Senza seggi elettorali né partiti: i popoli indigeni messicani che cercano di autogovernarsi.

4 / 6 / 2018

Dopo sette anni di autogoverno coi propri usi e consuetudini, Cherán contagia più comunità che aspirano a governarsi senza partiti. La maggioranza ha attuato una serie di misure legali e azioni politiche perché lo Stato messicano riconosca il loro modello di governo.

Nei comizi più grandi della storia del Messico, nei quali si disputeranno 3406 incarichi pubblici, per la terza volta Cherán non permetterà l’entrata dei seggi e delle schede elettorali. Per questo, nelle strade di questo municipio michoacano non ci sono pubblicità coi nomi dei candidati, né incontri coi candidati che dispensano cappellini. Ci sono invece assemblee, dato che i quattro barrios di questa comunità tra poco nomineranno le proprie autorità, dopo il movimento che iniziarono sette anni fa. Il 15 aprile del 2011, gli abitanti di Cherán arrestarono i boscaioli che devastavano i loro boschi e li espulsero, accusandoli di essere collusi con il crimine organizzato. L’allora presidente municipale e la polizia furono costretti ad andarsene.

Nel 2012 Cherán impedì l’entrata dei seggi elettorali e consolidò la sua struttura di governo sugli usi e sulle consuetudini locali. Questa nuova organizzazione comunitaria è stata riconosciuta dalla Suprema Corte di Giustizia della Nazione. Questo esempio concreto di lotta dei membri della comunità ha ispirato altri municipi messicani.

Nel 2015 al secondo blocco dei seggi elettorali di Cherán si unirono altri cinque pueblos. E in questo 2018, la ribellione elettorale potrebbe arrivare a una dozzina di luoghi solo nello stato di Michoacan.

Aranza, Zopoco, Santa Fe de la Laguna, Sevina, Urapicho, San Felipe de los Herreros y San Benito, membri del Consiglio Supremo Indigeno del Michoacan, non parteciperanno alle prossime elezioni. In aggiunta a questi pueblos, anche Pichátaro e Arantepakua stanno progettando di bloccare l’installazione dei seggi elettorali, così come l’autorità di Nahuatzen, vicina di Cherán.

«Informiamo i presidenti di tutti i partiti politici, senza distinzione di colore o filiazione, che nelle comunità in questione non permetteremo la realizzazione di nessun atto o azione di proselitismo e propaganda elettorale», dice un comunicato del 28 febbraio scorso e diffuso dal già menzionato Consiglio. Nello stesso comunicato avvertono anche l’Instituto Electoral de Michoacan (IEM) e la Junta Local del Instituto Nacional Electoral (INE), che le comunità che ne fanno parte non permetteranno le installazioni dei seggi elettorali.

Ma la tendenza a non permettere l’installazione delle strutture elettorali si è estesa a altri stati della repubblica messicana.

In Chiapas, alcune comunità del municipio tzeltal de Oxchuc (43 mila abitanti) hanno deciso di non permettere l’installazione dei seggi. Lo stesso succede nel municipio ch’ol di Tila (73 mila abitanti).

Tzeltales di altri municipi – Sitalá (12 mila abitanti) e Chilón (111 mila abitanti), hanno intrapreso misure legali per cercare di impedire l’entrata dei “pacchetti” elettorali. Ad Ayutla de los Libres (60 mila abitanti), nello stato di Guerrero, è in corso una lotta per bloccare l’entrata delle strutture, come nelle comunità wixárikas di San Sebastián Teponahuaxtlán (300 abitanti) e Tuxpan de Bolaños (1300 abitanti), nello stato di Jalisco.

In una intervista del 23 maggio, pubblicata da Excélsior, il consigliere elettorale Marco Baños ha spiegato di aver individuato 17 luoghi dove verrà impedita l’installazione dei seggi elettorali. E lo ha giustificato in questo modo: «In alcuni municipi ci sono problemi in quanto sono state fatte richieste di carattere sociale che non sono ancora state evase».

L’EFFETTO CHERÁN

Sette mila militari arrivarono in Michoacan nel dicembre 2006. L’allora presidente Felipe Calderon Hinojosa, dichiarò una guerra contro il narcotraffico, nella teoria e nella pratica. Nei sei seguenti anni si rafforzò il vincolo tra delinquenti e politici locali sotto ogni aspetto.

