Tunisia - Vincere la paura

17 / 1 / 2011

La popolazione tunisina e in particolare la generazione nata e cresciuta poi educata nelle università sotto il regime dell'ex-generale ed ex-presidente Ben Ali, ha vinto la paura. 23 giorni per mettere fine a 23 anni di regime dittatoriale.

Per la Tunisia voltare storicamente pagina dopo un'indipendenza ottenuta pacificamente e una rivoluzione inedita, la prima posteriore alla decolonizzazione nella regione del Maghreb come nel Medio Oriente è ora una grande sfida.

I fatti incalzanti degli ultimi giorni, il kaos e gli scontri armati tra militari e forze di sicurezza nel palazzo presidenziale di queste ultime ore, danno la misura del compito che si devono assumere il governo provvisorio e la cittadinanza in ogni angolo del paese.

Un grande passo la rivoluzione "dei gelsomini" (come è stata battezzata dopo la cacciata di Ben Ali) verso la libertà ma dopo l'emozione è arrivata l'incertezza dei 60 giorni che costituzionalmente servono per indire nuove elezioni con l"auspicabile partecipazione dell'insieme delle opposizioni, anche quelle che fino ieri erano erano vietate. Una prospettiva densa di interrogativi perché il periodo di transizione vuol dire, come sintetizza bene un'affiche di fronte all'ambasciata tunisina di Parigi, che "non è ancora finita" . Il ruolo che avrà l'esercito, che sembra controllare il paese dopo la fuga dell'ex-presidente in Arabia saudita, è oggetto di preoccupazioni e controversie in un momento politicamente delicato come quello attuale. Il primo ministro Mohammed Ghannouchi, contestatissimo e poco credibile perché fedele 'spalla' di Ben Ali, è durato qualche ora, il tempo che è servito al Consiglio costituzionale per nominare capo di stato 'ad i nterim' il presidente dell'Assemblea nazionale, Foued Mebazaa, uomo d'apparato che si è impegnato ad incontrare i membri l'opposizione per formare un governo di coalizione lunedi 16 gennaio.

Ma l'opposizione non è strutturata, tutto era controllato dal potere e rare le forme politiche autorizzate, sindacato unico, Unione generale dei lavoratori tunisini (UGTT), giustizia, associazioni, media, edizioni, etc. E l'economia.

Nessuno dei partiti (PDP, Partito Democratico Progressista, Ettajdid, FDTL, Fronte democratico per il lavoro e le libertà, PCOT, Partito comunista dei lavoratori della Tunisia, Ennahda partito islamico conservatore) - a parte alcune figure riconosciute della resistenza al regime, giornalisti dissidenti o avvocati appartenenti alla Lega tunisina dei diritti umani - è in grado di proporre un vero "progetto di società per la Tunisia" come esige la piazza da quattro settimane.

Il movimento che ha provocato questa straordinaria opportunità di cambiamento facendo scappare Ben Ali non appartiene a nessuna corrente politica, non ci sono partiti o leaders che ne rivendicano la rappresentanza, una forza e una debolezza allo stesso tempo perché la maggior parte dei tunisini esprime l'esigenza un governo che associ l'insieme delle forze vive del paese ma non sa a chi andrà dare il voto.

La priorità è quella di dotarsi di una nuova Costituzione. Le elezioni libere e l'amnistia generale per i prigionieri politici, libertà per chi è detenuto e ritorno di chi è costretto all'esilio. Ma anche una commissione "Giustizia e Verità" per far luce sul periodo del regime, dal 7 novembre 1987, data dell'arrivo di Ben Ali al potere.

Da venerdi 14 gennaio, speranza e scetticismo si mescolano insieme alla gioia e alla tristezza per le decine di vittime della repressione diventate simbolo della nuova Tunisia.

