Possiamo non essere d’accordo con Maduro, ma non possiamo appoggiare una destra violenta

Intervista a Marco Terruggi

6 / 8 / 2017

Da mesi stiamo assistendo in Venezuela ad una crisi politica e sociale senza precedenti nella recente storia del Paese. Una crisi divenuta più acuta e complessa dopo le elezioni per l’Assemblea Costituente, fortemente volute da Nicolás Maduro e tenutesi domenica 30 luglio. In un contesto ambivalente, in cui la campagna di boicottaggio continuo del regime venezuelano, messa in atto dai principali media occidentali, fa il paio con la difesa fideistica del chavismo, è quanto mai necessario dotarsi di uno sguardo laico, per comprendere al meglio una delle vicende destinate a modificare assetti geopolitici e apporti di potere di un intero continente. Qui di seguito la traduzione di un'intervista allo scrittore franco-americano Marco Terruggi, autore, tra le altre cose, de “Lo que Chávez sembró. Testimonios desde el socialismo comunal”.

Nel quadro dell’inasprimento delle mobilitazioni anti-governative in Venezuela e di fronte alle elezioni dell’Assemblea Nazionale Costituente convocata dal governo di Nicolás Maduro, raggiungiamo il giornalista e sociologo Marco Teruggi, residente a Caracas, affinché ci dia la sua versione riguardo ciò che sta succedendo.                        

Terruggi è una voce che non fa appello all’imparzialità, se non che si fa carico del suo impegno con uno dei due blocchi in conflitto in questo paese fratello, ed è proprio per questo motivo che abbiamo deciso diffondere qui il suo messaggio, nell’interesse di coloro che leggono questo articolo affinché possano avere un punto di vista differente rispetto a quelli raccontati dai mezzi di comunicazione dominanti, salvo qualche rara eccezione.     

In questo ampio documento ci si presenta una chiara e ben dettagliata radiografia di ciò che l’intervistato chiama “l’ingegneria del conflitto” che la destra venezuelana ha attuato contro il blocco governativo e il chavismo in generale. Una destra che ha organizzato, in maniera ricorrente, “episodi insurrezionali per strappare il governo di Nicolás Maduro con la forza” mediante una battaglia sul fronte economico e delle comunicazioni, quando non attraverso la violenza aperta, incluso il paramilitarismo, negando, però, in ogni momento il proprio coinvolgimento.         

Nella parte centrale Teruggi sottolinea che in questa disputa gioca un ruolo fondamentale la “struttura comunicativa internazionale”, la quale legittima i metodi dell’opposizione attribuendovi “un carattere epico, un carattere democratico, libertario. Insomma, presentano questa violenza come una violenza legittima e la benedicono”; questo succede soprattutto quando si consacrano gli incidenti accaduti e le cosiddette “guardie”.      

Richiama all’attenzione l’enfasi con cui il nostro intervistato pone l’accento su ciò che si qualifica come “la metodologia di bruciare le persone in strada”, segnalando che in cento giorni di conflitto “ci sono più di venti casi in cui le persone coinvolte sono poveri, o neri, o chavisti, che per loro [la destra] sono praticamente la stessa cosa. Per gli occhi dei classisti di destra è lo stesso che tu sia nero, povero o chavista”.            

Contro le istituzioni civili e armate sulle quali fa affidamento il governo di Maduro e contro la sua base sociale popolare, afferma Marco Teruggi, il blocco della destra “mostra due debolezze principali riguardanti la loro strategia per un colpo di stato: la prima è che non hanno l’appoggio delle Forze Armate Nazionali Bolivariane”, la seconda è che non hanno l’appoggio dei settori popolari, dei quartieri, per lo più chavisti. “Sanno che questo rappresenta un problema perché non si può rimuovere un governo senza le forze armate, né senza l’appoggio delle classi popolari”, ciò significa che l’opposizione, associata a settori della criminalità organizzata, sferra continui attacchi nei quartieri per “cercare di costruire una realtà che non c’è”.

