Con il rischio di una tracimazione del conflitto in tutto il quadrante, posto che la Siria è, da tutti gli osservatori internazionali, considerata, da sempre, il vero punto di equilibrio del Medio Oriente.

Siria, Assad punto di equilibrio?

di Bz
9 / 5 / 2013

Il segretario di Stato USA, John Kerry, è oggi a Roma per una serie di incontri, tra cui col nuovo ministro degli Esteri, Emma Bonino, il cui cuore è rappresentato dalla guerra civile in Siria, la persistente tensione nei territori palestinesi e dal MUOS, che ieri ha avuto l’onore delle cronache per la caparbietà con cui si stanno battendo i comitati siciliani contro l’installazione del Grande Orecchio della Nato sul Mediterraneo e l’Africa.

L’aspetto di maggior preoccupazione dei colloqui è senz’altro il conflitto siriano è che, da solo, è affetto da tutti i fattori di rischio che hanno caratterizzato i conflitti mediorientali dagli anni Ottanta all’ultima guerra civile in Libia. Come nel caso dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, ci sono problemi nel rifornire di armi i ribelli, perché al termine degli scontri gli arsenali scomparirebbero nell’anarchia politica. Gli stessi gruppi ribelli siriani, una volta esclusi dal potere, potrebbero cercare avventure in altri scenari, così come fecero e fanno i reduci dell’Afghanistan o di Al Qaeda che combattono da mercenari e/o missionari in tutti i conflitti che si aprono nei quadranti mediorientale ed africano.

La situazione in Siria è quanto mai ingarbugliata e complessa per la sovrapposizione di una molteplicità di fattori, da quello geopolitico a quello religioso, da quello petrolifero a quello kurdo, che qui si condensano e che in altri articoli abbiamo cercato di evidenziare. La stessa vicenda riguardante l’uso del gas nervino – il Sarin – accusa che si rimpallano le forze governative e quelle ribelli e che è considerata dagli USA la linea rossa da non passare per decidere un intervento diretto degli USA e della NATO, ha subito una virata sorprendente, da quando l’ispettore ONU per la Siria, Manuela Da Ponte, ha dichiarato alla radio elvetica che tali gas sono stati adoperati dai ribelli che li avrebbero trafugati dai depositi dell’esercito regolare siriano.

Un bel intrigo che ha lasciato interdetti i falchi interventisti.

Questa situazione di stallo è, inoltre, sostanziata dalle fosche previsioni di un dopo Assad caotico politicamente, con una frammentazione territoriale in cui non sono escluse forme di califfato, che potrebbero destabilizzare tutta l’area mediorientale che già si regge su equilibri incerti. Si teme che una eventuale caduta del regime di Assad possa generare una spirale di guerra civile permanente simile a quella che ha avuto luogo in Iraq dopo la sconfitta di Saddam, infatti ci sono numerosi parallelismi tra la regola di Saddam e quella degli Assad. Prima di tutto, entrambi i sistemi di potere alle origini si basavano sul ba’athismo, sorta di ideologia arabista, militarista e con spunti di socialismo. Serviva per creare un “sistema politico non religioso”, che potesse negoziare le istanze delle diverse culture racchiuse a forza nei confini mediorientali decisi dagli interessi dell’Occidente. Con il rischio di una tracimazione del conflitto in tutto il quadrante, posto che la Siria è, da tutti gli osservatori internazionali, considerata, da sempre,  il vero punto di equilibrio del Medio Oriente.

Con questo quadro di riferimento si riesce a capire meglio la scelta di Assad di sostenere – e Israele di bombardare -, con forza e determinazione, gli Hezbollah, che operano in Israele, in Libano, in Siria e che sono la lunga mano dell’Iran, quale la milizia in grado di minare, dall’interno, i Paesi dell’area. Una sorta di braccio di ferro con Israele e l’Occidente, prima che con gli stessi ribelli in armi, per cui non è azzardato dire che il, sempre paventato, conflitto Iran/Israele si stia effettivamente combattendo, per interposte fazioni, milizie e schieramenti, in Siria.

Questa è la forza di Assad, il potersi, ancora, presentare come il garante di un fragilissimo equilibrio tra le potenze e i tribalismi religiosi dell’intero Medio Oriente. E la Casa Bianca mantiene salda la sua posizione di cautela.