Una transizione energetica democratica per la Tunisia

L’urgenza di una reale transizione alle fonti d’energia rinnovabili dovrebbe essere scontata; tuttavia, le transizioni non sono né tutte uguali né tutte giuste.

7 / 2 / 2023

L’urgenza di una reale transizione alle fonti d’energia rinnovabili dovrebbe essere scontata; tuttavia, le transizioni non sono né tutte uguali né tutte giuste. Su questo tema, proponiamo un contributo di Ouafa Haddioui, ricercatrice femminista sulla giustizia ambientale e di genere, che attualmente lavora presso il North Africa Program del Transnational Institute (TNI). L’articolo è stato originalmente pubblicato da Africa Is a Country, portale di opinione e analisi su e della sinistra africana. Traduzione di Emma Purgato.

Uno studio sulla transizione energetica in Tunisia, condotto dal Working Group for Energy Democracy e dalla Tunisian Platform for Alternatives in collaborazione con il Transnational Institute, ci ricorda che l’energia non dovrebbe essere considerata un bene su cui lucrare ma un diritto inalienabile. La produzione e la distribuzione di energia dovrebbero basarsi in primo luogo sui principi della giustizia distributiva e della sovranità popolare, non sulle esigenze e le lacune del sistema di libero mercato globale, che non tiene conto dei bisogni sociali ed ecologici locali.

Le recenti discussioni svoltesi durante la COP27 hanno raggiunto un consenso sull’urgenza della mitigazione e sull’adattamento al cambiamento climatico; nel frattempo si continua a spingere verso un modello energetico liberalizzato nei Paesi del Nord Africa, compresa la Tunisia. I diversi governi tunisini hanno proseguito sulla strada della liberalizzazione e dei programmi di privatizzazione, attraverso incentivi legali e fiscali offerti a investitori nazionali e internazionali con l’obiettivo di produrre energia green.

Riconfigurare il settore energetico in Tunisia

Fin dall’indipendenza della Tunisia, la produzione e la distribuzione dell’energia sono state pubbliche, gestite dalla Società Tunisina dell’Elettricità e del Gas (STEG), che ha beneficiato dei sussidi statali per coprire i costi della produzione di elettricità e dei rifornimenti di gas. Dopo la rivoluzione del 2011, alcune istituzioni della finanza internazionale si sono opposte alla proprietà pubblica del settore energetico, prendendo di mira il monopolio della STEG sulla produzione nazionale di energia. Il prestito quadriennale istituito nel 2013 dal Fondo Monetario Internazionale ha così inaugurato un piano per la privatizzazione della produzione di elettricità da risorse rinnovabili.

Svariati enti internazionali hanno contribuito alla riconfigurazione del panorama energetico tunisino, attraverso studi che favoriscono la privatizzazione dell’energia nel Paese. Per esempio, l’Agenzia Tedesca per la Cooperazione Internazionale (GIZ), attraverso i suoi contatti con il Ministero dell’Energia e altri enti nazionali, gioca un ruolo decisionale fondamentale per quanto riguarda le energie rinnovabili in Tunisia e ha fornito “assistenza tecnica” al paese rispetto allo sviluppo di una legislazione tendente alla privatizzazione dell’energia rinnovabile. La fondazione italiana RES4Med/Africa ha condotto studi sugli investimenti energetici del Paese e ha poi rivolto raccomandazioni al governo tunisino basate sul feedback degli investitori italiani. Inoltre, la Banca Mondiale ha iniziato a porre le basi per la liberalizzazione della produzione di elettricità da fonti rinnovabili, facilitando così il processo. Nel rapporto del 2021 sulla Tunisia intitolato “Liberare l’economia per una prosperità condivisa”, sono contenute una serie di indicazioni rivolte al governo tunisino, redatte in seguito a un confronto con aziende private. Per esempio, in una lettera del 2017 al Presidente della Tunisia, l’azienda UPC North Africa Renewables chiedeva maggiori agevolazioni legali per gli investimenti, i contratti e le questioni fondiarie.

Ostacolare il settore pubblico tunisino

Dopo il 2014, seguendo le indicazioni di alcuni donatori, il governo ha parzialmente tagliato le sovvenzioni al prezzo del gas. La STEG si è dunque trovata di fronte a squilibri finanziari che hanno aumentato il suo deficit, aggravato dalla drammatica svalutazione della valuta tunisina (il dinaro). Si è perciò trovata costretta a ricorrere a prestiti esterni per acquistare gas naturale e sviluppare l’infrastruttura energetica.

Il successivo governo ha posto le basi legali per la rimozione degli ostacoli agli investimenti privati nelle energie rinnovabili, formalizzate nella Legge N. 2015-12 sulle energie rinnovabili. Le aziende private sono state così autorizzate a produrre elettricità per l’autoconsumo o a venderla ai consumatori attraverso l’intermediazione della STEG. Nel 2015, è stata pubblicata la versione definitiva del Tunisian Solar Plan (PST), che aveva come principale obiettivo il raggiungimento di una produzione di elettricità da fonti rinnovabili del 30% entro il 2030. Questo piano fa affidamento su investimenti privati e sul cosiddetto mercato dell’energia green.