A Cherán, le elezioni del 2006 e del 2009 e la lotta interna del disgregato Partito della Rivoluzione Democratica, aprirono le porte alla vittoria elettorale del Partito della Rivoluzione Istituzionale. Bande di narcotrafficanti approfittarono della spaccatura per entrare nella comunità. Mauricio el Güero Cuitláhuac Hernández per esempio ritornò ad essere il capo della piazza. Le persone che alzavano la voce erano assassinate o fatte sparire.

Dopo l’espulsione dei boscaioli di Cherán, e l’uscita delle autorità politiche e di sicurezza, il villaggio si dotò una ronda comunitaria – una vecchia pratica che gli anziani del luogo ricordavano -. I giovani nominati in questa assemblea difendevano la comunità.

Con la nascita dei consigli operativi – che vanno dalla giustizia, allo sviluppo sociale, alle donne, ai giovani e al Consiglio Maggiore – Cherán avanza «dal 2012… a un ritmo diverso», riferisce Jerónimo Lemus.

Jerónimo è uno dei giovani che si è formato nelle barricate alzate dal popolo contro il crimine organizzato. Ora ha un tatuaggio con la bandiera p’urhépecha nell’avambraccio. Allora i giovani furono costretti a prendere le armi, trasformarsi in polizia comunitaria. Ora vede una gioventù attenta. Riconosce che «abbiamo partecipazione nelle assemblee e nelle comunità».

Dopo che Jerónimo divenne membro del movimento del suo municipio, cominciò a realizzare altre attività in parallelo. Decise di studiare filosofia della cultura all’Università Michoacana, si trasformò in speaker di Radio Fogata e fondo uno spazio studio chiamato “Memoria viva”, per recuperare la tradizione orale del suo popolo.

Decine di murales e graffiti che alludono alla lotta colorano le pareti del villaggio. Teatri, orchestre infantili di musica tradizionale, economia solidale. Tutto questo è arrivato a Cherán da quando hanno instaurato l’autogoverno e molti adulti si sono impegnati nel compito di condividere le proprie conoscenze con i giovani.

Tramite un intenso sforzo di riforestazione, Cherán ha recuperato il 35 per cento degli ettari tagliati. Il suo Consiglio dei Beni Comuni amministra diverse “imprese” tra i quali una segheria, una miniera e una fabbrica di mattoni. Quella più degna di nota, il vivaio, è uno spazio di lavoro che non opera come un’impresa dello Stato né privata, ma comunitaria. Nel vivaio il lavoro ruota tra persone di tutto il quartiere. Bambine e bambini delle scuole primarie di Cherán lo visitano; lì seminano e ricevono lezioni di salvaguardia ambientale. In fondo al vivaio si trovano i camion dei boscaioli catturati durante il levantamiento. Sono sistemati e ordinati con una cura artistica che racconta il processo di lotta di Cherán.

«Li terremo li per un po’» scherza Jerónimo Lemus.

Il prossimo 27 giugno Cherán nominerà il suo Consiglio Maggiore. Tuttavia la comunità ha già designato tramite assemblee le persone più adatte per occupare le proprie strutture di governo. Devono solo ratificarle davanti al IEM. Questo permette che la nomina dei responsabili di Cherán sia molto più economica in tempo e denaro rispetto al bilancio assegnato ai partiti politici. Il processo del 2015 non costò più di 63 mila pesos [circa 2700 € al cambio attuale, ndt] e la maggior parte dei costi ha avuto a che fare con i funzionari dell’istituto elettorale statale.

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Nahuatzen: municipio vicino a Cherán in cui gli abitanti vogliono bloccare l’installazione delle strutture elettorali. FOTO: DALIRI OROPEZA

A differenza dei politici di professione, chi ha una carica a Cherán non vuole guadagnare una poltrona. Tutte le persone delle strutture di governo sono convocate dalla propria comunità. E non è necessario fare campagna. «Qui non c’è bisogno di vendere le proposte, ci conosciamo bene. Se qualcuno non ha buone intenzioni nella comunità, si sa», racconta Jerónimo. E aggiunge: «Nessuno si può autonominare in modo spontaneo».

