Turchia - Cronaca di una vittoria quasi annunciata

12 / 8 / 2014

10 agosto 2014: una data significativa per il popolo turco che, per la prima volta, ha eletto direttamente - con suffragio universale -  il nuovo Presidente della Repubblica.

Sebbene le ultime gesta di Erdogan, dalle violazioni dei diritti umani nelle vicende di Gezi Park  ai recentissimi tentativi di censura di Twitter e YouTube - tuttora bloccato in Turchia - , siano ancora ben stampate nella mente dei cittadini turchi, così come i sospetti casi di corruzione che l’hanno visto coinvolto, per non dimenticare la dichiarazione contro le donne turche, che non dovrebbero ridere in pubblico, è risultato vincente.

La presa di posizione contro le donne cozza con la tradizione turca che dall'inizio del secolo scorso è sempre stata molto più progressista nella politica di genere rispetto agli altri paesi islamici. 

Le componenti laiche della società sono attualmente minoritarie nei confronti dei partiti e movimenti di ispirazione confessionale, che hanno al loro attivo dieci anni di successi economici dei governi guidati dal premier Erdogan.

Recep Tayyip Erdogan ha messo a segno l'ennesimo successo elettorale consecutivo, ed è diventato il nuovo capo dello stato turco, ottenendo al primo turno il 52% delle preferenze.

La vittoria di Erdogan, al potere con il partito islamico AKP dal 2002 – a discapito dell'opposizione laica-, suscita un grande allarme in tutto il Paese, e non solo, in quanto un'ulteriore deriva islamica e autoritaria potrebbe essere alle porte.

Nonostante il risultato fosse ampiamente atteso per la prima volta da molti anni la percentuale dei votanti è stata in calo; l'incapacità dei due grandi partiti di opposizione CHP (il Partito Popolare Repubblicano) e MHP (il Partito del Movimento Nazionalista) di esprimere una candidatura unitaria ed alternativa ha favorito il "Sultano di Ankara".

Erdogan ha saputo galvanizzare il proprio elettorato - religioso e conservatore – esaltandolo con un accurato discorso di ringraziamento a coloro che gli hanno dato fiducia nella ricostruzione di una “Nuova Turchia”.

Il presidente promette il sorgere di un “paese altro” capace di essere entro il 2023 la decima potenza economica mondiale; un anno buttato lì non a caso, in quanto sarà la ricorrenza del centenario della fondazione della repubblica da parte di Ataturk, di cui Erdogan è grande ammiratore.

Erdogan fa tante promesse, esalta i successi economici degli ultimi anni che hanno risollevato le sorti del Paese con investimenti nella crescita industriale; allo stesso tempo riunisce nelle sue mani un'altissima concentrazione di poteri e così controlla il Parlamento, il potere giudiziario, i grandi mass media, polizia, esercito e servizi segreti.

Un trionfo già annunciato per così dire, ma in un momento di grandi incertezze per la Turchia che si trova geograficamente in mezzo ad una fase di “nuovi” o “rispolverati” disordini con gli jihadisti dello Stato islamico (Isis) che premono lungo le frontiere meridionali con la Siria e orientali con l'Iraq, minacciando di "liberare" Istanbul.

E mentre l'Unione Europea si dice preoccupata per la tenuta democratica in Turchia messa in luce dal rallentamento del processo di riforme e dai numerosi passi indietro sullo stato di diritto e sui diritti civili -inclusa la libertà di stampa- l’Isis piano piano si radica anche in alcuni strati della popolazione turca con il sospetto che da parte di Erdogan e del suo enturage esista una certa "tolleranza" all'infiltrazione estremista.

Nel giugno scorso, dopo la conquista di Mosul (Iraq), l'Isis ha occupato il consolato generale turco e preso in ostaggio il personale diplomatico: la reazione di Ankara è stata quella di imporre ed ottenere il silenzio stampa. 48, questo è il numero delle persone che sono rimaste intrappolate nell'edificio, a disposizione dei piaceri e affari di Erdogan, tanto da diventare dei veri e propri scudi umani: vivono adesso come prigionieri e sono stati trasferiti al quartier generale dell'Isis in città.

La domanda, almeno nei più curiosi e non solo maliziosi, sorge abbastanza spontanea; com'è possibile che l'Isis, che in questi ultimi mesi ha allietato il web con una campagna mediatica truculenta e una "politica di ingaggio" basata sulla violenza, non si sia disfatto ancora dei suoi ostaggi nel momento in cui, almeno pubblicamente, pare che un riscatto non sia stato pagato, un intervento diplomatico non ci sia stato e nemmeno una presa di pozione forte dal punto di vista politico.

E allora, aspettando di capire cosa succederà nei prossimi mesi, sarà incisivo capire il ruolo della Turchia nella lotta contro il terrorismo e sarà interessante capire se Erdogan nel suo nuovo ruolo politico riuscirà a smarcare "il pettegolezzo" sull'accondiscendenza rispetto ai nuovi estremisti del Medio Oriente.