Tali meccanismi hanno offerto alle aziende fondi pubblici, esenzioni fiscali e terreni per progetti legati alle energie rinnovabili. Inoltre, la nuova legge sulle energie rinnovabili è stata rivista e, nel 2019, emendata per includere due importanti provvedimenti che permettono alle aziende private di vendere elettricità direttamente ai consumatori del settore industriale e di sfruttare terreni agricoli per progetti relativi alle fonti energetiche sostenibili. Trasformare terreni agricoli in luoghi di produzione di energia rinnovabile pone il rischio di futuri problemi d’insicurezza alimentare; una problematica messa a nudo dalla pandemia di COVID-19 e dalla guerra in Ucraina. Non sarebbe più saggio per la Tunisia garantire cibo ed energia a livello locale, piuttosto che conformarsi agli interessi degli investitori stranieri?

L’energia green nasconde modelli di ingiustizia

Alcuni progetti legati alle fonti di energia sostenibili, tra cui quelli che hanno a che fare con l’accaparramento di terre e risorse nei paesi conosciuti come il “Sud Globale”, hanno già fatto emergere serie criticità sociali ed economiche. Questi progetti prendono principalmente di mira vaste aree rurali, per installarvi le infrastrutture necessarie per progetti energetici su larga scala. Da queste comunità prendono terreni e risorse, causando conflitti socio-ecologici con modalità non troppo diverse da quelle dei progetti di estrazione mineraria o legati ai combustibili fossili.

Di fatto, il governo tunisino sta sviluppando scappatoie legali che facilitino l’accesso ai terreni per gli investitori del settore energetico. Lo stato ha iniziato a richiedere e sequestrare terreni agricoli dichiarati “a basso rendimento” per offrirli a investitori internazionali. È stato questo il caso delle concessioni garantite in diverse regioni del Paese nel 2021. Tra queste Segdoud (Gafsa), consegnata agli investitori Engie (Francia) e Nareva (Marocco); El Moutbasta (Kairouan), venduta investitori cinesi ed emiratini; per non parlare di altri progetti.

Questo schema ci riporta ai primi anni 2000, a Borj Salhi. Qui, su terreni confiscati alla popolazione locale, è stato installato il primo parco eolico del Paese. L’approccio adottato dalle autorità pubbliche nella gestione dei territori espropriati ci rivela molto su quanto sta succedendo oggi. Mentre per decenni il settore pubblico ha garantito l’elettricità a tutti i tunisini, gli investimenti nelle energie rinnovabili hanno introdotto una nuova tendenza basata sul profitto. Con la crescente imposizione delle partnership tra pubblico e privato, il ruolo della STEG diventerà molto limitato. La sua funzione sarà quella di compensare le intermittenze delle energie rinnovabili, cosa che comporta ulteriori costi dai quali gli investitori privati sono esenti. In altre parole, i costi ricadranno sulla popolazione. Inoltre, la concorrenza iniqua delle aziende straniere accelererà la dissoluzione della base industriale tunisina, privando le piccole e medie imprese della loro quota del mercato delle energie rinnovabili. Tali processi non solo trasformeranno l’elettricità in una merce ma permetteranno anche agli investitori di accumulare profitti, riducendo i costi di produzione e obbligando la popolazione tunisina a subire l’onere dei graduali aumenti del prezzo dell’elettricità.

Quali sono le alternative?

Il modello energetico attuale è basato su dinamiche di potere classiche, sulla cieca logica del profitto e su un consumismo eccessivo. Per contrastare questo modello unidimensionale, è urgentemente necessario un nuovo approccio basato sulla cooperazione tra produttori e consumatori e su relazioni orizzontali che garantiscano la partecipazione dei diversi attori. L’energia verrebbe così considerata un diritto di tutti ma anche una questione profondamente politica, cosa che permetterebbe una rottura del dualismo pubblico/privato. Per difendere la propria sovranità e ottenere una vera democrazia energetica, la Tunisia dovrebbe rafforzare il ruolo della STEG nella produzione di energia. Inoltre, forme di finanziamento partecipative farebbero sì che gli enti di servizio pubblico acquisissero un certo grado di autonomia strategica rispetto alle condizioni imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali.

Senza dubbio, gli investimenti nelle energie rinnovabili vanno incoraggiati per allontanarsi dai combustibili fossili. Tali investimenti dovrebbero finanziare la STEG attraverso meccanismi partecipativi volti a reindirizzare la produzione di energia per dare priorità all’accesso e al consumo locale, riducendo gradualmente le importazioni. Una democrazia energetica efficiente necessita inoltre di una cooperazione tra i diversi attori locali capaci di stravolgere lo status quo e mettere in pratica il nuovo modello. In tale ottica, le diverse parti coinvolte possono opporsi con forza al modello energetico neoliberale e ricostituire una distribuzione sociale equa. Grazie alla loro posizione nelle istituzioni pubbliche, i sindacati hanno l’importante possibilità di influenzare le narrative e presentare alternative che possono imporsi dall’interno. Anche la società civile, i movimenti sociali e i partiti politici progressisti sono una forza capace di esercitare una pressione sostanziale sull’attuale panorama energetico. Attraverso sforzi di sensibilizzazione e alleanze, hanno il potenziale di creare un dialogo costruttivo rispetto a cosa sta accadendo sui territori. Allo stesso modo, le comunità che abitano nei pressi di installazioni legate alle energie rinnovabili devono avere voce in capitolo sull’ideazione e l’implementazione di tali progetti nei loro territori. Piccoli agricoltori e collettivi autogestiti possono avere un ruolo nell’opposizione ai piani degli investitori stranieri.

In definitiva, la battaglia per la democrazia energetica, in Tunisia ma non solo, si basa sulla lotta contro il capitalismo, la rivendicazione dei diritti della popolazione e la rottura con le pratiche estrattiviste, con l’obiettivo di garantire la sovranità energetica del Paese e dei suoi abitanti.