Tunisia - Il disincanto e l'attesa

15 / 1 / 2014

La Tuni­sia ha festeg­giato ieri il terzo anni­ver­sa­rio della rivo­lu­zione che aveva por­tato alla caduta di Ben Ali. Una cele­bra­zione senza grande eufo­ria. Infatti, seb­bene la rivo­lu­zione tuni­sina con­ti­nui a rap­pre­sen­tare un espe­ri­mento posi­tivo nella fuo­riu­scita dalla dit­ta­tura, gli obiet­tivi della rivo­lu­zione sono ben lungi dall’essere realizzati.

L’anniversario ha susci­tato umori diversi nella popo­la­zione e nella stampa: cauto otti­mi­smo, si è evi­tato il peg­gio, ma anche disillusione.

La mag­giore delu­sione è quella dei gio­vani che più ave­vano spe­rato che la rivo­lu­zione rap­pre­sen­tasse la solu­zione dei loro pro­blemi. Così non è stato e per que­sto hanno mani­fe­stato la loro rab­bia in varie zone del paese arri­vando anche a scon­tri con le forze di sicurezza.

Il segnale più posi­tivo è comun­que rap­pre­sen­tato dalla fine del governo gui­dato dagli isla­mi­sti di Ennah­dha che hanno por­tato al paese tre anni di crisi poli­tica, eco­no­mica e sociale, dimo­strando inca­pa­cità di gover­nare e di dare qual­che solu­zione ai pro­blemi. Anzi, alla crisi si è aggiunta la vio­lenza con gli assas­si­nii di poli­tici dell’opposizione rima­sti impu­niti e la nascita di gruppi jihadisti.

Enna­nh­dha, che aveva vinto le ele­zioni dell’Assemblea costi­tuente, il 23 otto­bre 2011, con i suoi voti (98 su 217) ha para­liz­zato per mesi i lavori della costi­tu­zione, che doveva essere varata il 23 otto­bre 2012. Dopo tanti ritardi, la nuova «road map» sta­bi­lita in base al dia­logo nazio­nale cui hanno par­te­ci­pato tutti i par­titi, aveva fatto coin­ci­dere la pre­sen­ta­zione della costi­tu­zione con l’anniversario della rivo­lu­zione. Ancora una volta la sca­denza non è stata rispet­tata, man­cano all’esame circa un terzo dei 146 arti­coli di cui è com­po­sta la carta.

Tut­ta­via rispetto alle prime ver­sioni volute dagli isla­mi­sti si è tro­vato il con­senso su posi­zioni più avan­zate, effetto del dia­logo ma pro­ba­bil­mente anche della desti­tu­zione di Mursi in Egitto. I timori che anche in Tuni­sia si potesse rea­liz­zare un golpe, nono­stante la debo­lezza dell’esercito in con­fronto a quello egi­ziano, non erano per nulla nasco­sti. «I tempi per un colpo di stato sono pas­sati, per­ché c’è un popolo per difen­dere la sua rivo­lu­zione», ha detto ieri davanti ai suoi soste­ni­tori Ajmi Lou­rimi, diri­gente di Ennahdha.

A difen­dere gli obiet­tivi della rivo­lu­zione sono soprat­tutto le donne pro­ta­go­ni­ste del 14 gen­naio di tre anni fa, che sono riu­scite ad evi­tare l’aberrazione isla­mi­sta che voleva i diritti delle donne «com­ple­men­tari» a quelli dell’uomo. L’articolo 20, appro­vato, infatti recita: «I cit­ta­dini e le cit­ta­dine sono uguali in diritti e doveri. Sono uguali davanti alla legge senza nes­suna discriminazione».

Ahlem Belhadj, ex pre­si­dente dell’Associazione tuni­sina delle donne demo­cra­ti­che (Atfd), ha ammesso che è una vit­to­ria anche se «non abbiamo otte­nuto quello che vogliamo, ma abbiamo evi­tato il peg­gio, gra­zie alla resi­stenza della società civile». Quello che lamen­tano le fem­mi­ni­ste è che l’articolo 20 si rife­ri­sce all’uguaglianza nella sfera pub­blica e non in quella pri­vata. Attesa era anche l’approvazione dell’articolo 45: «Lo stato garan­ti­sce i diritti acqui­siti della donna e si ado­pera per soste­nerli e svi­lup­parli… Opera per la rea­liz­za­zione della parità nelle assem­blee elette. Lo stato prende le dispo­si­zioni neces­sa­rie per l’eliminazione della vio­lenza eser­ci­tata nei con­fronti delle donne». Sull’articolo con­si­de­rato una vit­to­ria dai demo­cra­tici, c’era stato un brac­cio di ferro con gli isla­mi­sti. Dopo l’approvazione men­tre molti depu­tati can­ta­vano l’inno nazio­nale si sca­te­nava l’ira di Mou­nia Bra­him di Ennah­dha con­tro l’introduzione del ter­mine «parità» discri­mi­nante rispetto a «ugua­glianza». Nell’articolo che riguarda le libertà invece c’è il limite impo­sto dal rispetto della «mora­lità pub­blica» che potrebbe essere uno stru­mento nelle mani degli islamisti.

Altro scon­tro riguarda la nomina dei giu­dici, l’elezione del pre­si­dente, il ruolo del capo del governo.

Ieri comun­que le varie com­po­nenti del puzzle tuni­sino hanno cele­brato la rivo­lu­zione sepa­ra­ta­mente, la mag­gior parte si sono alter­nate nella cen­trale ave­nue Bur­ghiba che, soprat­tutto nel tratto davanti al mini­stero dell’interno, era stato tea­tro delle mani­fe­sta­zioni, e anche degli scon­tri, tre anni fa.

L’alza ban­diera davanti alla Kasbah, il palazzo del governo, ha invece segnato il pas­sag­gio delle con­se­gne dal governo isla­mi­sta di Ali Larayedh a quello di tec­nici di Mehdi Jomaa, che dovrà essere for­mato entro una set­ti­mana e gui­dare il paese fino alle ele­zioni che si ter­ranno entro l’anno.