They can’t control our bodies! La revoca dell’aborto libero e sicuro apre un nuovo capitolo di oscurantismo per le donne negli USA

27 / 6 / 2022

Sono bastate sei firme, la volontà dei senatori ultraconservatori di cui tre rappresentanti il lascito politico della presidenza Trump nella Corte Suprema, per determinare la cancellazione della storica sentenza Roe vs. Wade che dal 1973 proteggeva a livello federale il diritto all’ IVG (interruzione volontaria di gravidanza) per milioni di donne e soggettività non-conformi negli Stati Uniti e non solo. Le conseguenze saranno devastanti e avranno ricadute pesanti sulle vite di milioni di donne che si vedono improvvisamente revocata la libertà riproduttiva e il diritto di scelta.

Da un punto di vista giuridico, si tratta di una decisione senza precedenti nella storia statunitense, che apre diverse incognite sulle ripercussioni che avrà a livello sociale e politico. Ad un livello più immediato, la cancellazione di un diritto conquistato da decenni di lotte che si pensava inamovibile è stata di fatto possibile grazie ad un colpo di spugna che vede la Corte Suprema appellarsi alla non-legittimità storica della sentenza, sostenendo che l’aborto non sia mai stato un diritto garantito dalla Costituzione e perciò debba tornare ad essere materia di legislazione dei singoli Stati. La sentenza Roe vs. Wade ha reso possibile la tutela dell’aborto appellandosi al XIV emendamento al principio di tutela della privacy; sosteneva infatti che la pianificazione riproduttiva, al pari del matrimonio e altre decisioni che riguardano la sfera intima della persona, non fossero materia di legislazione statale. Una sentenza, dunque, che per 50 anni ha garantito lo stato di diritto a fronte di una lacuna costituzionale.

Di fatto, la decisione della Corte Suprema lascia un buco gigantesco. Aumentano le voci di chi accusa il Partito Democratico di aver tradito il suo elettorato, costretto nuovamente nella morsa ancora più stringente di un ricatto ultra decennale: votare il “lesser of two evils”. Sebbene ora le dichiarazioni sommesse di esponenti di spicco quali Pelosi e Biden si pongano come futuri garanti della libertà di scelta delle donne, c’è chi li accusa di aver utilizzato l’aborto come arma di ricatto elettorale.

Negli ultimi 50 anni, con il susseguirsi delle presidenze, i democratici avrebbero avuto tutte le carte in regole per applicare la Roe vs. Wade al piano legislativo, decidendo invece di delegare la questione dei diritti riproduttivi alla precarietà di una sentenza che poteva essere rovesciata in condizioni ottimali per l’agenda repubblicana, esattamente come accaduto ieri. Non stupisce dunque la disaffezione nei confronti delle voci di partito che invocano in queste ore le piazze, affidando ai movimenti la necessità di creare pressione politica, deresponsabilizzando il proprio operato e sperando di incanalare quanta rabbia possibile verso dei risultati alle elezioni mid-term che vedano i Democratici in testa. 

La rabbia c’è. Eccome. Ma nei confronti di una classe politica che da destra a sinistra continua ad utilizzare il corpo delle donne e delle soggettività marginalizzate come terreno di controllo e scontro politico. Se da un lato l’aborto si configurerà necessariamente come scontro di classe in un Paese senza sanità pubblica - e infatti le conseguenze del divieto acuiranno la forbice di un divario sociale già critico -; dall’altra parte è innegabile la matrice di oscurantismo patriarcale entro cui piomberanno ancor di più gli States. In nome della “difesa della vita” e contro la vita delle donne sono infatti già 26 gli Stati a trazione Repubblicana, soprattutto nel Sud e nel Midwest, pronti a negare l’interruzione di gravidanza, di cui 13 da subito. In alcuni Stati, come l’Alabama, si vorrebbe vietare l’aborto anche in caso di stupro o di pericolo per la vita della partoriente o del feto; alcuni Stati si stanno già adoperando per la creazione di database per le donne incinte a fronte di eventuali tentativi di aborto. 

Non è chiaro ancora quali saranno le conseguenze penali per le donne che decideranno di ricorrere e praticare IVG clandestina in un Paese già vessato dalla piaga sociale dell’incarcerazione di massa. Ciò che è chiaro, invece, è che la mancanza di IVG sicura e garantita acuirà disuguaglianze sociali già profondamente tracciate entro linee di razze e classe; metterà in pericolo donne già marginalizzate per forme di disabilità, accesso ai servizi di cittadinanza, possibilità di accedere a cure adeguate. Toglierà la possibilità di scelta a donne che vivono già in situazione di precarietà e povertà, abuso e violenza domestica, donne trans e corpi non-conformi, donne che vivono senza reti di solidarietà o in comunità fortemente patriarcali e retrograde.

In Italia, gioisce il Senatore Pillon assieme a quelle fazioni politiche che stanno facendo della crociata contro l’aborto un baluardo di civiltà, sbandierando la volontà di revocare le legge 194 già fortemente compromessa da quel 70% di obiezione di coscienza su base nazionale. Gioiscono i partiti del “Popolo della Famiglia”, gli Adinolfi, i Gandolfini, quelli del Congresso della Famiglia di Verona, tutte quelle forze che sul controllo e l’annichilimento delle donne hanno costruite agende politiche e passerelle elettorali.

Inorridiamo noi, che a fianco delle sorelle e sorelle trans statunitensi non molleremo un centimetro.