Prima delle votazioni del 30 luglio per l’Assemblea Nazionale Costituente Teruggi presenta due scenari: “Il primo è in qualche modo un tradimento nei confronti della destra in modo che la discussione ritorni al terreno elettorale democratico e al dialogo, ovvero, si cerca di pianificare uno scenario che non è niente di meno che la discussione delle basi di una costituzione nazionale, e con questa apertura fare in modo che la destra si trovi in difficoltà, per così dire, tra mantenere un’agenda violenta, o unirsi a un processo aperto di iscrizione dei candidati e delle candidate per l’Assemblea Nazionale Costituente”, per poi affermare che la destra si rifiuta di partecipare e in cambio punta “alla formazione di uno Stato parallelo, cominciando con nominare i nuovi magistrati del Tribunale Supremo di Giustizia e annunciare che ci sarà l’elezione di un nuovo presidente per le elezioni primarie”.   

Che cosa succederà poi? Marco ci dice: “Qual è l’ipotesi possibile? Che una volta fatte le elezioni di domenica, che verranno precedute da ondate di violenza molto forti, l’opposizione venezuelana e la comunità internazionale non riconosceranno né il governo del presidente Nicolás Maduro né l’Assemblea Nazionale Costituente, mentre invece riconoscerà questo governo parallelo, conferendo loro finanziamenti, diplomazia, armi ecc… Questo implica un conflitto di carattere prolungato e loro si stanno preparando per questo”.                          

In questo modo “l’unica maniera che la destra ha per riuscire a spezzare il rapporto di forza è attraverso un’azione che proviene soprattutto dalla comunità internazionale, come per dire, dagli Stati Uniti”, poiché “oggi a livello nazionale non hanno la forza per il loro piano”.          

Quanto precede implica che “in Venezuela la destra ha optato per uscire dalla legalità e questo è ciò che vedremo d’ora in avanti”. Questo ci fa capire come sia stata significativa la dichiarazione del presidente americano, pare infatti che “Donald Trump abbia minacciato il Venezuela con sanzioni economiche nel caso in cui si darà l’Assemblea Nazionale Costituente. È significativo perché si può interpretare anche come un segnale che il piano non si sta sviluppando come vogliono; e io credo che questo sia un messaggio che è emerso il giorno 16 quando si è visto che molti di quelli che sono andati a votare appartenevano alle fila del chavismo. Significa che, dopo tanti anni di attacchi contro il chavismo, questo continua ad esistere e ha preso parte alle manifestazioni di domenica”.                           

Tuttavia, Teruggi ci ricorda di tener presente che lo scenario di un intervento esterno non si deve escludere, in quanto il Venezuela confina con la Colombia che ha sette basi militari statunitensi e conta di un’enorme presenza di paramilitari che potrebbero giocare un ruolo importante nello scenario di confronto con il governo bolivariano.                 

Sulla base di tutti questi elementi, Marco Teruggi conclude: “Uno può essere d’accordo oppure no con il progetto del chavismo, gli può sembrare che il progetto sia buono, sia cattivo, sia folle, che sia giusto, corretto oppure no. Però è un progetto politico che sta lì grazie ai voti e come tale deve governare. Di fronte c’è una destra che da quando questo blocco chavista è al governo, ha tentato un colpo di stato nel 2002, ha cercato di provocare insurrezioni e negli ultimi quattro anni si è dedicata a togliere rifornimenti alle persone, a nascondere i medicinali, con l’appoggio diretto e il finanziamento degli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump non ha alcun interesse affinché questo conflitto si risolva ai voti. Quindi, uno può o non può appoggiare il governo di Nicolás Maduro, ma ciò che non può appoggiare è quello che c’è dall’altra parte. Quindi in ogni caso, bene, io non sono d’accordo con ciò che Maduro sta progettando, ma non posso essere d’accordo con una destra che afferma che l’unico modo per cambiare il governo in Venezuela sia attraverso un’insurrezione armata che ci porta a questa quantità di morti, che brucia la gente nelle strade, che attacca ospedali, che attacca istituzioni, che attacca le caserme, che viene difesa dagli Stati Uniti, che mette in campo paramilitari. Uno non può essere d’accordo con questo.. non lasciamoci ingannare e in ogni caso, se uno non appoggia il governo di Nicolás Maduro, sotto nessun punto di vista può essere d’accordo o supportare un colpo di stato che l’unica cosa che porta è più violenza, povertà e uno scenario catastrofico per il Venezuela. Non ci si aspetta nulla di buono dal governo che succederà al chavismo in Venezuela, lo dico assumendomi tutte le responsabilità. Quello che sta avvenendo è una rivincita, un tentativo di castigare la gente per aver osato sognare un altro tipo di progetto politico, di aver partecipato al piano di uno stato sovrano, indipendente, socialista. Quello che si sta dando è un processo di rivincita delle classi dominanti venezuelane: l’oligarchia, la borghesia, il settore finanziario, i partiti politici, a discapito del popolo perché commise il peccato storico di aver detto no ad un modello di sviluppo e alla ripartizione diseguale delle ricchezze, dove avrebbe sempre occupato la posizione dei poveri. Questo è ciò che si avrebbe nel caso vincesse la destra. Da parte nostra, sotto nessun punto di vista, possiamo accettarlo.”

