default: “Il ministero della Salute non monitora più gli aborti clandestini dal 2005 e nella relazione annuale al parlamento si riporta il dato dell’Iss che quantifica tra i 12 mila e i 15 mila casi nel 2012, ma è un dato molto sottostimato perché non tiene conto della possibilità di reperire i nuovi farmaci capaci di indurre l’aborto, acquistabili anche sul mercato clandestino e su internet”. Così racconta al Manifesto la deputata della Sinistra Italiana Marisa Nicchi. “Nel 2013 sono risultati obiettori il 70% dei ginecologi, in Molise il 93,3% e l’80,7% in Lazio e in Abruzzo. Circa il 35% delle strutture viola il dettato della 194 con l’“obiezione di struttura””. Per la ministra Lorenzin, però, il problema non si pone ed il numero di medici che praticano l'aborto rimane congruo. Così in Italia vengono trattati i diritti: negandoli.

Eppure il ministero della Sanità, obbligato da un articolo della 194 a relazionare annualmente sull'attuazione della legge, presenta l'Italia come il miglior mondo possibile, “abortisticamente” parlando: nel 2013 si è registrato un decremento di aborti del 46.6% rispetto al 1982, di cui il 61,5% ha atteso al massimo due settimane dal primo contatto.

Peccato che le testimonianze raccontino una realtà molto diversa. Il web trabocca di testimonianze traumatiche relative all'esperienza di aborto; i traumi si riportano in particolare nell'impossibilità di reperire informazioni chiare, nel senso di colpa che aleggia tra le corse degli ospedali e nei centri preposti per l'incontro con lo spicologo, previsto dalla prodedura. Non è una novità che, in alcuni di questi, le donne che abortiscono vengono inserite nelle stesse stanze o reparti di chi ha appena partorito. Basterebbero delle campagne informative ben realizzate e una maggiore possibiltà di accesso ai farmaci abortivi, per salvare delle persone.

La situazione delle donne che vogliono abortire oggi in Italia si presenta dunque estremamente complessa. Da una parte, chi riesce ad ottenere un'interruzione di gravidanza attraverso le strutture riconosciute dallo Stato deve spesso attraversare una lunga serie di peregrinazioni da un ospedale all'altro, subire accuse più o meno esplicite, sopportare la pressione psicologica di un ambiente ostile, e nonostante ciò ritenersi "fortunata" - se si considera l'altissimo tasso di obiezione di coscienza del personale medico. In altre parole, alla salvaguardia della salute della donna che vuole abortire si accompagna, nella maggior parte dei casi, una medicalizzazione che assume la forma di un calvario. L'aborto però non può e non deve essere un'esperienza traumatica a tutti i costi: certamente esistono donne che arrivano a questa scelta dolorosamente, ma esistono anche donne che decidono serenamente di interrompere la gravidanza. In entrambi i casi la donna ha diritto ad essere trattata con rispetto e comprensione; in nessun caso la procedura d'interruzione di gravidanza deve assumere i connotati inquietanti di una punizione cui la donna deve sottoporsi.

Dall'altra parte, c'è chi non riesce neppure ad accedere a questa possibilità: il fenomeno degli aborti clandestini va messo in rapporto diretto con la difficoltà di accesso al trattamento ospedaliero, e in particolare con l'obiezione di coscienza. Pur non essendo disponibili dati affidabili sull'aborto clandestino, si può ragionevolmente sostenere, anche sulla base dei fatti di cronaca, che tale fenomeno colpisca in particolare i segmenti più svantaggiati della popolazione femminile: ragazze molto giovani, donne in condizione di clandestinità, prostitute sfruttate, donne povere. D'altronde, chi ha i mezzi economici per salvaguardare la propria salute difficilmente la metterà a rischio, mentre chi si troverà in condizioni di difficoltà materiale (per l'età, lo status politico o il ceto) non solo si troverà davanti l'obiezione di coscienza e la conseguente difficoltà di accesso all'interruzione di gravidanza, ma se riuscirà ad abortire clandestinamente (e a sopravvivere), dovrà fare i conti anche con l'inasprimento delle sanzioni pecuniare previste dal Decreto Legislativo approvato il 15 gennaio 2016 di cui parlavamo a inizio articolo. In altre parole, saranno ancora una volta le donne povere ad essere punite.

È inaccettabile che nel 2016 esistano ancora obiettori di coscienza. Se ai tempi si trattava di un'opzione necessaria per tutti coloro i quali avevano iniziato la carriera di medico ginecologo senza sapere che si sarebbero trovati a praticare anche degli aborti, oggi, a quasi quarant'anni dall'approvazione della 194, non dovrebbe essere permesso ai medici di sottrarsi a una parte dei loro compiti. Nessuno obbliga i medici a scegliere di diventare ginecologi. Se non vogliono eseguire interruzioni di gravidanza, ci sono tante altre carriere a loro disposizione in cui ciò non è previsto; che scelgano quelle (tra l'altro, sarebbe anche più corretto nei confronti dei/lle loro collegh* che invece l'interruzione di gravidanza la praticano e devono sobbarcarsi il peso, materiale ed emotivo, di tutto il lavoro).

Non è accettabile che ancora una volta siano le donne più povere e più svantaggiate sul piano materiale a pagare per le scelte di una categoria privilegiata come quella dei medici obiettori di coscienza.