Tunisia - A forza di essere vento

Ultima notte a Sud – Le donne e le “leggi segrete”

9 / 4 / 2013

Il nostro tuffarci nel flusso di cambiamento tunisino è stato una vera e propria immersione difficile da dimenticare e i tanti autentici momenti di questo viaggio, sono stati certamente contrassegnati da una libera inter-permeabilità comune.
Scambio, apprendimento, condivisione dell'esperienza peculiarmente umana, prima ancora che politica. Sebbene per noi il confine tra queste spesso si sovrapponga fino a fondere insieme le parti, ad un determinato livello.
Ultima notte a sud. Nella inconciliabilità interna delle diverse visioni teorico-pratiche delle questioni politiche, i diritti, quelli non connotabili dal tempo e dagli spazi geografici, sono la nostra bussola.
L'intensità dei giorni vissuti insieme ha reso l'atmosfera familiare: tra i sorrisi è possibile pensare di inoltrarsi in una chiacchierata più intima, spontanea, informale.
Ci viene in mente di non sprecare neanche un'occasione, perchè siamo quelli del “fino in fondo”, perchè apprezziamo le aperture generose e la capacità di non fermarsi ad una conoscenza di primo grado.

Le assemblee, le riunioni, i dibattiti, i momenti più formali sono interessanti sintesi, ma c'è sempre il voluttuoso bisogno di qualcosa di più.