A seguire l’intervista completa.

Cosa significa per il Venezuela e cosa significa per l’America Latina il processo dell’Assemblea Nazionale Costituente convocata dal governo di Nicolás Maduro e in particolare la giornata del 30 luglio?        

Bene, credo che per comprendere il momento attuale che sta attraversando una fase di acutizzazione degli scontri, è necessario prendere in considerazione vari elementi per capire come si è arrivati a questa situazione e perché domenica - 30 luglio ndr - si va a votare per l’Assemblea Nazionale Costituente. Credo che il primo elemento da comprendere è che da quando quattro anni fa Nicolás Maduro ha assunto il potere, ha subito un processo continuo di destabilizzazione che si è dato su tutti i piani, a volte con maggior priorità per uno mentre a volte in maniera simultanea. Quindi da quattro anni ci troviamo davanti ad un attacco sul fronte economico, comunicativo, un attacco in termini di violenza (per dirlo in termini semplici), un attacco sul piano diplomatico, sul piano civico, della popolazione. Tutto questo si sta combinando in maniera permanente, e ciò che è insopportabile è l’attacco economico, poiché è il fattore che più logora la popolazione.                      

La destra ha regolarmente organizzato episodi insurrezionali per distruggere il governo di Nicolás Maduro con la forza. Il primo episodio fu lo stesso giorno in cui ottenne la presidenza nell’aprile del 2013, giorno in cui Capriles Radonski disse alla gente di scendere nelle strade e che si concluse con undici morti. Il secondo episodio fu nel 2014, da febbraio ad aprile; questa volta con Leopoldo Lopez e il saldo finale fu di 43 morti. E questo che stiamo vivendo ora sarebbe il terzo tentativo di rovesciare il governo con la forza.                    

Qual è il calcolo che fanno? 

Bene, la situazione economica, oltre al logoramento provocato dalle difficoltà nel ricevere medicine, i prezzi che aumentano, la pressione internazionale, gli attacchi comunicativi contro il governo, tutto ciò fa sì che la gente sia sufficientemente disperata per scendere nelle strade e cercare di togliere con la forza in governo a Nicolás Maduro. Questo cominciò agli inizi di aprile, ma il conflitto è in costante evoluzione nel senso che ad aprile c’era uno schema conosciuto basato sulla logica del conflitto venezuelano: c’erano blocchi nelle strade, attacchi con molotov, c’erano persone uccise durante le manifestazioni, ma si trattava delle dinamiche di conflitto utilizzate da sempre dalla destra nello scenario nazionale. Non era nulla di nuovo. Diciamo che a partire dal 20 aprile per arrivare ad oggi, abbiamo avuto un’evoluzione di questo quadro, segnato da tappe molto forti. La prima è che hanno iniziato ad aver luogo attacchi di tipo militare, soprattutto attacchi alle caserme, ai commissari, attacchi armati contro i corpi di Sicurezza dello Stato, nello specifico una bomba esplosa a distanza. Pochi giorni fa si è vista una persona armata di un fucile R15 in centro a Caracas che assaltava una stazione di polizia. Queste sono le novità dell’inasprimento di questa escalation, oltre ai tentativi di mantenere varie parti del paese sotto assedio di una violenza molto forte per due o tre giorni. In dieci o quindici città venezuelane ci sono stati questi attacchi e sono durati per due o tre giorni, portati avanti da gruppi di paramilitari o da altri gruppi addestrati per questo. Queste sono cose che il mondo esterno non conosce molto, ma quando una persona visita il paese si rende conto che questa struttura armata di cui la destra si è dotata sta operando con estrema forza e rappresenta, per dirlo con termini classici, il suo braccio armato, ovvero ciò che lavora nell’ombra e che rimane nascosto ai mezzi di comunicazione. 