Per Érika Bárcenas, avvocata del Colectivo Emancipaciones, dedicato a trovare crepe nelle leggi messicane per ottenere il riconoscimento di queste forme di fare politica, ora esiste una specie di “effetto Cherán” nel paese. Il motivo? «L’incapacità e la mancanza di interesse dello Stato di fornire sicurezza e permettere alle comunità di vivere in pace senza il crimine organizzato».

L’avvocata assicura che la mancanza di interesse dello Stato messicano di fornire sicurezza e le divisioni interne delle comunità, provocate dai partiti politici, hanno causato una risposta dei popoli michoacani. Attualmente le comunità di San Francisco Pichátaro, San Felipe de los Herreros e, recentemente, Arantepakua, stanno seguendo l’esempio di Cherán: hanno usato la giurisprudenza esistente per ottenere l’assegnazione delle proprie risorse senza che queste passino per i municipi ufficiali.

«Stimola la gente a pensare di fare politica in altre forme, di organizzarsi, una risposta molto semplice di difendere la propria vita. In questi contesti di violenza si è generata una riflessione rispetto al non funzionamento di questo modello di democrazia elettorale», sostiene l’avvocata Bárcenas.

Spiega che il sistema di governo di Cherán ha la forma di un sistema solare: l’orbita più grande è l’assemblea di tutta la comunità; dentro si trovano i consigli operativi per tema e infine, come autorità centrale, c’è il Consiglio Maggiore.

Jerónimo Lemus riassume così il modello di governo: «è una democrazia in senso stretto, in una visione occidentale; ma nella nostra visione è la possibilità della comunità di scegliere le proprie autorità».

Di sicuro c’è che ai membri della comunità non è proibito votare. L’avvocata Bárcenas dice che gli abitanti possono andare nelle circoscrizioni installate fuori dalle comunità o in altri municipi. L’unica posizione politica concessa è non permettere l’entrata nel proprio territorio a tutto quello che li ha divisi.

È così che gli abitanti di Cherán stanno scommettendo sull’autogoverno, partendo dalla premessa centrale di ottenere il rispetto per le loro terre ancestrali.

“COMUNALICRAZIA” MESSICANA

Jaime Martínez Luna è un antropologo zapoteco di Gueletao, municipio nascosto tra le montagne di Oaxaca. Da tre decadi ha sviluppato il termine “comunalità” per parlare dell’organizzazione dei popoli originari. Così vede questo conflitto: «Noi popoli non siamo liberali, siamo comunali”. Per questo parla di “comunalicrazia”, per differenziarla dalla democrazia rappresentativa.

D’accordo con l’antropologo, nello stato di Oaxaca ci sono 417 municipi su 570 che si amministrano con le assemblee grazie a una riforma statale chiamata “Código de Instituciones y Procedimientos Electorales”, promulgata nel 1995, «per paura che la ribellione zapatista si estendesse nello stato». Questa riforma ha dato la possibilità di registrare i propri rappresentanti senza colori di alcun partito. Ogni municipio ha in media 15 comunità, si parla quindi di migliaia di persone che si organizzano al di fuori dei partiti politici.

«Mi faccio la domanda: chi comanda quotidianamente in Oaxaca?, si domanda Martínez Luna. Lui stesso spiega: «Potrei dirti che in determinate regioni del Messico prolifera questo regime politico, ma accovacciato, clandestinamente stabilito: in Michoacan, Guerrero, Chiapas credo preferiscano non far troppo rumore per mantenere la propria capacità di autogovernarsi».

Nell’articolo 2 della costituzione ci sono “porte” per modelli politici differenti. Tuttavia l’antropologo pensa: «La proposta di riconoscere i requisiti che dichiarino i nostri modelli politici, implica che riconoscano la nostra “comunalità”».

Accerchiato da decine di wixárikas vestiti coi tradizionali abiti bianchi, il portavoce della comunità di Tenpohauxtlán, Ubaldo Valdez, lancia un suggerimento: «Dato che il governo non risponde, noi proseguiamo nella lotta, organizzandoci».

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Cherán: questa comunità ha affrontato con successo il crimine organizzato, l’apatia dei partiti politici e delle autorità municipali, statali e federali. FOTO: ANDREA MURCIA/CUARTOSCURO

E assicura: «D’ora in poi non regaleremo più voti al sistema politico che abbiamo in Messico».

I wixárikas hanno dei posti di blocco custoditi dagli abitanti. Nelle immediate vicinanze ci sono le propagande elettorali dei partiti politici ma per entrare nelle loro terre bisogna leggere un regolamento che dice: “è proibita l’entrata a qualsiasi candidato, la propaganda di qualsiasi partito politico sarà confiscata”.