Volevamo vedere e comprendere cosa fosse custodito oltre le apparenze, oltre le differenze e i punti di contatto fino ad ora colti.
Allora è deciso: chiediamo alle giovani donne tunisine, appartenenti a varie associazioni, di parlare un po' con noi e le invitiamo in una delle camere.
Prima però, quasi per felice equivoco, partecipiamo ad una delle assemblee di donne e uomini che discutono circa il concetto di “cittadinanza”.
La situazione comincia a suscitare le prime impressioni, osservando le calde modalità di dialogo collettivo, nonché i contenuti e le definizioni che s'infilano a catena e che evidenziano ancora una volta la fatica insita nella “pars costruens”.
Il coinvolgimento è molto alto da parte di tutti i presenti ma si percepisce la necessità di trasformare il caos generato dalla moltitudine dei punti di vista disomogenei in un dialogo in grado di svincolarsi dagli empasse che la complessità e la passione soggettiva spesso producono.
Assistiamo a vari tentativi di moderare e gestire una confondente ricerca della “ragione”e comprendiamo la difficoltà di muovere i primi passi ardui dentro un momento storico così poco chiaro e a seguire di un trascorso come quello tunisino.
Fare delle cose che non sono mai state fatte, conquistare e utilizzare al meglio libertà che non si sono avute, scegliere da che parte stare. Non è esattamente un gioco da ragazzi, sappiamo che per tanti è molto più comodo lasciare tutto uguale, accontentarsi del già dato senza sforzarsi troppo: e invece la democrazia reale, la partecipazione, il protagonismo, il “mettersi in gioco”, richiedono impegno e coraggio e in mezzo a tante gioie e brighe anche qualche nottata trascorsa a discutere. Questo per dire che è un bene che si inizi a camminare, dato che è l'unico modo per “arrivare” (mai una volta per tutte!).
Inoltre non è in alcun caso troppo corretto dividere la storia in un prima e un dopo, tagliare con la cesoia il tempo. Al contrario la dinamicità (variabile) intrinseca nel movimento si esprime nel lungo periodo e non dà sempre la possibilità di mettere in ordine il reale in modo da sentirsi a proprio agio per mezzo di una semplice sequenza di mosse (magari preconfezionate). Non senza aver sperato e disperato abbastanza, non senza aver lottato.
Uno dei temi più sentiti risulta essere il rifiuto della disuguaglianza uomo/donna: “Dobbiamo parlare di esseri umani e di cittadinanza, evitando di differenziare ogni volta il maschile e il femminile”, è una delle frasi che si sente più spesso durante la riunione.
Conclusasi quest'ultima, ci raduniamo per l'incontro un po' più intimo tra donne. Porta chiusa, nessuna telecamera, nessuna macchina fotografica. Solo noi.
Una trentina di giovani donne tunisine e italiane, sparpagliate sui letti, accovacciate sui cuscini, sul pavimento, vicino alla finestra di una stanza piuttosto essenziale ma pregna di corporea ospitalità.
Inizia con un atto, quest'incontro, che fa sfumare il chiacchiericcio in qualcosa di più delicato e importante. A porta chiusa ci si può togliere il velo. Vediamo le ragazze in tutta la loro bellezza e mi risulta naturale spostarmi sul piano della metafora: forse meno cose si hanno addosso, più si è liberi di essere se stessi, più ci si espone alla vulnerabilità di presentarsi agli occhi dell'Altro/a, senza difese. La libertà di concedersi, di lasciarsi andare, di deporre le barriere, le coperture, di smettere di controllare il corpo.
Ci mettiamo d'accordo che sarà uno scambio, un raccontarsi reciprocamente la situazione delle donne nei nostri rispettivi Paesi, le storie di vita, i problemi e i desideri che abbiamo, di far scorrere pensieri e parole, informazioni e contenuti interessanti per la questione.
Qualcuna cerca di stabilire le regole del rispetto reciproco, ma tali pratiche assembleari sono forse poco idonee a questo momento speciale e così pian piano scivoliamo in una più fluida spontaneità.
Prende parola una ragazza tunisina che spiega come venga strumentalizzata e incentivata la subordinazione delle donne: le associazioni religiose/partitiche hanno logiche assistenziali e forniscono contributi e viveri continuando a relegare la donna entro un ruolo di dipendenza, senza insegnarle come gestire, organizzare e conquistare la sua autonomia.
“Il compito della donna rimane così aspettare, aspettare, aspettare gli altri. A casa.” Perchè questa è la sua condizione normale (come un fatto scontatamente naturale). Ci sono molte cose del genere che vengono trasmesse e corroborate dalla strategia della norma data come immutabile, leggi non scritte che hanno ingerito i membri di una comunità e che sono assodate e forti più di quelle scritte, probabilmente. Leggi “segrete”, le chiamano così.
A più voci ci raccontano delle condizioni gravemente disagiate delle donne delle zone rurali, che vengono sfruttate sul piano lavorativo, senza avere alcuna garanzia. E che subiscono violenze nei campi. “Questo è un tabù, a Regueb nessuna ragazza denuncia mai uno stupro”. “Di aborto non se ne parla, ma le pance ogni tanto spariscono”. “La tradizione vuole che la donna giunga vergine al matrimonio, se si hanno rapporti prima è necessario che restino segreti per scansare il pericolo del rifiuto della famiglia e della società. Se si sapesse in giro, nessun uomo ti prenderebbe più in sposa.”
Il dolore e la rabbia rispetto alle violenze credo siano sentimenti universali, riusciamo a percepire tutte cosa può voler dire, i confini geografici svaniscono nel nulla della loro irrilevanza.
Le violenze sono abusi, molto spesso abusi di potere. Tra i “segreti” e le leggi “normali/naturali” della comunità, infatti, sono risapute le aberranti condotte dei poliziotti e le loro peggiori nefandezze che deturpano la soggettività femminile, i corpi delle donne e persino l'amore.
I poliziotti sono tra i principali attori delle violenze. Protetti da una legge anti-verità e che favorisce chi commette il reato, tanto sono labili i criteri per arrivare alle prove e alla condanna.
Un poliziotto può diventare, nello scoprire una coppia durante atti intimi fuori casa, il terzo incomodo che partecipa al rapporto (questa storia ci è stata riportata anche da altre fonti in una successiva tappa del nostro viaggio).
Ulteriori nemici delle donne sono i salafiti: anche qui divergono le opinioni, s'innesca la polemica su qual è la verità e quali le leggende.
Ci sono i veri salafiti, per le più religiose personaggi “degni di rispetto” perchè portatori ineccepibili di regole, “come i vostri sacerdoti”; e poi ci sono i falsi salafiti che, con le loro barbe, tipicamente abbigliati, si spacciano per quelli veri e adescano la ragazze, anche minorenni, promettendo loro la “chiave del paradiso” e con un potente lavaggio del cervello fanno sì che queste si trasferiscano in Siria per il “benessere dei combattenti”: prestazioni sessuali in cambio di una falsa illusione di matrimonio.
Ma pure su quest'argomento si confondono le acque: la questione dei salafiti viene spesso utilizzata per distogliere l'attenzione delle persone dai problemi reali. Molte sono le notizie che vengono gonfiate e distorte mediaticamente, numerose le leggende e le voci tra fantasia e realtà: s'intuisce l'imprescindibile necessità di fare informazione dal basso, di condurre profonde “operazioni-verità” affinchè la cittadinanza sia consapevole, per poter adottare un atteggiamento critico nei confronti del potere, per opporre resistenza ai tentativi di sottrarre o negare libertà e diritti alimentando le disuguaglianze e riducendo al minimo la possibilità di pensare, comprendere, accedere alla cultura, alla comunicazione, alla vita politica.
Tutto questo quadro s'inscrive in un panorama dalle tinte a volto poco intonate, e addirittura nettamente agli antipodi: come superare il paradosso di attiviste col velo integrale e di altre donne tunisine che si approcciano alla lotta con il corpo nudo per trasmettere il loro messaggio di libertà, in linea con le pratiche delle Femen?  
Sicuramente c’è una grande distinzione da fare, a livello culturale e nella presa di libertà/coscienza/capacità di autodeterminazione e di autorganizzazione, tra chi vive nelle zone cittadine e chi sta fuori dalla polis, in aperta campagna, dove le abitazioni sono rade e separate da lunghe e silenti terre di mezzo, disseminate di rifiuti incompatibili con l’ecosistema, battute dal sole e travolte talora da un vento poderoso che rimaneggia la sabbia e solleva oggetti e perfino persone.
La forza del vento. Avevamo detto prima di partire per quest’avventura, che la dimensione geopolitica dell’Euromediterraneo era attraversata e accomunata da un vento di cambiamento.

Il vento non ha paura di scomporre le cose, di spingere le onde, le nuvole, le vele, di far intraprendere nuove traiettorie a chi deve a lui adeguarsi. La natura, quella vera, insegna.