Proprio questo è ciò che vorrei puntualizzassi per le persone che non conoscono lo scenario venezuelano: chi è la destra? Come si struttura?                    

Ci sono differenti livelli all’interno della destra. Abbiamo la grande borghesia, l’oligarchia, soprattutto la Federazione Nazionale degli Allevatori, la Chiesa, i partiti di destra che a loro volta hanno delle differenze al loro interno. La destra di Unidad Democrática guidata da Henry Ramos Allup non è la stessa del nuovo partito di Unidad Popular o di Primero Justicia, rispettivamente guidati da Leopoldo Lopez e Henrique Capriles Radonski.      

Dopo di che abbiamo la base sociale storica della destra, la quale è una base composta principalmente dalla classe media, medio-alta, che è quella che si è opposta continuamente al chavismo per tutto il tempo in cui è stato al governo dal 1999. Sono coloro che hanno collaborato al colpo di stato del 2002 e che odiano tutto ciò che assomiglia al chavismo. A loro volta sono riusciti a sviluppare delle formazioni per affrontare gli avversari nelle strade.                                      

Ci sono quindi livelli che si vedono mentre altri no. Cos’è che si vede nelle strade e nei mezzi di comunicazione? 

I dirigenti di destra, la loro base sociale storica che si mobilita e a poco a poco comincia a mostrarsi anche coloro che vengono chiamati “gli scudieri”, che sono la prima linea durante gli scontri – che alle telecamere si mostra molto forte – gente ben preparata con scudi, già definiti come eroi. Questi rappresentano il primo livello e fino a loro arrivano le telecamere, le quali li mostrano sempre come vittime delle aggressioni dello Stato. Questi dispongono di una vasta serie di modi per confrontarsi negli scontri: bombe molotov, diversi tipi di mortai, i blocchi stradali, olio per far scivolare le moto ecc. .                                

Allo stesso tempo ci sono altri livelli che sono questi fili che nessuno nomina, livelli che hanno la capacità, ad esempio, di assaltare le caserme, i commissariati, di sottomettere le popolazioni con armi pesanti e altre più leggere, di porre un assedio totale, che sono coloro che operano quando la destra indice “degli scioperi fittizi”, non approvati o istituiti con il solito iter ma che si configurano nell’obbligare i commercianti a chiudere i negozi. Guidano moto incappucciati, con armi da fuoco, danno fuoco agli autobus che circolano per obbligarli a fermarsi. Ha a che vedere con un processo che da molti anni si vede in Venezuela, frutto di circa dieci anni di radicamento del paramilitarismo in diversi settori nazionali. Negli stati di Tachiram e di Barinas si è formata una struttura paramilitare con una propria logistica e intelligence, legata ai partiti di destra che stanno iniziando ad emergere nello scenario di conflitto.                          

Questo è ciò che nessuno mostra, quello che nessuno desidera nominare e ciò che in realtà è più preoccupante perché è ciò che sta emergendo e ciò che sta accompagnando nell’ombra tutto il processo di mobilitazione della destra.        

È evidente come la destra non si assuma la responsabilità, ma uno vede come tutto questo si attua nei territori e si vede come ci sia un braccio armato che sta operando.      

Ciò che preoccupa è la presenza di una struttura comunicativa, soprattutto internazionale, che legittima tutto questo. Diciamo che le conferisce un carattere epico, un carattere democratico, libertario. Insomma, presentano questa violenza come una violenza legittima e la benedicono, consacrando gli incidenti accaduti e le cosiddette “guardie”.       