Mentre la famiglia dell'ex-presidente si rifugiava clandestinamente nella suite di lusso del Disneyland Hotel alle porte di Parigi, e Ben Ali dall'ospitale Arabia saudita si rivolgeva a Gheddafi, numerose manifestazioni hanno violato il coprifuoco. Migliaia di testimonianze dirette tramite il network e i contatti degli immigrati di origine tunisina con amici, conoscenti e familiari permettono di corroborare le informazioni. Come quella che riguarda i penitenziari in cui sono detenuti anche molti condannati per motivi politici. A Monastir il fatto più grave: un tentativo di evasione di massa dal carcere si è concluso con la morte di 42 detenuti a causa del panico seguito ad un incendio nel dormitorio. Altri assalti alle prigioni in diverse località del paese hanno causato feriti e forse altri morti. Saccheggiate e devastate le numerose residenze della famiglia dell'ex-presidente nonché alcuni centri commerciali che fanno parte delle proprietà acquisite da Ben Ali grazie alla corruzione e alla 'spoliazione' del patrimonio pubblico. Bande di uomini armati, sorta di milizie, sono state viste attraversare i quartieri di Tunisi a tutta velocità su auto o cammionette sparando a vista su immobili o persone, Molte testimonianze li indicano come appartenenti al corpo della polizia. La notte, in alcune zone della città, gli abitanti organizzano l'autodifesa armati di mazze e coltelli per proteggere negozi o attività. Si costruiscono barricate, adulti e minorenni con bastoni in mano installano dei posti di blocco autarchici, controllano le automobili per verificare la presenza di agenti della sicurezza di Ben Ali. I taxi sono fermati e perquisiti. L'esercito pattuglia ogni punto strategico e nevralgico della capitale e del paese. Il coprifuoco ha costretto un migliaio di persone a dormire all'aeroporto di Tunisi bloccato e circondato dai militari tutta la notte. Lo stato d'emergenza vieta gli assembramenti di più di tre persone e

molti dicono di restare chiusi in casa e di uscire solo per cercare cibo, chiedono che vengano riaperti i negozi alimentari e le panetterie perché mancano i rifornimenti. L'informazione 'di prossimità' è una pratica che permette di conoscere la situazione in ogni quartiere e di formire notizie utili e anche vitali. Quasi nessuno è armato ma tutti reccontano di temere aggressioni o assalti e radunano attrezzi di ogni genere, pale, picconi, mazze da baseball o da golf, asce e accette per difendersi "dalla polizia" in caso di necessità, e in attesa di vedere come evolve la situazione. Al riparo, si naviga in rete sui siti finalmente resi accessibili, si ascoltano dibattiti politici alla radio impensabili fino a venerdi scorso, e si parla di un futuro senza Ben Ali e gli avatar di Ben Ali.

Rischiando la tortura, le ritorsioni, le minacce, i sequestri di persona e il carcere, l'opposizione tunisina ha denunciato, informato, gridato per anni senza essere ascoltata. I governi francesi hanno protetto e sostenuto il regime tunisino fino ad oggi, una complicità mascherata dalla "non ingerenza negli affari interni" che si è rotta solo l'altro ieri con il rifiuto di accogliere Ben Ali a cui è seguita la prima dichiarazione di sostegno alla "volontà di democrazia" del popolo tunisino.

La singolarità tunisina tra i regimi autoritari della regione che coniugano il dirigismo economico a profitto di un modello cinese e la chiusura politica, non è una novità e questo rende la svolta democratica esemplare per i vicini. Basti pensare alla pronta reazione delle autorità algerine e giordane nel prendere polso e misura della febbre popolare adottando misure economiche per far calare la tensione salita con i nuovi aumenti dei prodotti alimentari di base.

ll prudente silenzio dei governi arabi, spettatori inquieti della rivoluzione spontanea che ha messo fine al regime poliziesco di Ben Ali, è stato interrotto solo dalla timida dichiarazione della Lega araba che ha invitato autorità, partiti e società civile a dare prova di "unità" . Estrema reticenza che si spiega con il timore di una contagione perché l'insurrezione tunisina segna la fine della sottomissione e della docilità delle popolazioni in quegli stati arabi autoritari appoggiati dall'Occidente dove il potere è in mano a polizia ed esercito.

Il 2011 si annuncia come un anno di cambiamento nel mondo arabo.

Marina Nebbiolo