Risonanze con le lotte indigene

L'attivista Mapuche Moira Millan al Venice Climate Camp. Un’esperienza che arricchisce la lotta contro i cambiamenti climatici e tutte le lotte del pianeta

12 / 9 / 2019

L’intervento di Moira Millan al Venice Climate Camp ha tracciato un quadro potente e complessivo della straordinaria capacità di resistenza a cinquecento anni di colonialismo delle comunità indigene. Un’esperienza che arricchisce la lotta contro i cambiamenti climatici e tutte le lotte del pianeta.

Solo in Europa ho visto il cadavere di un fiume. C’erano acqua, pietre e piante, forse qualche animale. Ma lui era morto, il suo spirito era morto”. Moira Ivana Millán, weychafe (guerriera portavoce, che ospita in sé il newen, la forza che custodisce la vita dei territori e delle comunità) del popolo Mapuche e coordinatrice del Movimiento de Mujeres Indigenas por el Buen Vivir ha girato il nord Italia, in questi giorni, con un’agenda serratissima di incontri per raccontare la resistenza del suo popolo e creare reale interculturalità e mutuo appoggio. Ascoltare le sue parole, le radici cosmologiche che sono il sostegno della lotta dei popoli nativi, che veicolano il nutrimento della loro resistenza, la realtà spirituale vissuta quotidianamente in ogni azione, è come riscoprire il sapore autentico di un frutto familiare, coperto da decadi di gusto sciapo e artificiale dei prodotti industriali.

La resistenza Mapuche è antica e sul web si possono trovare molte fonti. Ma c’è qualcos’altro con cui è giusto fare i conti: quando e dove, in Europa o qui in Italia, siamo stati indigeni? Quando e dove lo siamo ora? Troppo spesso da noi l’indigenismo, se così si può dire, ha un volto folkloristico o paternalistico, cooptato dentro alle nostre narrazioni, che permangono coloniali, bianche, accademiche, ideologiche. Attingiamo da culture “estranee” concetti, estetiche e rituali che riempiano il vuoto che la nostra cultura ha perpetuato: un vuoto del sentire, del sentirsi; l’incapacità di individuare e vivere l’intima connessione con quel super-organismo che è questo pianeta con tutti i suoi abitanti, materiali e immateriali. Vuoto che si trasferisce anche nelle pratiche (familiari, sociali, politiche, ecologiche) e nella corporeità dei territori, che non solo abitiamo ma da cui siamo abitati. “Come portare fino a voi la voce del fiume, della montagna, del bosco?” si rammarica Moira, mentre ci assicura che non siamo solo noi umani a combattere per la permanenza della vita sul pianeta.

Abbiamo bisogno di incontrare saggezze altre (dalla filosofia buddista alle danze africane, dai canti guarnì ai riti celtici, passando per le parole zapatiste…), nel tentativo di risvegliare in noi qualcosa di antico che sentiamo prezioso e salvifico, qualcosa di sepolto da millenni di annichilimento. Del resto, se i popoli indigeni subiscono cinquecento anni di colonialismo patriarcale, quelli popoli europei lo subiscono da almeno duemila. E allora dove ritrovare le nostre radici profonde? Quand’è avvenuta la rottura di quel patto vitale? Le geografie si sono perse, le genealogie non sono ricostruibili, due millenni sono troppi da risalire. I libri raccontano la storia dei vincitori, di coloro che ci hanno vinti come popoli ancestrali. L’antropologia, la paleontologia? A malapena possiamo ricostruire alcuni fatti, ma non la memoria, non le pratiche, non il sentire.

Dove cercare e ritrovare, come ricreare senza una memoria viva? Eppure, il sopravvivere delle culture native in tutto il mondo ci dice che anche qui, in questo decrepito continente, esistevamo come “indigeni”. “La crisi vera è una crisi di civiltà e questo mi fa molta allegria, perché spero che questa matrice civilizzatrice sparisca” conclude Moira. È necessario, dunque, intraprendere il cammino di decostruzione, come persone incagliate nei privilegi del colonialismo. È necessario restare in contatto con questi popoli che ci aiutano a dissodare i nostri territori interiori, a radicarci nella terra. E forse, cominciando a togliere incrostazioni, riusciremo a intravvedere qualcosa oltre quel vuoto.

Moira è stata protagonista il 5 settembre, Giorno Internazionale delle Donne Indigene, al Venice Climate Camp al Lido di Venezia che sabato 7 ha avuto il suo apice nel corteo fino al Palazzo del Cinema promosso per dare visibilità alla lotta contro l’emergenza climatica. A nome del suo popolo ci chiede sostegno concreto: in ottobre ci sarà una grande mobilitazione dei diversi popoli per protestare contro i femminicidi indigeni. Mentre dal 7 al 10 febbraio 2020 sarà organizzato un Campo Climatico nel sud della Patagonia, nella regione di Chubut, nella quale spiccano le responsabilità del ben noto Gruppo Benetton, al quale siamo invitati a partecipare.

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