Ora, nessuno si rende responsabile dei fatti che provoca. Per esempio, una cosa che è successa fin dall’inizio è che hanno adottato la metodologia di incendiare le persone nelle strade. Ci sono più di venti casi in cui le persone coinvolte sono poveri, o neri, o chavisti, che per loro [la destra] sono praticamente la stessa cosa. Per gli occhi dei classisti di destra è lo stesso che tu sia nero, povero o chavista. Tutto questo, per la destra, è un errore storico che deve essere eliminato e così ha iniziato ad applicare questa metodologia.                

Quindi questa è la struttura reale della protesta della destra che fuori viene presentata come democratica e che non si assume nessuno dei suoi atti e nessuno le riconosce ciò che sta facendo. Se qualcuno chiede loro se hanno organizzato il colpo di stato del 2002, qualcosa che è stato filmato, studiato, dimostrato, nessuno dei dirigenti che lo commisero affermerà di averne preso parte e si presenteranno come democratici e pacifisti.

E come potresti darci un’idea delle correlazioni che intercorre tra le forze in campo, nella base sociale a cui fanno riferimento il chavismo e la destra? Perché qualcuno potrebbe chiedersi perché non c’è una risposta collettiva a questa violenza della destra. Come ce lo spiegheresti? 

Il blocco della destra, come l’ho descritto in precedenza, mostra due debolezze principali riguardanti la loro strategia per un colpo di stato: la prima è che non hanno l’appoggio delle Forze Armate Nazionali Bolivariane, ovvero non hanno un esercito per compiere il colpo di stato, la seconda è che non hanno l’appoggio dei settori popolari che vivono nei quartieri.                  Per la situazione economica molto complessa che sta attraversando il Venezuela, ci sono persone appartenenti ai quartieri popolari che si sono alleate al chavismo, gente delusa, concentrata unicamente nella risoluzione dei loro problemi giornalieri come trovare cibo, medicine, prodotti per l’igiene; persone che è più preoccupata e coinvolta nei tentativi di risolvere la vita quotidiana invece che pensare alla battaglia politica. Come sempre ci sono poi persone appartenenti all’opposizione.      

Quindi bene, i quartieri, i settori popolari. Con questo quadro uno potrebbe dire “i quartieri sono chavisti”, come se fossero qualcosa di monolitico, se non che all’interno ci sono differenti punti di vista. I quartieri non si sono uniti alle proteste della destra. L’epicentro della protesta continua ad essere la zona della classe media, medio-alta, delle principali città. Lì è dove si sviluppano gli scontri, gli scenari di violenza, gli incendi ecc.. 

Secondo uno schema grafico: Caracas è divisa nel suo centro in Ovest e Est, ad Ovest c’è la zona della classe popolare mentre a Est la zona della classe media e medio-alta. Ad Est ci sono anche quartieri importanti, ma tutta la zona di conflitto si trova nel centro della parte Est di Caracas. Io vivo nell’Ovest della città, tutti i giorni esco, faccio le mie compere, cammino, prendo l’autobus, la metropolitana e non vedo nessun episodio di violenza. Tutto succede in quella parte della città dove c’è la base sociale della destra.             

La destra sa che c’è un problema perché non posso prendere il potere senza le forze armate e l’appoggio delle classi popolari. Cos’è che hanno tentato di fare e cosa hanno organizzato? 

Incursioni notturne nei quartieri popolari. Lì hanno stretto alleanze con alcuni settori della criminalità organizzata, coloro che si palesano generalmente attorno alle otto, nove, dieci di sera per scontrarsi con la polizia o con i commercianti all’interno dei quartieri. Un modo per dimostrare che in queste zone ci sono forme di ribellione popolare. Quello che c’è, in realtà, è un piano orchestrato che si muove in città come se fosse una mappa e che afferma “questa notte andiamo in questo e quel luogo” e in simultanea avvengono questi scontri organizzati. Nelle reti social si diffondono le notizie, soprattutto su Twitter, che cercano di mostrare che lì ci sono le prove di una violenza genuina e spontanea della gente.        Si tratta di un’architettura del conflitto, una strategia per cercare di costruire una realtà che non c’è.             

