Dal WSF di Tunisi, in collaborazione con Osservatorio Iraq. Foto di Francesco Fantini

Siria, emergenza profughi

29 / 3 / 2013

Dal WSF di Tunisi, in collaborazione con Osservatorio Iraq.

Il conflitto siriano iniziato nel marzo 2011 e tuttora in corso ha provocato la morte di 60 000 persone secondo un rapporto delle Nazioni Unite. Ad oggi gli sfollati all’interno de paese sono circa 2 000 000 e un milione i profughi. Come si stanno comportando gli Stati vicini nel gestire la loro accoglienza?

In questi primi due giorni di Forum abbiamo incrociato molte storie di lotte e popolazioni in crisi nell’area africana e nel Medio Oriente. Le guerre, i conflitti e la crisi si riflettono in primis sulla popolazione civile e l’impatto di macro-conflitti tocca direttamente le vite dei singoli individui. Oggi ci è sembrato interessante parlare della mostra di una rete di ragazzi italiani che vivono e lavorano tra Egitto, Siria e Libano. “Racconti e notizie sulla crisi umanitaria in Siria” è una raccolta di foto e testi svolto nei campi profughi tra Giordania e Libano da dicembre 2012 a marzo 2013.

Le cifre parlano da sole: il Libano ha “accolto” 367.000 profughi, la Turchia 260 000, la Giordania 360 000, l’Iraq 117 000 ed ogni giorno i numeri aumentano. La condizione della popolazione civile in Siria è tragica: bombardamenti d’artiglieria e aerei, attentati, violenze perpetuate in maggioranza dall’esercito, ma anche dai gruppi armati dell’opposizione. Decine di migliaia di case distrutte, 3 000 000 di persone obbligate a lasciare le proprie abitazioni, scuole distrutte, aiuti umanitari sono insufficienti. Mancano i beni di prima necessità, il gas c’è soltanto qualche ora al giorno e lo stesso vale per l’acqua, quasi la metà degli ospedali pubblici e delle ambulanze sono danneggiati o distrutti.

“I media si interessano essenzialmente al conflitto ideologico e ai futuri scenari geopolitici, dimenticando il lato umano e l’emergenza umanitaria. Bisognava fare qualcosa. Una mostra accompagnata da storie di vita ci è sembrato un modo per sensibilizzare ed informare sulle sofferenze di queste persone.” Intervista a Federico Dessì, tra i promotori del progetto Focus on Syria

Quali contesti prende in esame il progetto Focus on Syria?

Le foto ritraggono i rifugiati siriani in Libano e in Giordania; le storie, le testimonianze raccolte che accompagnano le immagini, trattano sia della vita dei rifugiati nelle realtà di accoglienza sia del loro passato in Siria. Raccontano l’impatto della guerra civile sulla loro esistenza. Ridurre lo spettro, è stata una scelta obbligata. Coprire tutti i paesi in cui si registra una forte presenza di rifugiati siriani, come Turchia, Iraq ed Egitto, avrebbe richiesto troppo tempo ed energie. Inoltre, essendo la crisi in continua evoluzione, abbiamo dovuto ridurre la fase preparatoria per far uscire in tempo la mostra.

Chi assiste questi rifugiati?

L’Unhcr e le ong hanno libero accesso sia in Libano che in Giordania. Ovviamente quelli che accedono nei campi giordani, essendo recensiti prima dell’ingresso, ricevono aiuti in modo più regolare. Altrimenti il programma di assistenza prevede la distribuzione di vaucer da 30 dollari al mese (per rifugiato) per comprare gli alimenti. Ma sono ancora molti, al di fuori dei campi, a non essere registrati. C’è chi non è al corrente del programma, chi non ha le possibilità per farlo - per la mancanza di uffici nelle zone dove vivono - chi ha paura.

Richiedere lo status di rifugiato può diventare un problema per i siriani. C’è il timore di essere ‘identificati’, che venga fatta l’associazione tra rifugiato e ribelle, nemico del regime, con conseguenti rappresaglie nei confronti delle famiglie rimaste in patria. Oppure temono di vedersi rifiutare l’ingresso in Siria nel caso volessero rientrare.

Cosa cambia, tra la realtà libanese e quella giordana, per quanto riguarda la politica di accoglienza?

In risposta all’esodo, il governo giordano ha allestito campi a Zatari. C’è poi la possibilità di uscire dal campo, con la concessione di permessi speciali, e di installarsi nel resto del paese. Di fatto, circa la metà di questi profughi abita all’esterno.

In Libano, invece, il governo non ha accettato la proposta delle Nazioni Unite di allestire campi di accoglienza, per evitare il ripetersi dell’esperienza palestinese, e i rifugiati devono arrangiarsi per trovare un alloggio. Di solito finiscono nei quartieri poveri delle città o nelle zone rurali, a volte viene data loro la possibilità di occupare scuole o altri edifici abbandonati, altri si sistemano in affitto nelle soffitte o negli scantinati, in appartamenti degradati, perfino nelle baracche. Ci sono poi delle reti informali di accoglienza, organizzate dalle associazioni locali o dalla volontà dei singoli attivisti. Facilitazioni, doni o concessioni possono arrivare anche dalle autorità locali, ma restano provvedimenti discrezionali e poco incisivi

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Come incide l’afflusso di profughi nelle realtà locali in cui si insediano?

In entrambi i paesi, soprattutto in Libano, si assiste ad una speculazione sugli affitti, in alcuni casi raddoppiati o triplicati. Le ricadute gravano sulla popolazione più povera, che vede i prezzi delle case aumentare. I siriani stessi fanno fatica a trovare soluzioni, dal momento che hanno una valuta più debole rispetto a quella libanese e anche a quella giordana. In queste condizioni non possono permettersi di pagare un affitto o restare senza lavoro per diversi mesi, e così offrono la propria manodopera al ribasso.

In Giordania la situazione è migliore, perché gli affitti sono meno cari in partenza e perché i rifugiati più poveri hanno comunque la scelta di restare nei campi di Zatari dove ricevono aiuti alimentari.

Ci sono momenti particolari che hai vissuto durante la realizzazione del progetto, che non hai potuto raccontare con le immagini ma che vorresti comunque restituire?

Due episodi. Il primo a fine dicembre scorso, nel campo palestinese di Shatila a Beirut. Centinaia di famiglie cercavano rifugio, in fuga da Yarmuk - Damasco - in quei giorni sotto i bombardamenti. Molti avevano lasciato parenti e amici in Siria. La tensione e la disperazione cresceva ad ogni notizia ricevuta, le madri cercavano di contattare i propri figli, mentre la televisione mostrava le case in macerie.

Un altro momento significativo, duro, sempre in Libano a gennaio. Nella valle della Bekaa c’era stata una tempesta di acqua e neve e gli accampamenti erano completamente allagati, isolati dal resto del paese. Noi stessi abbiamo dovuto munirci di 4x4 e catene per arrivare. La gente era in stato di shock: se i rifugiati si mostravano solitamente timorosi di fronte alla macchina fotografica, questa volta ci hanno accolto quasi con sollievo; eravamo i primi a raggiungerli e volevano che documentassimo la situazione estrema in cui erano costretti, volevano che il resto del mondo sapesse della loro esistenza.

Foto di Francesco Fantini:
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