Il 12 aprile, un avvocato e un perito sono stati quasi linciati al confine tra Jalisco e Nayarit di fronte alla polizia statale che non ha fatto molto per evitarlo. L’avvocato e il perito, membri del Congreso Nacional Indigena e rappresentanti della regione wixárika di Tuxpan de Bolaños e San Sebastián Teponahuaxtlán, chiedevano la restituzione di 10 mila ettari che erano nelle mani dei granaderos.

Di fronte al silenzio del governo, centinaia di abitanti, di almeno 35 comunità, hanno realizzato una serie di assemblee dalle quali è derivata la seguente posizione: «La cittadinanza wixárika non voterà nella giornata elettorale del 1° luglio nell’eventualità che non sia data risposta alla nostra domanda».

In Chiapas, quando si sono accorti che un’autostrada sarebbe passata per il loro territorio, gli abitanti di 12 municipi del nord dello stato, hanno lanciato il Movimento in Difesa della Vita e del Territorio (Modevite). Nel 2016, a seguito di riunioni hanno deciso di passare dal “no” al “si” e hanno cercato di far nascere governi comunitari in almeno due di questi municipi: Chilón e Sitalá. Così hanno formato promotori e coordinatori di governo per creare una propria struttura e affrontare un processo di legalizzazione. Dalla difesa dei propri boschi, ruscelli e montagne hanno intrapreso una serie di ricorsi legali che gli apre la possibilità di ottenere il riconoscimento di municipio comunitario. Tuttavia, in considerazione della lentezza del tribunale elettorale dello stato del Chiapas, e della sua risoluzione secondo cui le elezioni del 2018 devono essere svolte col sistema dei partiti politici, hanno presentato un altro ricorso legale per fermare l'ingresso delle strutture elettorali. A loro volta, questo 17 marzo, hanno “seminato” le cariche, una forma tradizionale di nominare i propri rappresentanti, a 12 persone membri del Consiglio dei Portavoce del Governo Comunitario.

Nel municipio di Oxchuc, un movimento sociale ha mantenuto una serie di blocchi stradali a seguito dell’ingresso di gruppi armati che hanno assassinato tre persone lo scorso 24 gennaio. Un mese dopo, e a seguito di un lungo conflitto post elettorale con il Partito Verde Ecologista [conservatore, ndt], questo movimento di indigeni tzeltales ha installato il proprio Consiglio Municipale. E ora bloccheranno l’entrata delle cabine elettorali. E a Tila, famosa per i pellegrinaggi che riceve il Cristo nero nella sua chiesa, l’assemblea di ejidatarios [membri del ejido, pezzo di terra comune, ndt] ha deciso di espellere le autorità dello stesso partito. Dopo una serie di dispute che sono arrivate fino alla Suprema Corte di Giustizia, decisero di abbattere, letteralmente, il palazzo municipale che ora chiamano “le rovine di Tila”. Da un anno e mezzo si dichiarano autonomi e ora impediranno l’ingresso dei seggi elettorali.

Chilón, Sitalá, Tila e Oxchuc hanno decine di comunità. In tutte è stato possibile nominare autorità al di fuori dei partiti politici. I percorsi di lavoro continueranno su economia, lavoro e il diritto alla propria cultura. Al posto di piani di sviluppo cominceranno a costruire “piani di vita completi”.

Erika Bárcenas spiega che esiste tutto un aspetto legale che in buona misura parte dagli Accordi di San Andrés, firmati dal governo e dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel 1997 e rimasti incompiuti dall’amministrazione di Ernesto Zedillo. La riforma in materia di diritti umani del 2011 ha aperto scappatoie nella legge. Ora, a partire dall’articolo 2 della Costituzione devono essere riconosciuti i diritti politici dei popoli originari.

«In particolare, quando il movimento di Cherán decise di appellarsi al diritto, era stata recentemente approvata la riforma costituzionale sui diritti umani», ricorda Bárcenas.

