Turchia - La Corte del Tribunale amministrativo di Istanbul blocca la speculazione su Gezy Park ed intanto i curdi manifestanto con i turchi

4 / 7 / 2013

Due notizie riportano l'attenzione sugli scenari in movimento nel paese: l'apparizione ieri nei giornali turchi delle motivazioni con cui la Corte del Tribunale Amministriativo di Istanbul ha bloccato le speculazioni su Gezy Park e dall'altro il racconto della corrispondente di Dinamo Press Serena Tarabini, che racconta l'unione della protesta curda alla protesta dei cittadini turchi contro la violenza della polizia.
La prima notizia riguarda una sentenza, certo appellabile, ma che basandosi sulla mancata consultazione dei cittadini, dimostra ancora di più quanta arroganza ci fosse nel voler demolire il parco per fare un centro commerciale, dando ragione ai dimostranti.
La seconda riguarda scenari imprevedibili se ci fosse la capacità, cosa finora non successa, di veder convergere la storica lotta delle popolazioni curde per l'autodeterminazione con le nuove mobilitazioni nate nel cuore delle metropoli turche.

*IL PARCO NON SI FARA' La corte boccia Erdona da Il Manifesto del 4 luglio 2013
La prima corte del tribunale amministrativo di Istanbul ha bloccato la speculazione immobiliare sull'area che interessa Gezi Park e piazza Taksim. Secondo un avvocato la sentenza è stata emessa il 6 giugno, proprio nei giorni più caldi dell'insurrezione popolare a difesa del parco, ma i dettagli sono stati resi noti ieri da alcune testate online turche. I giudici della corte hanno giustificato la loro sentenza con il fatto che la «popolazione locale» non è stata consultata prima della messa in esecuzione del progetto. Nel piano era prevista la costruzione di una caserma, una moschea e un centro commerciale. La sentenza è appellabile, ma per il momento tutto è stato bloccato. Quella di ieri è sicuramente una vittoria del movimento di OccupyGezi e una sconfitta per il governo Erdogan che aveva mobilitato i suoi sostenitori e accusato il movimento di «terrorismo». La durezza della reazione del governo contro i manifestanti, e le violenze della polizia, sono state stigmatizzate dalla comunità internazionale.
Erdogan ha dovuto fare un mezzo passo indietro e ha promesso di aspettare la sentenza del tribunale sui numerosi ricorsi presentati. In caso di una pronuncia sfavorevole il premier ha promesso che avrebbe indetto un referendum popolare sulla destinazione del parco. Secondo il gruppo di protesta Taksim Solidarity, se la corte avesse dato ragione al governo Erdogan avrebbe organizzato lo stesso la consultazione che, con ogni probabilità, avrebbe perso. La decisione del tribunale gli ha tolto le castagne dal fuoco. Resta però ancora da capire quali siano i termini del ricorso. Qualcuno ieri parlava di tre giorni, altri di un mese dal deposito della sentenza. In ogni caso la decisione del tribunale è importantissima e segna una sconfitta del governo in punta di diritto.
Le manifestazioni per la difesa di Gezi park sono cominciate il 28 maggio scorso e si sono allargate a macchia d'olio in tutto il paese, registrando manifestazioni oceaniche e duri scontri anche nella capitale Ankara. Nelle proteste sono morte quattro persone, centinaia i feriti, di cui cinque gravi. Più di 50 avvocati sono stati arrestati l'11 giugno perché appoggiavano le proteste per poi essere rilasciati. Sono stati fermate anche alcune decine di medici e di personale paramedico che prestava aiuto ai manifestanti di piazza Taksim.

* EFFETTO GEZY  di Serena Tarabini da Dinamo Press

Mentre l'Egitto s'infiamma, la Turchia cova le sue braci che ardono alimentate dal desiderio di una vera democrazia e dalla quale partono scintille che non vanno perse di vista. Una di queste è scoccata venerdì 28 giugno a Lice, cittadina del Kurdistan turco. Nel corso di una manifestazione civile contro l'espansione di basi militari, l'esercito spara sui dimostranti allo scopo di «disperdere» la folla e uccide un ragazzo di 18 anni.

Normale amministrazione per quello che è un paese di basse aspettative democratiche come la Turchia, uno di quegli eventi destinati solamente a entrare nel novero delle innumerevoli ferite sul corpo del popolo curdo e a suscitare poche reazioni nell'opinione pubblica turca, tradizionalmente, con rare eccezioni, poco sensibile alle tragedie subite dalle minoranze.

Ma da Gezi Park in poi qualcosa è cambiato. Nei giorni successivi, in vari luoghi della Turchia, curdi e turchi sono scesi in piazza per protestare a centinaia di migliaia contro questo crimine. A Istanbul insieme si sono presi pallottole di gomma e manganellate, insieme hanno chiesto giustizia per il diciottenne di Lice e il ragazzo di Ankara, la prima vittima della rivolta turca. A Diyarbakir i manifestanti esponevano cartelli che ironicamente davano il bentornato ai «toma», i cannoni ad acqua dislocati dal Kurdistan a Istanbul in occasione di Gezi Park, poco prima di essere dispersi con la consueta razione di lacrimogeni e, appunto, idranti. Curdi e turchi insieme si sono fatti arrestare a decine. Un evento inedito, avvenuto con incredibile spontaneità, e a notarlo sono stati sopratutto i cittadini turchi. Qualcosa che sembra collocarsi dentro la necessità di una democrazia che non usi due pesi e due misure, che valga per tutti, frutto maturo degli alberi salvati di Gezi Park.

Una possibile complicazione per l'AKP di Erdogan, estremamente impegnato a risultare il risolutore unico del problema curdo, che non può che vedere con preoccupazione questa nuova saldatura e mentre cerca di giustificare goffamente l'operato dei militari a Lice, si affretta anche a intimare ai politici dell'opposizione curda di non soffiare sul fuoco della protesta, per non inficiare il processo di pace. Il BDP, Partito curdo di pace e democrazia presente in parlamento, sa di doversi muovere con cautela, quindi contiene la protesta nelle piazze ma contemporaneamente chiede con forza una commissione parlamentare d'inchiesta su quanto avvenuto a Lice.

Allo stesso tempo assume una rilevanza particolare il 20° anniversario della strage di Sivas, avvenuta il 2 luglio 1993 nel cuore dell'Anatolia, quando a un gruppo di fondamentalisti islamici venne incredibilmente permesso di attaccare un festival di cultura Alevi, minoranza islamica progressista. Il commando tenne per un giorno intero sotto assedio l'hotel sede dell'iniziativa e infine gli diede fuoco, causando la morte di 35 intellettuali quasi tutti aleviti. Il processo relativo è finito in prescrizione l'anno scorso. Un evento poco conosciuto al di fuori della Turchia e la cui memoria in questi giorni sta uscendo dalla cerchia ristretta della minoranza alevita fino a diventare, nella sua inaudita e indisturbata violenza, finalmente oggetto di discussione.

Un ulteriore segnale che la Turchia sta cambiando e che deve cambiare ancora, ma non per merito di Erdogan – come l' AKP vorrebbe far credere. Di sicuro questo governo non è peggiore di quelli che lo hanno preceduto, ma è altrettanto sicuro che non è un governo all'altezza dell'idea di democrazia che sta prendendo corpo in questo paese, grazie anche alla crescita di una classe media che reclama maggiore partecipazione. Questo, unito alla tradizionale e straordinaria combattività di questo popolo, può aprire scenari che lo stesso Erdogan non riesce a prevedere né gestire al meglio: Gezi Park insegna.