Nei fatti questo è un paese che funziona con molti tempi alla volta. C’è il tempo dove nelle loro zone pianificano il conflitto, dopo di che il resto del paese vive nella normalità. Oggi (25 luglio 2017), per esempio, un giorno prima del nuovo “sciopero civico” – che non sarà civico se non un esercizio di violenza e appoggio delle imprese – la città è immersa nella tranquillità, uno la attraversa e non succede nulla. Succede qualcosa solo quando escono dai loro settori radicalizzati per scendere in strada.               

È bene notare che hanno una quantità di appoggio considerevole, ma non è aumentato in più di cento giorni di violenza. Questo è un tema che pone anche loro in uno scenario più complesso, perché significa che hanno sì ottenuto la legittimazione della loro violenza in certi settori, soprattutto anche sul piano internazionale, ma all’interno della società venezuelana, a causa della gravità di queste espressioni violente da loro commesse, ha provocato un certo logorio. Diciamo che non può passare inosservato il fatto di dare fuoco a venti persone in un paese come il Venezuela. È difficile affermare che sia stato il Governo, anche se loro continuano a negare di essere i colpevoli. Per esempio, si è visto come una settimana fa un agente del servizio di intelligence legato a questo universo [di destra] realizzò un attacco con un elicottero sopra il Tribunale Supremo di Giustizia. La destra afferma che è stato un auto-attentato del governo. È ciò che dicono di tutto ciò che sta succedendo, non si rendono responsabili di nulla e incolpano il governo di tutte le azioni che loro commettono. Ma c’è un limite a questo. Dopo cento giorni di conflitto la gente pone dei dubbi di fronte all’ipotesi, ormai insostenibile, di un’opposizione pacifica e democratica.        

C’è quindi una tensione: bisogna legittimare la violenza, bisogna mostrarla come giusta, questo è quello che vogliono fare con la loro base sociale che è convinta che sia necessario uccidere i chavisti, affermando che se vedono un chavista in strada sono pronti a linciarlo e che credono che il chavismo sia un enorme errore storico da eliminare completamente in tutto il Venezuela. Ma per il resto del paese è difficile pensare che dietro alla chiamata della destra a rovesciare il regime, come lo definiscono loro, di Nicolás Maduro ci sia un vero progetto democratico, una soluzione possibile per il Venezuela. Si trovano quindi in trappola in quanto vorrebbero togliere il potere a Maduro con la forza, ma non ne dispongono a sufficienza.  

E ovviamente questi cento giorni di violenza hanno come obiettivo, diciamo, il processo dell’Assemblea Nazionale Costituente. Ci puoi spiegare come rientra tutto questo nella proposta della Costituente?

La proposta dell’Assemblea Nazionale Costituente compare il primo di maggio, a meno di un mese dall’inizio del conflitto, anche se aveva già raggiunto proporzioni dirompenti. Credo che quando si convoca l’Assemblea Nazionale Costituente si aprono due scenari. Il primo è in qualche modo un tradimento nei confronti della destra in modo che la discussione ritorni al terreno elettorale democratico e al dialogo, ovvero, si cerca di pianificare uno scenario che non è niente di meno che la discussione delle basi di una costituzione nazionale, e con questa apertura fare in modo che la destra si trovi in difficoltà, per così dire, tra mantenere un’agenda violenta, o unirsi a un processo aperto di iscrizione dei candidati e delle candidate per l’Assemblea Nazionale Costituente. Questo è un piano che ha a che vedere con il creare uno spazio possibile in un piano di disputa comune prima del propagarsi della violenza e, dall’altra parte, ha a che vedere con l’aprire nuovamente le porte all’interno del processo rivoluzionario, perché si sa che il processo giunge con delle difficoltà annesse alla crisi economica, in quanto ci sono attacchi dei grandi impresari ma che presenta anche delle debolezze da parte del chavismo stesso. Ci sono persone deluse dalle logiche della direzione politica, ad ogni modo, ci sono una serie di problemi che la Costituente pianifica di aprire come delle porte in modo che ognuno possa entrare, segnarsi come candidato e contribuire a riavviare il dibattito interno in Venezuela e portare nuove forze al progetto politico.                    

