Tunisia - Intervista con Omeya Seddik

Le contraddizioni sociali dove affondano le spinte islamiche radicali

29 / 5 / 2013

Con Omeya Seddik presente al seminario "L'Europa oltre l'Europa" abbiamo voluto affrontare il contesto in Tunisia in cui si rafforzano le organizzazione islamiche radicali.

Volevamo con te  focalizzare l'attenzione sul peso sempre maggiore che hanno i gruppi, che per comodità definiamo, dell'islamismo radicale.

L'islamismo radicale è un area molto larga ed eterogenea. Ci sono espressioni governative come Ennadah in Tunisia o i Fratelli Musulmani in Egitto etc.., che stanno diventando partiti di governo, si adattano alle realtà governative e all'ordine mondiale. Che ci dice che forse diventeranno qualcosa di simile alla Democrazia Cristiana che avete avuto voi, altri pensano che c'è comunque una differenza forte e specifica che rimarrà. Poi ci sono altri movimenti più radicali, che ad esempio in Tunisia si esprimono in una forma assai particolare: i movimenti del salafismo jaddista.

Il salafismo jaddista in altri paesi è sempre stato formato da reti molto collegate a quelle che si chiamano pratiche armate. terroristi etc .. ma in Tunisia c'è qualcoso di nuovo: questi gruppi hanno l'obiettivo di radicarsi nel terreno sociale.

Hanno fatto un lavoro molto particolare nei quartieri popolari della capitale ed anche in certe regioni dell'hinterland povero del paese. Questo ha fatto sì che hanno avuto una crescita molto veloce ed un radicamento molto rapido nei quartieri poveri e tra i giovani di queste zone.

Oggi in Tunisia un'organizzzaione come Ansar Al-Sharia, che si definisce salafista jaddista, fa un discorso molto estremo dal punto di vista culturale (ad esempio nei rapporti  uomini e donne etc..), molto reazionario però al tempo stesso radicale contro l'ordine, il capitalismo mischiato all'antimericanismo. Fanno un discorso antimperalista o contro l'impero, senza che queste espressioni vengano mai chiarite.

Questo movimento in Tunisia è diventato molto radicato nella gioventù dei quartieri poveri. Per la prima volta è un movimento di massa, con una rete di quadri.

Tutto ciò può essere molto inquietante. Credo che tutto questo vada studiato, approfondito perchè sta diventando un elemento determinante del quadro sociale.

Un giovane tunisino che aspira ad un discorso radicale, oggi se viene da un quartiere povero ha delle forti possibilità di ritrovarsi in questo genere di movimenti.

Ultimamente ci sono stati scontri duri tra il governo e questi gruppi, che sono riusciti a fare in modo che parti intere delle concentrazioni  più povere siano solidali con loro. Domenica scorsa ci sono stati scontri in uno dei quartieri più poveri di Tunisi tra questa organizzazione e l'esercito ed abbiamo visto un allineamento completo del quartiere con loro e se non direttamente con loro, contro i loro avversari.

E' un terreno in cui le realtà militanti classiche o di sinistra non riescono a lavorare, a costruire qualcosa di significativo

Questo è uno dei rompicapo della situazione molto mobile nata dopo la rivoluzione in Tunisia. C'è una disponibilità alla lotta della popolazione però senza delle espressioni collettive precise, che possano rendere queste lotte meno effimere e più chiare nei loro obiettivi, nel loro carattere emancipatorio.

Questa situazione nasce anche dalla crisi economica. Immagino che la capacità di socializzare di queste organizzioni oltre al fatto di "dare un sogno" alle persone si concretizzi anche nel dare una risposta materiali ai bisogni soprattutto in queste zone povere.

Certo. Loro stanno costruendo qualcosa che si presenta come un'alternativa alla crisi. Questa alternativa non è una critica esplicita al capitalismo. Si presenta come una specie di economia comunitaria, che si basa principalmente sul settore informale, che rappresenta in Tunisia più del 43% delle attività economiche, non dunque qualcosa di marginale.

