Una tranquilla domenica di sangue

19 / 8 / 2013

Oggi, 24 agenti della polizia egiziana sono stati uccisi da una bomba nel Sinai. Lo riferisce l'agenzia Reuters citando fonti dell'Esercito.

Ieri, almeno 38 Fratelli musulmani sono stati uccisi oggi dalle forze di sicurezza egiziane. Lo riferiscono fonti di polizia secondo le quali gli agenti sono intervenuti dopo l'assalto d'un gruppo di Fratelli a un convoglio che stava trasferendo in carcere 45 dimostranti islamici arrestati.

Stando ad altre fonti, l'eccidio sarebbe avvenuto non durante un trasferimento ma già all'interno del carcere nell'ambito di una ''sommossa''. Informazioni contraddittorie anche sulle cause della morte: secondo alcuni dovuta alle armi da fuoco delle forze di sicurezza, secondo altri riconducibile almeno in parte a intossicazione provocata da incendi appiccati nella struttura. Il ministero dell'Interno del Cairo, in una nota, si e' limitato ad affermare da parte sua che un numero imprecisato di detenuti ha perso la vita dopo ''aver cercato di scappare'' dalla prigione. Senza precisare se con la complicità di assalitori esterni o meno.

Qui di seguito postiamo l'articolo di Pepe Escobar tratto da Znet.org:

Il bagno di sangue che non è un bagno di sangue

l ‘bagno di sangue che non è un bagno di sangue’ in Egitto ha dimostrato che le forze della repressione dura e della corruzione regnano supreme, mentre gli interessi stranieri – la monarchia Saudita, Israele, il Pentagono – appoggiano la spietata strategia dell’esercito.

Stop. Guardate le foto. Indugiate sulle dozzine di corpi allineati in un obitorio improvvisato. Come può essere giustificato l’orrendo bagno di sangue in Egitto? Fate la vostra scelta. O è una riedizione egiziana di Piazza Tienanmen  o è il bagno di sangue che non è un bagno di sangue, attuato dai dirigenti del colpo di stato che non è un colpo di stato, con lo scopo di combattere il ‘terrorismo’.

Certamente non è stata un’operazione di sgombero della folla, come nello ‘sgombero’ di Occupy Wall Street ad opera del Dipartimento della Polizia di New York. Come ha comunicato via Twitter un giornalista di Sky, è stata più simile a “un grande attacco militare in larga misura contro civili disarmati’ utilizzando di tutto, dai bulldozer ai gas lacrimogeni ai cecchini.

Di qui le schiere uccise indiscriminatamente, con stime delle vittime del fuoco incrociato varianti dalle poche centinaia (secondo il ‘governo provvisorio’) ad almeno 4.500 (secondo la Fratellanza Mussulmana), compresi almeno quattro giornalisti e la diciassettenne Asmaa, figlia del politico di vertice della Fratellanza Mussulmana Mohamed El Beltagy.

El Beltagy, prima di essere arrestato, ha dichiarato crucialmente: “Se non scendiamo in piazza lui [cioè il generale Abdul-Fattah al-Sisi, leader del colpo di stato che non è un colpo di stato e che ha nominato il governo provvisorio] rendere il paese uguale alla Siria”.

Sbagliato. Sisi non è Bashar al-Assad. Non aspettatevi appassionati appelli occidentali a ‘attacchi mirati’ o a una zona d’interdizione al volo sull’Egitto. Può essere un dittatore militare che uccide il suo stesso popolo. Ma è il ‘nostro’ bastardo.

Vale quel che diciamo noi

Osserviamo le reazioni. I barboncini letargici dell’Unione Europea hanno sollecitato ‘moderazione’ e hanno descritto il tutto come ‘estremamente preoccupante’. Una dichiarazione della Casa Bianca ha affermato che il governo provvisorio dovrebbe ‘rispettare i diritti umani’, il che verosimilmente può essere interpretato come Manning/Snowden/droni sul Pakistan e scuola yemenita dei diritti umani.

Tale scusa patetica per un diplomatico, il segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, è stata almeno schietta: ‘L’Egitto è un partner importante della NATO in tutto il Dialogo Mediterraneo’. Traduzione: la sola cosa che davvero ci interessa è che gli arabi facciano quel che diciamo noi.

Spogliato di tutta la retorica – indignata o altrimenti – il punto chiave è che Washington non taglierà a nessun costo i suoi aiuti annui per 1,3 miliardi di dollari all’esercito di Sisi. Lo scaltro Sisi ha dichiarato una “guerra al terrore”. Il Pentagono gli sta dietro. E l’amministrazione Obama si accoda, riluttante o no.  

Ora vediamo chi si ribella. Prevedibilmente il Qatar ha condannato l’azione; dopotutto il Qatar ha finanziato la presidenza Morsi. Il Fronte Islamico d’Azione, l’ala politica della Fratellanza Mussulmana in Giordania, ha incoraggiato gli egiziani a continuare a protestare per “sventare la cospirazione” del precedente regime, come nel caso dei sostenitori di Mubarak senza Mubarak.