Qual è il problema che è successo e che poteva rivelarsi una possibilità? 

È che la destra si rifiutò di fatto di partecipare all’Assemblea Nazionale Costituente e non solamente questo – in quanto aveva la possibilità di non segnare i suoi candidati – in quanto cercò di fare in modo che questa assemblea non avesse luogo. Si apre così un confronto più ampio portato avanti dalla destra sostenuta dagli Stati Uniti, l’Unione Europea, i presidenti di destra dell’America Latina, gli ex presidenti. Tutto questo blocco politico si oppone all’Assemblea Nazionale Costituente.    

Quindi, tutto si concentra nella disputa attorno alla data del 30 luglio, dove la destra afferma “non ci saranno convocazioni”, e il governo dice “facciamo una convocazione democratica, aperta a tutto il paese”. Ci sono più di mille candidati e candidate iscritti per il 30 luglio.                

È attorno a questa data che si sta sviluppando un’aspettativa di confronto circa l’Assemblea Nazionale Costituente, che a sua volta viene alimentata da nuovi elementi: il principale è questo piano della destra di creare uno Stato parallelo che ha già iniziato a nominare nuovi magistrati per il Tribunale Supremo di Giustizia e che ha annunciato che verrà eletto un nuovo presidente per le elezioni primarie. Uno scenario che si è già visto in alcuni paesi del Medio Oriente. Ha senso questo governo parallelo? Per il Venezuela nessuno perché non pone un governo reale se non una designazione a livello mediatico. Avrebbe senso a livello internazionale.  

Qual è l’ipotesi possibile? 

Che una volta fatte le elezioni di domenica, che verranno precedute da ondate di violenza molto forti, l’opposizione venezuelana e la comunità internazionale non riconosceranno né il governo del presidente Nicolás Maduro né l’Assemblea Nazionale Costituente, mentre invece riconoscerà questo governo parallelo, conferendo loro finanziamenti, diplomazia, armi ecc…Questo implica un conflitto di carattere prolungato e loro si stanno preparando per questo.            

Ora, anche se venerdì sono stati eletti i magistrati del Tribunale Supremo di Giustizia non ha avuto alcun effetto in Venezuela. Non è che con l’auto-proclamazione che qualcosa può effettivamente risolversi. Il potere deve essere esercitato e la destra non ne ha la forza. È la sua trappola, diciamo: parlano di cose che poi non possono sostenere ma che possono utilizzarle a livello internazionale.             

Quello che si può notare in questi cento giorni di conflitto è che l’unico modo che la destra ha per spezzare la correlazione tra le forze è attraverso un’azione proveniente soprattutto dalla comunità internazionale, ovvero dagli Stati Uniti. Oggi, a livello nazionale, non ha la forza per sostenere il suo piano. 

La simulazione di plebiscito che ha fatto la destra nei giorni scorsi e che ha ottenuto tutto il sostegno possibile dalla stampa internazionale e dalle varie oligarchie, non è un avviso in un certo senso? Cosa ci puoi dire di questa simulazione? 

Perché da qui lo vediamo come una strategia che ha avuto risultati in termini di presenza sulla stampa internazionale, la quale lo sta incoraggiando. Ovvero, un avviso di come saranno le cose. 