Nell'economia informale c'è un misto di tutto: cose considerate illegali o cose normali, come il commercio informale, attività di comunicazione come i cyber-point. Tutta questa area è investita da questi gruppi in modo comunitario: mettono il denaro insieme ed aiutano ognuno di loro a cominciare dei business. Tutti i "fratelli e le sorelle", dicono loro, devono mettono qualcosa per far cominciare il business. Si tratta di attività quasi sempre fuori dalla formalità, dal controllo statale e ufficiale. Così nasce un economia che regge la loro pratica complessiva. Si finanziano così, a differenze di altri gruppi islamici che beneficiano di aiuti dai paesi del golfo, ai quali hanno dichiarato guerra e dai quali dunque non ricevono niente. Hanno costruito un embrione di economia che non è anticapitalistica ma che benefica di rapporti non mercatili tra di loro, per fare la loro propria "accumulazione primitiva".

Questo funziona nei quartieri popolari che sono terreni di un attività commerciale basate sul contrabbando e sull'informale in generale

E' questa  la composizione materiale di questi movimenti dentro un sistema in cui la crescita dell'economia informale  sta diventando importantissima.

Spaziamo un pò dalla Tunisia e andiamo in Siria.

C'è un'attrattiva verso la guerra civile in Siria per i giovani tunisini. Cosa spinge un giovane tunisino a varcare i confini, c'è un legame con quello che abbiamo descritto?

Certo. In Siria ci sono molti combattenti stranieri. Le tre principlai provenienze sono: Tunisia, Cecenia e Libia.

I giovani tunisini partono versa la Siria pensando che lì si gioca la lotta contro il nemico principale. Il nemico principale è il governo siriano ma loro pensano di combattere contro l'ordine mondiale. Quando si parla con loro del fatto che l'opposizione siriana è anche aiutata da quelli che loro dicono di voler combattere rispondono con un discorso molto confuso. Però tutto questo non impedisce che andare a combattere in Siria sia molto attraente per moltissimi giovani, non solo marginali. Ho incontrato tra quelli che sono andati in Siria anche giovani che hanno studiato, fatto l'Università. Il processo esistenziale assomiglia molto ai giovani che andavano a combattere in America Latina negli anni settanta, ottanta.

Il problema è che questo succede in un quadro molto forzato ideologicamente, in maniera molto settaria, quasi un lavaggio del cervello.

In Siria stanno accadendo anche cose particolari. L'esperienza del combattimento in Siria sta cambiando. Quelli che ci vanno  si pongono  il problema di cosa succede dopo, il ritorno, e che seguito ci può essere dopo l'esperienza militare.

In Siria stessa, nelle zone controllate dall'opposizione, le cose stanno cambiando. L'opposizione siriana sta chiedendo ai combattenti stranieri di farsi un pò da parte per lavorare sulla gestione delle zone che controllano.

Si deve dimostrare che sono le opposizioni siriane a controllare il tutto, pur restando in collegamento con chi viene da fuori. E' una cosa studiata, teorizzata nei manuali, scelta  da gente che ha letto la letteratura di tecniche di insurrezuone e contro-insurrezione classiche. Adesso è la tappa di costruire un egemonia sulla popolazione e con la popolazione.

Ci sono due funzioni: quella internazionalista di combattimento e quella di radicamento.

Negli anni scorsi alcuni teorici, che riflettevano sui movimenti islamici, parlavano del passaggio dall'islamismo all'islamo-nazionalismo, parlando dei movimenti che oggi sono al potere, non dei salafisti.

Oggi c'è qualcosa di analogo che sta succedendo con questi movimenti. Dopo essere stato un movimento transnazionale focalizzato sulla lotta militare adesso vogliono avere un lato politico di gestione e controllo di spazi che loro chiamano liberati.