La Turchia, che sostiene anch’essa la Fratellanza Mussulmana, ha sollecitato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la Lega Araba ad agire rapidamente per fermare un “massacro”; come se l’ONU e la Lega Araba controllata dai sauditi intendessero interrompere i loro pranzi costosi di tre ore per fare qualcosa.

L’Iran – correttamente – ha ammonito circa il rischio di guerra civile. Ciò non significa che Teheran appoggi ciecamente la Fratellanza Mussulmana, specialmente dopo che Morsi ha incitato gli egiziani ad aderire alla jihad contro Assad in Siria. Ciò che Teheran ha segnalato è che la guerra civile è già in corso.

Sparare per uccidere

Bizantino” non si avvicina nemmeno a spiegare il gioco dell’attribuzione delle colpe. Il bagno di sangue che non è un bagno di sangue ha avuto luogo mentre il “governo” nominato da Sisi aveva promesso di impegnarsi in una “transizione” appoggiata dall’esercito che sarebbe stata politicamente globale.

Tuttavia, stanco di sei settimane di proteste che denunciavano il “colpo di stato che non è un colpo di stato”, il governo provvisorio ha cambiato versione e ha deciso di non fare prigionieri.

Secondo le analisi dei media egiziani meglio informati, il vice primo ministro Ziad Baha Eldin e il vicepresidente per gli affari esteri Mohamed ElBaradei volevano andarci piano contro i dimostranti, mentre il ministro dell’interno, generale Mohammad Ibrahim Mustafa, e il ministro della difesa – lo stesso Sisi – volevano tornare al medioevo.

Il primo passo è consistito nell’incolpare preventivamente del massacro la Fratellanza Mussulmana, proprio come la Fratellanza Mussulmana aveva incolpato la Jemaah Islamiyah per aver usato i kalasnikov e aver incendiato chiese e stazioni di polizia.

Un motivo chiave per scatenare il “bagno di sangue che non è un bagno di sangue” questo mercoledì è stato il tentativo della Fratellanza Mussulmana di marciare sul perennemente temuto ministero dell’interno. Il duro Ibrahim Mustafa non aveva intenzione di accettarlo.

I leccapiedi di Sisi hanno nominato 25 governatori provinciali, dei quali 19 sono generali, con una tempistica perfetta per “premiare” i vertici dei ranghi militari e così rendere solido lo “stato parallelo” dell’Egitto, cioè, di fatto, lo stato di polizia.  E per incoronare il “bagno di sangue che non è un bagno di sangue” i servi di Sisi hanno dichiarato la legge marziale per un mese. In una situazione simile le dimissioni del beniamino dell’occidente, ElBaradei, non farà perdere a Sisi un minuto di sonno.

Lo spirito originale di Piazza Tahrir è oggi morto e sepolto, come ha fatto notare uno yemenita miracolosamente non preso di mira dai droni di Obama, il Premio Nobel per la Pace Tawakkul Karman.

La questione chiave è chi approfitta dell’iper-polarizzazione dell’Egitto, con una guerra civile che contrappone la ben organizzata, fondamentalista Fratellanza Mussulmana allo “stato parallelo” controllato dall’esercito.

Entrambe le opzioni sono ugualmente rivoltanti (per non dire incompetenti). Tuttavia i vincitori locali sono facilmente identificabili: la controrivoluzione, ad esempio i sostenitori di Mubarak duri a morire, un branco di oligarchi corrotti e la maggior parte dello stesso stato parallelo.

La repressione dura comanda. La corruzione comanda. E comanda il dominio straniero (come quello dell’Arabia Saudita che ora pagala maggior parte dei conti, assieme agli Emirati Arabi Uniti).

Internazionalmente i grandi vincitori sono l’Arabia Saudita (che spiazza il Qatar), Israele (poiché l’esercito egiziano è anche più docile della Fratellanza) e – chi altro? – il Pentagono, il protettore dell’esercito egiziano. Da nessuna parte nella Via Lattea quest’asse di Monarchia Saudita, Israele e Pentagono  può essere spacciato come “un bene per il popolo egiziano”.

Lo Sceicco Al-Tortura è il nostro uomo

E’ opportuna una rapida ricapitolazione. Nel 2011 l’amministrazione Obama non ha mai detto, fino all’ultimo minuto, “Mubarak deve andarsene”. Hillary Clinton voleva una “transizione” guidata dalla risorsa della CIA e capo spione Omar Suleiman, diffusamente noto a Piazza Tahrir come “Sceicco Al-Tortura”.

