Siria - «Siamo alla distruzione reciproca»

INTERVISTA James Gelvin, docente dell'Università della California, spiega le posizioni sul campo nella crisi di Damasco

11 / 3 / 2013

«I comitati popolari permettono di intaccare l'ordine locale e di costruirne uno alternativo, fatto di giustizia sociale ed economica. Ma differiscono tra città e campagna». Abbiamo raggiunto telefonicamente a Los Angeles James Gelvin, docente di storia del Medio oriete all'Università della California. Gelvin è autore di numerosi saggi suimovimenti politici alternativi in Siria, citiamo «Divided loyalties: nationalism and mass politics in Syria at the close of empire».

Professor Gelvin qual è la funzione dei comitati popolari nel conflitto siriano?

I comitati popolari permettono di intaccare l'ordine locale e di costruirne uno alternativo in cui la giustizia sociale ed economica siano fondamentali. Agiscono quindi contro il governo. Ma ci sono varie distinzioni tra comitati in aree rurali ed urbane. I ribelli hanno preso il controllo di alcune regioni nelle campagne, come nel caso di Raqqa, sono più stabilmente presenti nelle zone periferiche. Ci sono tre tipi di comitati popolari: i comitati coordinati su base locale, i gruppi jihadisti di autodifesa e i comitati attivi nelle province curde. I primi si sono sciolti, ma all'inizio delle rivolte coordinavano la base, gestivano la rabbia e organizzavano manifestazioni di massa. I comitati gestiti dai jihadisti invece hanno spesso fornito servizi e infrastrutture per dimostrare che non sono né contro il regime né contro il popolo. Si tratta di gruppi spesso armati. Infine nelle aree curde si combatte per l'autonomia e l'autodifesa. I comitati popolari qui sono coordinati a livello locale e agiscono pacificamente.

Cosa avviene tra i curdi?

La comunità curda siriana è divisa su obiettivi e alleanze. Alcuni guardano al Partito dei lavoratori curdi (Pkk), altri al modello iracheno. Poiché il regime degli Assad ha dovuto fronteggiare due significative ribellioni curde, il governo ha cercato di annullare il pericolo curdo per non aprire un nuovo fronte. E così ha offerto delle concessioni, chi tra i curdi, si era spostato in Siria e non aveva ancora la cittadinanza, ha ottenuto un passaporto. Il governo ha poi stabilito per i curdi un giorno di festa nazionale. In questo modo ha tentato di tenerli calmi. Poi nelle province curde esiste una chiara aspirazione dei nazionalisti arabi che ha indebolito l'omogeneità curda. Non solo, in quella regione c'è petrolio. Se il regime vince, non darà autonomia ai curdi e neppure se vincerà l'opposizione.

Esiste una questione delle minoranze in Siria?

La crisi favorisce lo sviluppo del settarismo. Anche se le rivolte non sono cominciate come un movimento settario, per alcuni gruppi di opposizione il nemico è diventato non solo il regime ma la comunità da cui proviene: gli alawiti. Secondo un report sullo sviluppo umano nei Paesi arabi delle Nazioni unite, dove ci sono minoranze c'è una «legittimità per ricatto». Se le minoranze non sostengono il regime vengono minacciate di distruzione, è avvenuto in Iraq, in Bahrain, etc. E così le minoranze fanno parte dei cerchi che sostengono il regime. Sanno cosa accade se la maggioranza prende il potere. Anche ora c'è una chiara tendenza a sostenere il regime e ad osteggiare le opposizioni. Non solo ci sono elementi nelle opposizioni che fanno paura alle minoranze. Le atrocità che vengono raccontate come perpetrate dai jihadisti contro le minoranze radicalizzano le divisioni nella popolazione, innescano paura negli alawiti e trasformano il conflitto in una lotta settaria.

A chi arrivano denaro e armi che vengono da Europa e Usa?

Gli Stati uniti sono più riluttanti di quanto appaia nell'intervenire nel conflitto siriano. Hanno sbagliato molto durante queste primavere arabe, hanno sostenuto governi contro le volontà dei popoli. In Egitto hanno voluto che il regime rimanesse intatto anche senza Mubarak. Gli Stati uniti hanno apprezzato il modo in cui il regime siriano ha tenuto insieme il Paese in questi anni, come ha controllato le frontiere con Israele. Per questo non spingono affinché il regime sparisca. Gli Stati uniti sanno che l'assenza di Stato lascerebbe territorio ai jihadisti, temono la settarizzazione del conflitto. Gli americani sono entrati nella crisi perché vogliono scegliere chi tra le opposizioni deve andare avanti. Per gli interessi di Washington la questione è tenere sotto controllo Qatar e Arabia saudita che sostengono i gruppi salafiti e capire l'ideologia politica dei Fratelli musulmani siriani che sono meno noti all'amministrazione americana di quelli egiziani. Evidentemente questo approccio sta cementando le opposizioni.

John Kerry nella riunione di Roma ha designato al-Khatib come leader dell'opposizione siriana?

Quello non è un governo transitorio per gli Stati uniti ma un canale. Così Washington vorrebbe che anche Gran Bretagna, Francia e Qatar rifornissero un solo gruppo. Questa tecnica dovrebbe dare un segnale ai ribelli frammentati che chi vuole ottenere risorse deve raggiungere questo gruppo e obbedire.Ma il sistema non funziona, gli inglesi, i sauditi, il Qatar e altre parti possono emergere in modo difficile da controllare.

C'è una via di uscita?

Il regime mente e le opposizioni altrettanto. Non ci sono alternative alla distruzione reciproca. Non è possibile una sorta di colpo di Stato militare sul modello egiziano e neppure gli scenari dei regimi frammentati i Libia e Yemen. Il regime siriano non si frammenta, non si sgretola  combatterà fino alla fine. Questo vuol dire che una soluzione politica non è praticabile.

Quale ruolo hanno i jihadisti?

Ci sono due tipi di jihadisti: domestici provenienti da altri Paesi. Gli stranieri operano seguendo la direzione qaedista, conquistano piccole aree liberate per attaccare. Sono arrivate ingenti quantità di armi in Siria alla Libia e dalla Croazia. Molti di loro per liberarsi del regime commettono atrocità. Al-Qaeda non ha intenzione di combattere regime per regime, e finisce un governo «marionetta dei sionisti» e lo combatte. I guppi jihadisti interni sono impegnati ad imporre la sharia nelle aree liberate non cercano l'unione del mondo musulmano. Mentre i qaedisti sì, vorrebbero un Paese dalla Spagna alla Cina, e l'assurdità del loro auspicio ha tolto credibilità al loro messaggio politico.

Tratto da Il Manifesto del 9 marzo 2013