Russia - L'attivista Nadezhda Tolokonnikova in sciopero della fame

25 / 9 / 2013

Nadezhda Tolokonnikova, una delle Pussy Riot, arrestate nel marzo 2012 per la performace musicale anti-Putin nella basilica ortodossa di Mosca, ha iniziato uno sciopero della fame a oltranza.

L'annuncio è stato dato dal marito, l'artista Piotr Verzilov.

Le motivazioni della protesta sono le pesanti condizioni di detenzione e le continue minacce a cui è sottoposta nel campo di lavoro femminile numero 14 in Mordovia, 600 chilometri a Est della capitale.

Le agenzie riportano le dichiarazioni del marito che ha affermato: “Prima che la situazione degenerasse nelle ultime settimane, Nadia aveva cercato di cambiare le cose dall’interno, dentro alla prigione. Ma poi ha capito che era impossibile e al culmine dei suoi sforzi ha ricevuto una minaccia di morte da parte dell’amministrazione del carcere”.

Alla testimonianza del marito si aggiunge una lettera di Nadia apparsa in rete. "E’ l’unica forma di protesta  che mi rimane per non essere annientata”, scrive la giovane artista e continua descrivendo le inumane condizioni carcerarie: diciassette ore al giorno a cucire divise per la polizia, detenute chiuse fuori dalle baracche d’inverno, rancio a base di pane secco e latte annacquato, pestaggi continui, minacce di morte.

Nella lettera denuncia anche l'incredibile trattamento economico: ”A giugno ho guadagnato 29 rubli (meno di un euro). Lavoriamo dalle sette e mezza del mattino a mezzanotte e mezza. Non abbiamo più di quattro ore per dormire. Ci danno un giorno libero ogni sei settimane. Le mani sono piene di piaghe e buchi fatti dagli aghi; il tavolo è coperto di sangue, ma tu continui a cucire”.

Negli articoli che si occupano del caso viene anche raccontato che la lettera, apparsa in rete, è stata formalmente spedita anche ad un "Comitato d’indagine locale", che avrebbe promesso di far luce sulla vicenda. Dubitiamo che ciò accada ....

Tolokonnikova, che dovrebbe restare in carcere fino alla primavera prossima, racconta anche come per la minima mancanza scatta il divieto di poter utilizzare il cibo inviato dai parenti.

Le condizioni igieniche nel campo di lavoro sono inesistenti. Le detenute possono lavarsi i capelli solo una volta a settimana, ma a volte il turno salta perché la pompa dell’acqua non funziona. Per la pulizia intima le 800 recluse hanno a disposizione un solo bagno per cinque persone alla volta.

Non bastasse tutto questo, alle detenute queste poche cose possono essere tolte se protestano: “Ci può essere il divieto di andare al gabinetto o quello di lavarsi, o quello di entrare nella baracca, anche d’inverno quando fa molto freddo”.

La storia di Nadia, la sua notorietà hanno aperto uno squarcio sulla inumana condizione detentiva femminile di questi moderni gulag dove, come racconta ancora la giovane attivista può succedere che a una detenuta sia amputata una gamba e le dita di una mano dopo essere rimasta nell’anticamera della camerata, senza riscaldamento per un giorno interno oppure che una donna rom muoia per percosse e la causa ufficiale scritta sul certificato sia aneurisma.

La lettera di Nadia si conlude dicendo che entra in sciopero della fame perchè: ”Esigo che ci trattino come esseri umani, non come schiavi o bestie”.

Davanti a questa dura denuncia, che sta facendo il giro del mondo l'istituzione carceraria nega ogni cosa, cecando di screditare il marito e l'avvocato di Nadia.

Certo è che guardando alla Russia di Putin dove omofobia, razzismo, mancanza di libertà sono il quotidiano non abbiamo dubbi sulla scomoda verità raccontata nella coraggiosa denuncia di Nadia: i gulag non sono spariti.

Noi stiamo dalla parte di Nadia e le Pussy Riot, giovani donne che vogliono solo essere libere, che sono "colpevoli" di aver cantato contro Putin per 40 seondi.

Free Pussy Riot !