All’epoca una battuta a Washington era che l’amministrazione Obama sarebbe gioiosamente divenuta una tifosa della Fratellanza Mussulmana (alleata del Qatar). Ora, come uno yo-yo, l’amministrazione Obama sta considerando come spacciare la nuova versione: il ‘leale’ esercito egiziano che coraggiosamente spazza via la ‘terroristica’ Fratellanza Mussulmana per ‘proteggere la rivoluzione’.

Tanto per cominciare non c’è stata nessuna rivoluzione; la testa del serpente (Mubarak) è scomparsa, ma il serpente è rimasto vivo e colpisce. Ora ha incontrato il nuovo serpente, uguale al serpente vecchio. Inoltre è fin troppo facile spacciare al pubblico disinformato l’equazione ‘Fratellanza Mussulmana uguale al-Qaeda’.

Il capo supremo del Pentagono, Chuck Hagel, è rimasto incollato al telefono con Sisi mentre aveva luogo il “colpo di stato che non è un colpo di stato” del 3 luglio. La versione del Pentagono voleva farci credere che Sisi avesse promesso a Hagel che avrebbe avuto il controllo delle cose in un batter d’occhio. Virtualmente il cento per cento dei circoli del potere di Washington è stato d’accordo. Di qui la versione ufficiale di Washington del “colpo di stato che non è un colpo di stato”. Tim Kaine, della Virginia, presso il Comitato Relazioni con l’Estero del Senato, ha persino esaltato quelle democrazie modello, gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania, per il loro entusiasmo per il “colpo di stato che non è un colpo di stato”.

E’ essenziale elencare i cinque paesi che hanno esplicitamente avallato il “colpo di stato che non è un colpo di stato”. Quattro di essi sono petro-monarchie del GCC (membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, noto anche come Club Controrivoluzionario del Golfo): Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Bahrain. E il quinto è quella piccola monarchia, la Giordania, che il GCC vuole annettere al Golfo.

Anche più patetico dei cosiddetti liberali, parte della sinistra, alcuni nasseriani e di progressisti assortiti egiziani difensori della sete di sangue di Sisi è stato il voltafaccia di Mahmoud Badr, il fondatore del Tamarrod, il movimento che è stato alla testa delle grandi dimostrazioni che hanno portato alla deposizione di Morsi. Nel 2012 sparava a raffica sull’Arabia Saudita. Dopo il colpo di stato si è prostrato in suo onore. Almeno sa chi è che paga il conto.

E poi c’è Ahmed al-Tayyeb, il Gran Imam di al-Azhar, il Vaticano dell’Islam sunnita. “Al-Azhar  … non ha saputo dei metodi usati per disperdere le proteste se non dai canali televisivi”. Stupidaggini: ha ripetutamente elogiato Sisi.

Sentitevi liberi di adorare le mie ciglia

Non c’è altro modo di dirlo; dal punto di vista di Washington gli arabi possono uccidersi a vicenda fino all’Avvento del Regno, che siano sunniti contro sciiti, jihadisti contro laici, contadini contro abitanti delle città, ed egiziani contro egiziani. La sola cosa che contra sono gli accordi di Camp David; e a nessuno è consentito di inimicarsi Israele.

E’ perciò appropriato che i leccapiedi in stivali di Sisi abbiano chiesto a Israele di tenere i suoi droni in vicinanza del confine, visto che devono perseguire la loro “guerra al terrore” nel Sinai. A ogni fine pratico, Israele governa il Sinai.

Ma poi c’è la cancellazione di una consegna di F-16 all’esercito di Sisi. Nella vita reale ogni vendita statunitense di armi in tutto il Medio Oriente deve essere “concordata” con Israele. Perciò si può sostenere la tesi che Israele – per il momento – non è esattamente sicuro di quali intenzioni abbia realmente Sisi.

E’ molto istruttivo leggere ciò che Sisi pensa della “democrazia”, come ha dimostrato quando frequentava l’Università della Guerra statunitense. E’ essenzialmente un islamista, ma soprattutto ha fame di potere. E la Fratellanza Mussulmana lo intralcia. Perciò occorre toglierla di mezzo.

La “guerra al terrore” di Sisi è verosimilmente un grande successo come espediente propagandistico per legittimare la sua candidatura a un mandato popolare. Sta cercando di posare da nuovo Nasser. E’ Sisi il Salvatore, circondato da un branco di adoratori. Un opinionista ha scritto su Al-Masri Al-Youm che Sisi non ha neanche bisogno di emettere un ordine: è sufficiente che “semplicemente batta le ciglia”. La campagna ‘Sisi per presidente’ è già avviata.

Chiunque abbia familiarità con i mediocri dittatori latinoamericani degli anni ’70 sostenuti dagli Stati Uniti è in grado di riconoscerne uno. Questo non è un Salvatore. Non c’è altro che un Al-Sisi-no, il vanaglorioso mediocre reggitore di quella che il mio collega Spengler ha rudemente definito una repubblica delle banane senza le banane.