Prosegue ad oltranza lo sciopero della
fame che alcune famiglie delle vittime e feriti della rivoluzione
tunisina hanno iniziato da 5 giorni contro “le verdict de la honte”.
Lo scopo è quello continuare a
mantenere viva l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sul
problema della giustizia, all’indomani del verdetto della vergogna che
ha visto condannati a lievissime pene i principali responsabili dei
massacri e delle uccisioni perpetrati dalle forze dell’ordine durante la
rivoluzione tunisina.
Sembra che qualcosa si stia finalmente
muovendo nella coscienza intorpidita dei tunisine e delle
tunisine,storditi da una crisi economica senza precedenti che li
costringe a concentrarsi sul problema drammatico di far quadrare i
conti e arrivare alla fine del mese. Nonostante il tentativo di
banalizzare la sentenza da parte di corifei del vecchio regime sulle
reti televisive nazionali e sui giornali, i nodi vengono al pettine: si
tratta della questione chiave che, accanto a quella economica e
sociale, era stata messa in ombra a beneficio della più spendibile
leggenda metropolitana della “dittatura islamica”. Parliamo della
giustizia e, nello specifico, della giustizia di transizione che, a tre anni dalla cacciata di Ben Alì, ancora non è stata applicata in Tunisia.
Votata tardivamente nel dicembre 2013,
la legge 52 ancora non è in funzione e solo in questi giorni si stanno
scegliendo i nomi delle persone che formeranno la Commissione per la
Verità e la Giustizia che dovrà esaminare l’enorme mole di dossier che
riguarda tutte le vittime della dittatura e della repressione, dal 1955
al 14 gennaio 2011.
E sono ancora loro, i diseredati, gli
umili, coloro i cui figli, mariti, fratelli erano in prima linea durante
la rivoluzione, coloro i quali non hanno la fortuna di poter
dimenticare…neanche per un attimo.
E così il 24 aprile
un gruppo di famigliari e di giovani che sono stati feriti durante le
rivolte del gennaio 2011 hanno cominciato uno sciopero della fame ad
oltranza, considerato da loro stessi come l’ultimo mezzo per ottenere
giustizia e verità.
La conferenza stampa
Il 28 aprile la conferenza stampa del
coordinamento di sotegno allo sciopero della fame è stata aperta da
Ali Mekki, presidente di “Lan Nansekom” (“noi non li dimenticheremo”)
che ha coniato un nuovo slogan: sokkor w me’ w edholim le’ (Acqua e zucchero, ma no all’ingiustizia) che si ispira al grido rivoluzionario Khobz w me’ w Ben Alì le’(Pane e acqua, ma no a Ben Alì).
Il giovane ha ricordato come si sia
persa l’occasione di fare del 12 aprile un grande giorno per il
prosieguo della rivoluzione tunisina, con un verdetto che avrebbe reso
giustizia alla memoria di chi ha sacrificato la propria vita per la
cacciata del dittatore Ben Alì. Il 12 aprile, al contrario, rimarrà
impresso nella storia come il giorno del tradimento della rivoluzione.
“Noi lo abbiamo sempre detto”ha poi
proseguito Mekki”noi delle famiglie dei martiri sapevamo che i tribunali
militari non potevano essere obiettivi, ma la società civile non è
stata abbastanza pronta a reagire, ha avuto una sorta di timidezza che
le ha impedito di stare al nostro fianco. Tuttavia, sembra che il 12
aprile abbia dato una scossa all’opinione pubblica che sembra
risvegliarsi dal torpore ed è pronta a dare il suo appoggio alla nostra
iniziativa. Lo sciopero della fame rappresenta il nostro ultimo
strumento per farci ascoltare… Inizialmente erano i ragazzi che si erano
proposti, ma poi i genitori delle vittime hanno insistito per avviarlo
loro stessi. Abbiamo cominciato in cinque , all’aperto sotto alcuni
gazebo in legno che si trovano nei giardini di Place des droits de
l’homme a Tunisi. Ora siamo in 12, ma abbiamo dovuto trasferirci al
coperto presso la sede del “Coordinamento Nazionale Indipendente per la
giustizia di transizione” per le condizioni climatiche. Ci sono altri
genitori anziani che vorrebbero unirsi a noi, ma i medici glielo hanno
sconsigliato.
Noi riteniamo che in questi tre anni
il Ministero degli Interni e quello della Difesa abbiano agito in modo
da impedire che si facesse giustizia perché entrambi coinvolti nella
repressione della rivoluzione: la polizia infatti è intervenuta fino al
14 gennaio 2011, ma dopo quella data è stato l’esercito a sparare contro
i manifestanti.
Noi vogliamo che la classe politica
prenda posizione e che si pronunci sul verdetto del 12 aprile, nessuno
può mantenere il silenzio, sarebbe una forma di complicità”
Dopo l’intervento del presidente di “Lan Nansekom”, ha parlato Abdssalem Ramaqi, padre del martire Nawfel Ramaqi,
ucciso a El Hamma il 13 gennaio 2011 che ha denunciato l’emarginazione
di cui sono oramai oggetto le famiglie delle vittime, considerati alla
stregua dei criminali, mentre ora gli assassini possono ridere.
Lofti Jlassi, ferito
a Tunisi nel gennaio 2011 ha dichiarato: “Possiamo accettare qualunque
ingiustizia, forse, ma non il verdetto del 12 aprile!”
Ma l’intervento che ha scosso di più la platea è stato quello di Najet Jomni (video), la madre del primo martire di Thala, Marwen Jomni che si unirà in questo giorno allo sciopero della fame:
“I nostri ragazzi erano usciti di casa
con il sorriso perché capivano che ce l’avrebbero fatta e sono stati
falciati dalle pallottole.Mio figlio è stato ucciso tre volte: l’8
gennaio 2011 dai proiettili, poi quando è stato esumato per l’autopsia e
infine è stato ucciso dal verdetto del 12 aprile. La fame non ci
ucciderà, contrariamente ai proiettili che hanno colpito i nostri
figli. Noi siamo pronti a morire perché venga fatta giustizia nel loro
nome. Noi rifiutiamo qualsiasi indennizzo pecuniario, vogliamo la
verità, vogliamo sapere chi ha ucciso i nostri figli:”
Difficile per tutti, giornalisti e avvocati compresi, trattenere le lacrime .
Questa sera anche il canale televisivo
nazionale “El Watania” ha ripreso le immagini della conferenza stampa e
dato conto delle richieste dei partecipanti allo sciopero della fame:
1) Apertura di una inchiesta che determini le ragioni della sentenza
2) Misure per lottare contro l’impunità
3) Il passaggio ai tribunali civili dei dossier ora in mano ai tribunali militari.
Ma il nodo principale per buona parte
degli attivisti e degli intellettuali vicini alle famiglie rimane la
messa in vigore della legge 52, la legge della giustizia di transizione
che non sembra all’ordine del giorno nell’agenda dei partiti, tutti
presi dalle prossime scadenze elettorali.
Un appello affinché si renda operativa al più presto questa legge è stato messo online da un gruppo di cittadini e cittadine.
Hamadi Zribi ha tradotto le registrazioni degli interventi alla conferenza stampa
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