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Pichatáro: nel giugno 2015 si accesero i fuochi rossi, da allora le autorità comunitarie non permettono le installazioni delle cabine elettorali e bloccano le entrate al villaggio. FOTO: JUAN JOSÉ ESTRADA SERAFÍN/CUARTOSCURO.COM

Vale a dire, Cherán ha inaugurato la riforma che ha elevato a rango costituzionale, accordi internazionali come il 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e i trattati dell’ONU e della CIDH in materia di diritti indigeni. Questo ha dato vigore agli sforzi di cercare modi di garantirsi la sicurezza in un Messico afflitto dal crimine organizzato.

«Abbiamo vari principi giuridici dove non solo si riconosce, ma sono anche chiariti gli scopi, c’è giurisprudenza dei tribunali elettorali, questi casi a partire da Cherán, si sviluppano nella giurisprudenza e si è ampliato il diritto alla libera determinazione», ricorda l’avvocata.

recentemente in Morelos, le comunità di Xoxocotla, Coatetelco, Hueyapan e Tetelcingo hanno ottenuto il riconoscimento attraverso un decreto legislativo. Anche alcune comunità di Xochimilco ora stanno avviando un processo di assemblee per scegliere almeno un rappresentante di usi e consuetudini di fronte alla delegazione.

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Le comunità di San Francisco Pichátaro (foto), San Felipe de los Herreros e di Arantepakua ora usano la giurispudenza per ottenere l’assegnazione delle risorse senza che queste passino per il municipio ufficiale. FOTO JUAN JOSÉ ESTRADA SERAFÍN/CUARTOSCURO.COM

Ad Ayutla de los Libres c’è un processo interessante, è il primo municipio interculturale (me phaa, na savi, nahua e meticcio) dove si potrebbe dare un’elezione di questo tipo se si superano gli ostacoli messi in essere dalla presidenza municipale. Questo processo si può dare a partire dalla Legge 701 del Riconoscimento, Diritto e Cultura dei Popoli e delle Comunità Indigene dello stato di Guerrero, approvata nel 2011, la quale ha riconosciuto la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias – Policía Comunitaria, un sistema di giustizia con due decenni di esperienza, che affronta gli attacchi del narcotraffico e alla quale apparteneva l’attuale candidata al Senato Nestora Salgado.

Uno degli obiettivi della candidatura di María de Jesús Patricio Martínez, meglio conosciuta come Marichuy, portavoce náhuatl del Concejo Indígena de Gobierno, era di porre questo tema nell’agenda del paese intero. Tuttavia, con il non raggiungimento delle firme necessarie alla candidatura ufficiale, il tema ora rimane nelle mani delle comunità che esercitano la propria autonomia.

QUI È COMINCIATO TUTTO

Senza dubbio, i fuochi si riaccendono ogni 15 aprile a Cherán, anniversario della sollevazione di questo popolo che, armato di soli bastoni e pietre avvolte negli scialli neri dei p’urhépecha, fermò chi per un lustro disboscò 20 mila ettari intorno a questa comunità incastrata nell’altopiano dello stato di Michoacan.

Oggi, all’anniversario di quello che è chiamato il “levantamiento di Cherán” partecipano centinaia di persone della comunità, del paese e del mondo.

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FOTO: ARCHIVIO/JUAN JOSÉ ESTRADA SERAFÍN/CUARTOSCURO.COM

Alla mattina, le donne preparano il tè bollente con l’erba di nurite nella chiesa del Calvario, un piccolo tempio trasformato in un punto di riferimento di questa lotta vittoriosa. Successivamente c’è una cerimonia dedicata a Naná Echeri e Tatá Juriata: Madre Terra e Padre Sole in lingua p’urhépecha.

Cinque donne alzano copal (resina) fumante verso i quattro punti cardinali, salutano la terra e infine il cielo. Più tardi, nella piazza del paese, c’è musica e sfilate, saluti alla bandiera locale e alla bandiera messicana, tavoli di approfondimento ed esposizioni culturali.

Intorno al fuoco la gente parla e ricorda di Cherán. Tra i mormorii, l’impresa ritorna viva: “qui è cominciato tutto”.

Per Jerónimo Lemus, ciò che è successo a Cherán è stato principalmente un ritrovare sé stessi, un ritorno alla conoscenza degli antenati.

Oggi ci sono 189 “fuochi” o assemblee nel suo paese. Gli ultimi sette anni di lotta sono stati il prodotto dell’eredità culturale p’urhépecha, che si basa sui principi della sicurezza, della giustizia e della ricostituzione del territorio. È la dimostrazione che esisteva già qualcosa di formato nel profondo, che guarda al passato, ma che punta a svilupparsi per i prossimi trent’anni.

