Scenari in Tunisia dopo gli omicidi politici di due leader dell’opposizione laica, Chokri Belaïd e Mohamed Brahmi.

Tunisia - Ennahda si rimangia l’accordo. Continua lo stallo istituzionale

Diventa sempre più difficile immaginare una soluzione per la crisi istituzionale

di Lda
9 / 10 / 2013

Mentre circola con orgoglio negli ambienti vicini al governo la notizia dell’invito ricevuto dalla Tunisia a partecipare alla riunione dei G8 che si terrà a Washington la settimana prossima, il Paese si trova ancora in serie difficoltà. Ennahda, il partito islamico che guida la coalizione di governo, non è intenzionato a lasciare il potere, non si vedono all’orizzonte né elezioni, né ripresa economica. In questa difficile fase post-rivoluzionaria si stanno esplicitando i limiti e le contraddizioni del sistema rappresentativo, che pure figurava tra le istanze rivoluzionarie che chiedevano la destituzione di Ben Alì ed elezioni democratiche.

Infatti, ad oggi, si può dire che è solo grazie ai movimenti di protesta e alle partecipate manifestazioni in piazza che il processo di islamizzazione della società tunisina non è stato portato a compimento. Basti pensare al tentativo di rendere, tramite la riforma costituzionale, la donna “complementare” e non più “uguale” all’uomo. Migliaia di donne e uomini hanno manifestato in diverse città della Tunisia, ottenendo la revoca della proposta. Al contrario, i partiti di opposizione, sono stati incapaci di proporre un’alternativa credibile al sistema politico, economico e sociale della Tunisia, così come di dare battaglia per la stesura di una Carta Costituzionale laica, in cui la giustizia sociale fosse il criterio principe.

E’ ripresoIn seguito a diversi eventi tra cui gli omicidi di Chokri Belaïd e di Mohamed Brahmi, gli attacchi di gruppi islamici radicali ai danni di reparti militari nella regione di Kasserine e con il conseguente acuirsi dell’instabilità sociale, politica ed economica, alcuni attori si sono messi in gioco per fungere da mediatori tra governo e l’opposizione: il sindacato (UGTT), la confindustria tunisina (l'Unione degli industriali tunisini) e la Lega per la Difesa dei diritti dell'Uomo (LTDH).

Dopo mesi di trattative tra il Governo guidato da Ennahda (il partito islamico che fa riferimento ai Fratelli Musulmani) e l’opposizione, sembrava che sabato scorso, finalmente, fosse stato raggiunto un accordo che prevedeva la creazione, in tempi brevissimi, di un Governo tecnico che traghettasse il Paese verso le elezioni.

Invece, ormai abituandoci a colpi di scena, che peraltro vanno sempre nella direzione opposta all’ideale della democrazia rappresentativa, o di qualsivoglia forma democratica, Ennahda ha posto nuove condizioni per cedere il potere. La nuova controproposta di Ennahda prevede infatti che la dissoluzione dell’esecutivo sia subordinata al termine dei lavori per la redazione della Costituzione. Questa condizione, per usare un eufemismo, rallenterebbe il passaggio del potere da Ennahda al nuovo governo tecnico, dato che i lavori sono fermi da mesi a causa dello “sciopero” dei membri dell’Assemblea Nazionale Costituente che l’hanno disertata in segno di protesta contro il governo e contro la sua incapacità di trovare una soluzione condivisa.

Continueranno le trattative? Si riuscirà a definire una soluzione condivisa? In caso contrario quali possono essere i prossimi passaggi? Queste domande per ora restano senza risposta poiché la fase attuale presenta troppe incognite. Di certo rimane solo il fatto che l’instabilità della Tunisia non è casuale, ma è la conseguenza di scelte e di volontà politiche chiare.

Inoltre non è difficile comprendere le ragioni che portano Ennahda a voler rimanere al potere: i sondaggi danno il partito confessionale in forte perdita, mentre Nidaa Tounes, principale avversario politico, sta crescendo di mese in mese. Infine, solo attraverso il controllo dell’Assemblea Nazionale Costituente, Ennahda potrà determinare sostanziose modifiche alla Costituzione, che ora viene ritenuta troppo laica e poco in linea con i precetti religiosi.