Venezuela: come la guerra in Ucraina sta cambiando la geopolitica internazionale

10 / 3 / 2022

Sono ormai passate due settimane dall’invasione russa dell’Ucraina, due settimane in cui l’Occidente cerca di riorganizzarsi, forse conscio che dopo un decennio di appoggio all’ex repubblica sovietica si è finalmente giunti a un bivio: entrare in guerra o ripensare le strategie internazionali per isolare la Russia. Sembra pensare a questo Zelensky quando parla di “tradimento” dell’Occidente, arrivati a una situazione in cui dopo aver portato la NATO sempre più vicina ad entrare nel Paese, ora si esclude qualsiasi appoggio militare da parte dell’alleanza atlantica.

Come ampiamente discusso (e come evidenziato anche nel nostro editoriale) questa guerra si presenta a tutti gli effetti come guerra climatica, ed è così che gli Stati Uniti la stanno affrontando. Dal 2005 al 2010 hanno aumentato la produzione di gas naturale e petrolio in modo da raggiungere l’autosufficienza ed azzerare le importazioni per consumo interno, ponendo le basi dell’importante mossa dell’8 marzo, in cui congiuntamente col Regno Unito di Boris Johnson hanno esteso l’embargo in vigore contro la Russia all’energia, petrolio e gas in testa. Il prezzo di queste due materie prime è però deciso dai mercati internazionali, non mettendo dunque al riparo il paese nordamericano dai rincari esponenziali che si stanno sviluppando in questi giorni. Ben consci del funzionamento del gioco capitalista l’unica possibilità è aumentare l’offerta per bilanciare le tonnellate di greggio e gas della Russia, e questo apre a scenari internazionali inediti.

La decisione statunitense comunicata l’8 marzo (condivisa con la Gran Bretagna ma al momento non dagli altri partner europei) affonda le radici nel lavoro diplomatico dei giorni precedenti in cui sono stati contattati i principali paesi produttori, mostrando una rinnovata predisposizione al dialogo con Iran, Arabia Saudita e Venezuela.

Se con i due paesi mediorientali la situazione è ancora in fase preliminare (in questo quadro bisogna leggere l’intenzione di Israele col suo premier Bennett di entrare nel tavolo della trattativa), è il dialogo col Paese latinoamericano a sorprendere maggiormente.

Lo scorso 5 marzo una delegazione del governo statunitense ha incontrato rappresentanti del governo di Nicolás Maduro, riconoscendolo implicitamente come legittimo presidente del Venezuela dopo anni di appoggio all’autoproclamato Juan Guaidó. Lo stesso Maduro, attraverso i suoi profili ufficiali nei social network, qualifica l’incontro avvenuto nel palazzo presidenziale di Caracas come “rispettoso, cordiale e molto diplomatico”, annunciando che a questo ne seguiranno altri, nello sforzo di promuovere la pace nel continente americano e nel mondo. Al centro delle discussioni la cancellazione dell’embargo per il paese bolivariano, volta a rimettere in circolazione il greggio venezuelano che dal 2019 è stato vietato dalle sanzioni americane. Il passaggio fra il petrolio venezuelano e quello russo è evidente dal grafico qui riportato.

grafico

Questo cambio nella politica estera degli Stati Uniti ha del clamoroso, ed evidenzia come la mossa di Putin abbia scompaginato completamente l’assetto geopolitico preesistente. Un cambio di narrazione così immediato da suscitare l’ilarità di alcuni analisti e rabbia da parte dei maggiori sostenitori della politica di Trump sulla questione, il senatore repubblicano Marco Rubio in testa. Le dichiarazioni di fuoco del senatore di origini cubane confermano quanto questo accordo sia possibile, così come anche la notizia riportata dal New York Times sulla scarcerazione di alcuni prigionieri statunitensi rilasciati dalle autorità venezuelane dopo l’incontro del 5 marzo.

Il Venezuela vive dal 2019 una crisi sociale senza precedenti, acuita nel 2020 dalla pandemia. La strategia statunitense, basata sul riconoscimento e finanziamento dell’opposizione di destra e lo strangolamento economico della casse nazionali (anche attraverso il congelamento dell’oro sovrano venezuelano conservato a Londra, 31 tonnellate) ha visto come vittima come al solito il popolo venezuelano. Il blocco del commercio e le sanzioni, non solo sul petrolio venezuelano ma in tutti i comparti della sua economia, si è reso ancora più evidente durante la pandemia, in cui gli ospedali sono rimasti senza forniture e risorse, situazione gestita solo grazie all’aiuto proveniente da Cuba (anch’essa sotto embargo). Ma non solo, è entrato in crisi anche il comparto alimentare, costringendo al razionamento nelle città più popolate, e scarseggiano beni di prima necessità in tutto il paese. 

Questa crisi sociale e umanitaria ha costretto alla fame e all’emigrazione milioni di venezuelane e venezuelani, molti dei quali entrati in Colombia, partner strategico degli Stati Uniti e della NATO nella regione nonché massimo sostenitore di un possibile colpo di stato che faccia cadere Maduro. Il commento del governo colombiano infatti, attraverso la vice presidente Marta Lucía Ramírez, non si è fatto attendere. A una radio locale ha dichiarato come lei non sapesse dell’incontro, ma che in questa fase “l’importante è ascoltare gli Stati Uniti perché credo che la geopolitica mondiale sia cambiata negli ultimi 15 giorni e questo ha un contrappeso che bisogna soppesare”1. Un altro indizio che la situazione venezuelana potrebbe presto risolversi in una rimodulazione delle sanzioni se non nella loro cancellazione totale. Una situazione che mai ci saremmo immaginati visto l’atteggiamento del governo di Washington verso ciò che è sempre stato definito come un regime autoritario, ma che ci fa capire quanto gli equilibri stiano cambiando.

In questa logica, appare anche fuorviante la narrazione secondo cui si stia tornando a un mondo bipolare diviso da ideologie novecentesche che si contrappongono. L’accordo possibile fra il socialismo venezuelano e il neoliberismo statunitense ci pone ancora una volta in evidenza come nella gestione dell’apparato statale la distanza fra destra e sinistra, autoritarismo o liberismo, centralizzazione o decentramento, appaiono prive di significato dentro la logica dello Stato nazione, paradigma irremovibile poiché caposaldo dello sfruttamento economico di chi sta in alto verso chi sta in basso, con il movente economico come unico principio a dipanare le questioni di politica internazionale.

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1 https://www.nodal.am/2022/03/vicepresidenta-colombiana-sobre-las-negociaciones-en-venezuela-lo-importante-es-escuchar-a-eeuu/?fbclid=IwAR25ON6t-0dZ8PqUNjav7Wplndt0X1FWwnU2NLR5e9v5uhah4wAy4Hu8dT0