Lemus ricorda che la polemica rispetto all’utilizzo dei termini “usi e cosuetudini”, qualcosa che sembra abbia a che fare il vecchio, ma che invece ha significato, per esempio nell’ambito delle feste di Cherán, un riscatto di musica e cibo tradizionale e della lingua stessa: una serie di saperi culturali che costituiscono una memoria viva.

Lo zapatismo del Chiapas, la “comunalità” di Oaxaca e la lotta per nuovi modelli di giustizia comunitari in Guerrero, ha lasciato precedenti importanti per il suo riconoscimento. Cherán si aggiunge a queste eredità e apre nuove possibilità:

«A partire dal 2015 ci sono comunità con le quali dialoghiamo su questo stesso percorso. La sentenza a favore di Cherán è un precedente importante su scala nazionale perché altre comunità possano prendere questo percorso con le proprie differenze».

Il governo, dice, serve per risponde a principi imprenditoriali. I popoli originari sono l’ultima preoccupazione, per questo non si può sperare in nessun cambio radicale che provenga dall’alto: «Non ci resta che continuare a lavorare nel nostro progetto».

Rispetto a questo processo su scala nazionale è sicuro: «Indipendentemente da chi vincerà, anche se è evidente che ci sono differenze, Cherán continuerà nel suo percorso di auto governo».

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INE: è disponibile a installare le strutture elettori in questi paesi e a rispondere alle loro richieste.

L’Instituto Nacional Electoral (INE) è disposto a formare, consegnare le strutture elettorali e anche ad aiutare a indirizzare le richieste delle comunità che fino a questo momento hanno ribadito il loro rifiuto a ospitare i comizi dei partiti politici nei loro territori.

«È logico che alcune comunità in questo momento di campagna elettorale cerchino di mettere nell’agenda sociale le proprie istanze perché vengano risolte» dice Roberto Cardiel, direttore esecutivo di Capacitación Electoral y Educación Cívica dell’INE.

A detta del funzionario, le istanze elettorali indirizzano partiti, candidati e governo a risolvere le problematiche.

Attualmente il funzionario identifica tre stati dove c’è una maggior incidenza di comunità “ribelli”: Chiapas, Michoacan e Oaxaca. Su scala municipale, identifica nei villaggi dei municipi di Palenque, Ocosingo, Villa Flores e Las Margaritas in Chiapas; il municipio di Zacapu in Michoacan e Ciudad Ixtepec in Oaxaca.

Questi municipi sono diversi da quelli identificati dal consigliere Marco Baños alcuni giorni prima: Oxchuc, Tila e Nahuatzen.

Su richiesta, il funzionario ha risposto che l’INE non monitora le zone di conflitto del paese: «Il nostro indicatore è l’avanzamento delle procedure», ha dichiarato.

Fino a questo momento, l’INE ha formato il 50 per cento dei 1,4 milioni di abitanti funzionari di seggio. Poiché l’invito a diventare funzionario di seggio è fatto tramite sorteggio, nelle comunità indigene la nomina è fatta a persone delle comunità stesse: «Una misura che utilizziamo è assumere persone del luogo. Questo aiuta a convincere e a responsabilizzare le persone».

Degli oltre 300 distretti elettorali che ha il paese, un totale di 28 distretti sono classificati come indigeni. D’accordo con Cardiel, il criterio che utilizzano è che oltre il 40 per cento della popolazione del distretto si identifichi con qualche pueblo originario.

Sulle comunità che pretendono bloccare l’entrata delle strutture elettorali con l’idea di eleggere  le proprie autorità locali con usi e costumi propri, spiega che, per essere un’autorità federale, l’INE ha competenza solo riguardo ai partiti politici. Spetta agli istituti elettorali locali intavolare dialoghi con le comunità indigene che presentano questa richiesta.

Tuttavia, concorda che la forma organizzativa delle comunità deve essere garantita: « Si tratta di una questione della massima importanza e dovrebbe essere fatta nel campo legislativo. L'esistenza di un esercizio politico è riconosciuto nella Costituzione e deve essere rispettato».

Tratto da newsweekespanol.com, tradotto da Christian Peverieri. Foto di copertina di Andrea Murcia/Cuartoscuro.com.