La parola è
sempre quella, ma è l'uso che è cambiato. Prima, in Thailandia, dire
"prai" a qualcuno era una specie di tabù: e come poteva essere
altrimenti, dato che significa "plebeo". Nelle loro manifestazioni
ancora in corso a Bangkok, le "camicie rosse" rivendicano invece con
fierezza le loro origini rurali, popolari, lontane dall'elite della
capitale. E si danno del "prai" da soli, come elemento fondante del
loro movimento. Che a prescindere da come si risolverà la crisi in
corso, ha cambiato le dinamiche politiche del Paese per sempre.
"Prai",
nei tre caratteri con cui lo si scrive in thailandese, lo trovi
stampato sulle magliette, pronunciato nelle arringhe dei leader,
ripetuto con orgoglio dai vari dimostranti che da quasi due mesi
dormono sull'asfalto di Bangkok. La contrapposizione chiave è quella
con gli "ammat", gli aristocratici, parola con cui ormai si intende
l'intero "vecchio ordine" che ha sempre controllato l'economia del
Paese, con una distribuzione del reddito tra le più ineguali in Asia.
Un'altra t-shirt che va per la maggiore, tra i "rossi", contiene la
scritta "Tutto quello che fai tu è giusto, tutto quello che faccio io è
sbagliato", con riferimento al "doppio standard" di trattamento tra
ricchi e poveri in Thailandia.
Visto da fuori, forse non si
percepisce come questo sia un sentimento nuovo. Ma per la cultura e la
società thailandesi si tratta di una mezza rivoluzione. Un Paese dove
l'obbedienza e il rispetto verso l'autorità vengono inculcati fin da
piccoli, dove il "siamo tutti thailandesi, pacifici e sorridenti" è
ancora oggi adottato dalle autorità come una specie di regola di
condotta valida per tutti, dove tra i benestanti di Bangkok e i
"contadini" delle popolose aree rurali c'è una barriera psicologica
profonda, si trova ora con milioni di "plebei" che hanno rotto il patto
non scritto di essere ossequiosi e pazienti. Non a caso, nell'ultimo
anno la propaganda governativa ha investito pesantemente sul concetto
del "siamo tutti thailandesi", creando slogan come la "società della
moderazione". Ma non sta funzionando.
Tradizionalmente, in un
panorama più pragmatico che ideologico e con una diffusa compravendita
di voti, la politica - come l'economia - era dominata da Bangkok. Al
resto, specie nel popoloso e rurale nord-est, arrivavano le briciole.
L'ex primo ministro Thaksin Shinawatra, in autoesilio dopo essere stato
deposto da un golpe nel 2006 ma tuttora il punto di riferimento delle
camicie rosse, quando era al governo scoperchiò il vaso di Pandora
delle campagne, dando una sanità pubblica quasi gratuita e ampi
programmi di microcredito ai villaggi e alle piccole città sempre
trascurate. Populismo, accusavano i suoi critici; finalmente un
politico che pensa a noi, ribattevano i suoi sostenitori. Comunque sia,
oggi chi governa il Paese non può permettersi di tornare alle vecchie
abitudini; tanto che l'attuale premier Abhisit Vejjajiva, per
accrescere la sua minima popolarità nelle aree rurali sta copiando
molte politiche introdotte da Thaksin. Con scarsi risultati sul suo
gradimento: essendo il rampollo di una famiglia di "ammat", i "prai"
non si fidano. Il miliardario Thaksin, almeno, può rivendicare di
"essersi fatto da solo"; per quanto sia un'esagerazione creata ad arte,
già il fatto di venire dal nord lo rende più vicino alla massa dei suoi
elettori.
Mentre i "rossi" sono ancora accampati nel centro di
Bangkok, tra centri commerciali e hotel di lusso in cui gran parte di
loro non è mai entrata, una via d'uscita alla crisi iniziata due mesi
fa pare in via di definizione. Abhisit ha proposto di andare a elezioni
il 14 novembre, oltre un anno prima della scadenza del suo mandato (è
salito al potere con un ribaltone parlamentare, dopo che i giudici
avevano sciolto due governi filo-Thaksin); i leader dei "rossi"
vogliono più rassicurazioni sulla loro posizione legale. Qualunque sarà
la data, è probabile che al voto il primo partito sarà il Puea Thai,
composto dai fedelissimi di Thaksin. C'è già chi teme che tutto
ricominci un'altra volta, in quel caso, con l'establishment che cerca
di riprendersi il potere, riprendendo il processo iniziato col colpo di
stato quattro anni fa. Ma tornare indietro alle vecchie abitudini, con
i "prai" disinteressati alla politica perché tanto i politici sono
tutti uguali, non sembra più un'opzione.
Thailandia, orgoglio plebeo
8 / 5 / 2010
Le camicie rosse rivendicano le loro
origini rurali, sovvertendo le tradizionali dinamiche politiche in un
Paese dominato da Bangkok
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