Sale la tensione in Ecuador: arresti, feriti, attentati, repressione e criminalizzazione contro il paro nacional

22 / 6 / 2022

Senza appoggio popolare e isolato in parlamento, il governo del banchiere dell’Opus Dei Guillermo Lasso, sta usando l’unica arma a sua disposizione per mantenere il potere in questa crisi politica e sociale, vale a dire la violenza contro i settori più vulnerabili della popolazione. Una violenza prodotta dallo Stato ma la cui responsabilità è fatta cadere sui manifestanti in un circolo vizioso che invece di risolvere la crisi la alimenta ogni giorno di più.

L’annuncio di Iza di far convergere la protesta nella capitale Quito per mettere pressione al governo, ha suscitato la dura reazione di Lasso, con una accelerata alla repressione e alla criminalizzazione dei manifestanti. Subito dopo aver proclamato lo “stato d’eccezione”, il governo ha lanciato una “marcia per la pace”, con il chiaro intento di delegittimare la protesta dipingendola come violenta. L’operazione del governo è fallita miseramente con una presenza insignificante di partecipanti. Ma la violenza, invece, ha iniziato ad arrivare proprio contro i partecipanti al paro, a partire dal presidente della CONAIE Leonidas Iza che sabato scorso ha subito un gravissimo attentato: ignoti hanno sparato alla sua auto mentre era parcheggiata, fortunatamente il leader indigeno è uscito illeso.

Il giorno seguente, la polizia ha incredibilmente occupato la Casa de la Cultura, importante luogo di arte e di cultura della capitale che si apprestava a dare accoglienza alle carovane di manifestanti provenienti dalle altre province. Con l’ipocrita scusa di proteggere il patrimonio all’interno, oltre 400 agenti si sono insediati negli spazi della Casa de la Cultura, di fatto provocando l’evacuazione del personale: «oggi il terrore ha sconfitto la cultura. L’ultima volta che la polizia è entrata in questa istituzione è stato in dittatura. Oggi siamo in dittatura», ha dichiarato Fernando Ceron, presidente della Casa.

Allo stesso modo e nei giorni seguenti, anche altri spazi universitari, colpevoli di concedere accoglienza ai manifestanti sono stati attaccati con lacrimogeni o occupati dalle forze armate. L’intrusione dei militari nei luoghi deputati alla cultura, al sapere e allo studio, ha suscitato forti proteste per il ruolo simbolico che assume tale decisione e gli stessi istituti universitari hanno protestato con il governo emanando un comunicato congiunto: «solidarizziamo con l’Università di Cuenca, con la Escuela Politécnica Nacional e con la Universidad Politécnica Salesiana per gli oltraggi subiti recentemente e per le violazioni alla loro autonomia, e anche con tutti gli studenti che esercitano il loro legittimo diritto alla protesta pacifica e con le istituzioni che prestano aiuti umanitari in questo momento».

Nelle strade la repressione si è fatta ogni giorno più pesante, legittimata dallo “stato d’eccezione” e dal conseguente divieto di manifestare. Con un centro storico militarizzato come non mai, oltre alle università, altri punti di repressione molto dura sono state le periferie della capitale, in particolare le vie d’accesso a nord e sud, come a Guayllabamba e a Collas dove c’è stata la prima vittima nel contesto del paro, un diciottenne che partecipava alla marcia caduto in un dirupo. Il clima di tensione creato ad arte dal governo, ha fatto crescere la protesta anche in altre città. Imponenti manifestazioni si sono viste in questi giorni a Guaranda, Riobamba, Otavalo e anche a Guayaquil, tutte “accolte” dalle forze dell’ordine allo stesso modo, con lacrimogeni e repressione per disperderle e con un crescendo di violazioni dei diritti umani.

La tensione delle strade si respira sempre di più anche in Parlamento dove il presidente è attaccato sia da UNES (il partito dell’ex presidente Correa), sia da Pachakutik (il braccio politico del movimento indigeno), per il decreto 455 con cui ha emanato lo “stato d’eccezione”. Con una prova di forza e di arroganza tipica dei governi di destra, Lasso ha militarizzato l’Asamblea Nacional proprio mentre era in discussione la deroga del decreto. Decreto che è stato cancellato poche ore dopo e sostituito con un altro, il decreto numero 459, con cui tra l’altro ha ampliato lo “stato d’eccezione” ad altre province (oltre a Cotopaxi, Pichincha e Imabura anche Chimborazo, Tungurahua e Pastaza), di fatto rendendo inutile la messa in discussione del decreto precedente.

Ma è nella giornata di martedì che il governo ha dato un altro gravissimo colpo alla crisi, buttando ulteriore benzina sul fuoco: il ministro della Difesa Luis Lara ha dato un breve messaggio alla nazione attorniato dai comandanti dell’esercito in cui ha dichiarato che la democrazia ecuadoriana è in pericolo e lanciando un’accusa gravissima: secondo il governo dietro alle manifestazioni ci sarebbero la criminalità organizzata e i narcotrafficanti con cui gli organizzatori del paro sarebbero conniventi. Accuse gravissime lanciate senza uno straccio di prova che nuovamente creeranno tensione e la rabbia di chi partecipa a questa protesta per necessità e che lanciano un messaggio chiaro per i prossimi giorni: la repressione si farà ancora più dura.

Dichiarazioni che hanno esasperato ulteriormente il clima già teso: a Quito è continuata per tutta la notte la repressione nei pressi delle università, con un gravissimo saldo di manifestanti feriti e arrestati che cresce di giorno in giorno: secondo il dirigente della CONAIE oltre ci sono quasi un centinaio di feriti, alcune di gravità, almeno 79 arresti nel contesto del paro nacional e due vittime. La seconda vittima è il giovane comunero kichwa Guido Guatatoca, assassinato la notte di martedì dalla forza pubblica che lo ha colpito in pieno volto con un candelotto lacrimogeno a Puyo, nella provincia di Pastaza.

In questa situazione pare difficile una rapida uscita dalla crisi. Come detto in apertura il governo di Lasso è debole sia dentro all’Asamblea Nacional (dove ha 12 dei 137 seggi), sia a livello sociale dove, a un basso appoggio elettorale, si deve aggiungere un grado di disapprovazione del suo operato che supera l’80%. La mancata volontà a risolvere i problemi, a soddisfare alle legittime richieste di chi è più esposto alla crisi e a rispondere con l’unica arma della violenza statale non può che portare a una esasperazione del conflitto, con risultati potenzialmente drammatici per chi nelle strade ci mette il proprio corpo.

Uno spiraglio in questo senso è avvenuto sempre nella serata di martedì quando Lasso ha dichiarato di aver accettato di sedersi a un tavolo con le organizzazioni sociali che hanno promosso il paro e con la mediazione dell’ONU e dell’Unione Europea. Per tutta risposta Leonidas Iza ha chiesto al presidente delle garanzie per poter cominciare il dialogo, tra cui l’immediata deroga dello “stato d’eccezione” che tante violazioni dei diritti umani sta provocando, e la demilitarizzazione del Parque El Arbolito e della Casa de la Cultura.

È presto per dire se si sia aperta la strada per la risoluzione della crisi, di certo se Lasso continuerà con la politica repressiva, ci sarà ben poco spazio per tavoli di trattativa con le organizzazioni sociali e indigene che in questi giorni hanno paralizzato il paese e resistito alla violenza delle forze armate.