Venezuela - El día después

8 / 12 / 2015

Accogliamo un contributo di Sara Di Ferrante, cooperante italiana che vive a Merida, una delle principali città delle Ande venezuelane.

“Quién sabe que pasara´?”(chi sa che cosa succederà?)

E` la domanda che i venezuelani si sono posti per mesi. Preoccupazione, paura e senso di incertezza hanno anticipato le elezioni che invece, contrariamente a quanto si temeva, si sono svolte l’altro ieri (fatidico 6 dicembre) in assoluta tranquillità. Niente scontri, niente violenza nei seggi, tutto si è realizzato regolarmente. Seppur negativi, i risultati sono stati immediatamente riconosciuti come validi dal governo, il quale adesso ha solo 46 deputati a suo favore contro i 99 dell’ opposizione (Mud).

Per molti ieri è stata una giornate triste ma lo sarebbe stata anche se l’esito della votazione fosse stato esattamente l'opposto. Sì, scelta difficile votare di nuovo per un partito incapace e corrotto, che ha deluso e tradito gli ideali del popolo da cui è stato appoggiato per tanti anni, o per un’opposizione che di proposte concrete ne ha molto poche. Ciò che nacque come riscatto sociale e riconoscimento dei diritti fondamentali si è convertito con il tempo in assistenzialismo puro verso le classi più disagiate, senza però fornire gli strumenti culturali per comprendere ed assimilare il cambio proposto ormai 17 anni fa.

L’opposizione non ha vinto solamente grazie alla classe borghese e all’oligarchia di Caracas, ma ha vinto anche per i voti proprio di quelli  che sono stati beneficiati per anni dalle politiche sociali del governo. Quelli che hanno avuto in maniera assolutamente gratuita case nuove completamente accessoriate, asciugatrice inclusa (case in maggioranza già diventate fatiscenti come le baracche per le quali erano state sostituite), quelli che hanno usufruito dell’assistenza sanitaria, che hanno ricevuto sussidi per ogni figlio a carico, a cui in prima elementare è stata  consegnata un efficientissimo laptop insieme ai libri scolastici e l’accesso alla mensa, gratuita per tutti. La fine del “Proceso Revolucionario Bolivariano” era una morte annunciata, stava morendo da prima che Chavez passasse a miglior vita, e la crisi economica e politica non l’ha causata il suo successore, come tanti gli accusano, ma era già iniziata da un paio d’anni. Il presidente Maduro,  già di per sè  non molto competente, si è trovato a ricevere  in eredità un Paese  assurdamente burocratizzato, con un livello di corruzione altissimo ed un’ economia in forte declino.

Bisogna ricordare che in Venezuela, Paese tropicale benedetto per  il suo mix culturale, per la sua biodiversità, per il clima, per la ricchezza di risorse, dove se fai un buco nel terreno fuoriesce il petrolio, se sputi un seme dopo due giorni hai una pianta: in questo paradiso naturale, non si produce niente. Assolutamente nulla. Tutti i prodotti, compresi quelli alimentari, vengono importati dalla Colombia ,dal Brasile, dall’Argentina, ma soprattutto dalla Cina. L’inflazione annuale supera il 150 %, il cambio è bloccato, con conseguente ricorso obbligatorio al cambio nero (1 euro = 950 bolivares), il salario minimo ammonta a  9.648 bolivares (ovvero il decimo del budget mensile di una famiglia per  l’ acquisto degli alimenti), il tasso di criminalità è spaventoso, gli ambulatori e gli ospedali sono continuamente sprovvisti anche delle cose basilari, come garze e soluzioni fisiologiche, ci sono code chilometriche per comprare un paio di kili di farina o di riso o  di pasta. Sono questi i fattori che hanno messo a dura prova anche i più idealisti e fedeli sostenitori del “Socialismo del siglo XXI “.

Tendenzialmente allegri ed ottimisti per natura, poco inclini a lamentarsi (Italiani, prendiamo esempio per favore) i venezuelani hanno  sopportato ed addirittura preso con molto spirito i disagi quotidiani. Negli ultimi due anni, a Natale, invece di un profumo più di qualcuno ha ricevuto in regalo un prezioso rotolo di carta igienica con tanto di fiocchetto rosso, ricambiato magari con un elegante tubetto di dentifricio o un raffinato kilo di comune farina di  mais; ma la pazienza ha un limite ed i risultati delle elezioni lo hanno dimostrato. La domanda comunque resta: que pasarà? Come si farà ad uscire da questo baratro economico, peggiorato dal crollo del prezzo del petrolio, adesso è tutto da vedersi. Resta in bocca tanta amarezza per chi ha assistito al lento ed inesorabile consumarsi di un processo storico che, malgrado tutto, ha segnato una svolta nella storia dell’America Latina.