Prima di tutto, in Venezuela la destra ha optato per uscire dalla legalità e questo è ciò che vedremo d’ora in avanti. Quindi il plebiscito evidentemente non era legale, ma questo non è il dibattito che c’è ora in Venezuela. Invece, il dibattito riguarda il fatto che avevano bisogno di costruire una giornata per dare legittimità a ciò che sarebbe venuto dopo. Quello che verrà dopo, che si chiami violenza o che si chiami governo parallelo, è il motivo del plebiscito, per dire: “Guardate, abbiamo ottenuto tanti voti. Ci sono milioni persone che sono d’accordo con quello che stiamo dicendo”. Nessuno sa quanti voti furono in realtà, ci sono delle discordanze nei numeri. Esistono errori giganteschi per giustificare la quantità che hanno presentato, ma questo non importa. Ciò che importa è che dal punto di vista internazionale hanno ragione. Inoltre, quel giorno c’è stato un processo elettorale per l’Assemblea Nazionale Costituente, e a livello internazionale è emerso solo il plebiscito, ovvero il fatto che milioni di persone hanno fatto una prova elettorale per le elezioni che avranno luogo questa domenica. Chiunque si trovasse in Venezuela quel giorno avrà visto entrambe le cose, così come è evidente che i mezzi di comunicazione hanno scelto di raccontare una parte del paese e dirla in maniera falsa.                  

Quindi questo plebiscito lo utilizzeranno come una legittimazione delle azioni che si verificheranno più avanti. Diranno: “abbiamo già fatto un esercizio di democrazia enorme, con una partecipazione gigantesca”. Non importa che nessuno sappia dei numeri che di cui dispongono perché i media internazionali li appoggiano e a partire da questo seguiranno i loro passi. In questo plebiscito c’era già un punto dei nuovi poteri e del governo parallelo. Questo è ciò che afferma. Lo useranno per darsi un ruolo di prestigio democratico a partire da questa consultazione. 

Hai detto che l’unico modo che la destra ha di realizzare il suo piano è grazie ad un appoggio esterno. Che tipo di appoggio sarà e da dove verrà? Che parte avranno gli Stati Uniti? Già abbiamo visto il ruolo penoso di alcuni governi come il Messico e la Colombia, solo per fare due esempi, che hanno conferito valore alle azioni della destra venezuelana. Cosa ci puoi dire di questi fattori esterni e che ruolo giocheranno durante e dopo la giornata del 30 luglio?

È significativo che, il giorno dopo il plebiscito, lo stesso presidente Donald Trump abbia minacciato il Venezuela con sanzioni economiche nel caso in cui si darà l’Assemblea Nazionale Costituente. È significativo perché si può interpretare anche come un segnale che il piano non si sta sviluppando come vogliono; e io credo che questo sia un messaggio che è emerso il giorno 16 quando si è visto che molti di quelli che sono andati a votare appartenevano alle file del chavismo. Significa che, dopo tanti anni di attacchi contro il chavismo, questo continua ad esistere e ha preso parte alle manifestazioni di domenica.     

Hanno già annunciato che si schiereranno contro le sanzioni economiche, viste come un piano d’attacco, ma che possono essere giustificate diplomaticamente, come il blocco economico nei confronti di Cuba che va avanti da cinquant’anni. L’obiettivo è soffocare la popolazione, fare in modo che l’economia nazionale non abbia la capacità di risolvere i problemi più gravi che le si presenteranno.       

Credo che per prima cosa  dobbiamo togliamoci l’idea dell’intervento, come se un giorno apparissero in cielo e atterrassero nel paese una quantità di marines dicendo “siamo marines e siamo venuti per invadere il Venezuela”. Non credo che tutto questo succederà. Se uno guarda i conflitti recenti, prendiamo come esempio la Siria, si rende conto che in realtà gli Stati Uniti, salvo la bomba che lanciò il governo Trump qualche mese fa, non sono mai entrati come tali nel paese, se non con una guerra condotta da fuori attraverso gruppi interni da loro finanziati.        

Qual è il vantaggio di cui dispongono gli Stati Uniti nel quadro venezuelano? 

Considerando che vicino c’è la Colombia, che significa che ci sono basi militari (sette), che c’è un esercito colombiano disposto ad appoggiare gli Usa, che c’è uno sviluppo enorme del paramilitarismo in Colombia, che ha acquistato maggior forza nelle zone di frontiera a seguito della smobilitazione delle FARC e che stanno occupando questo spazio. Partendo da questo si può immaginare uno scenario di conformazione di una forza militare capace di pianificare uno scontro maggiore contro lo stato venezuelano.             

Credo che l’intervento sia già iniziato. Quello che succede è sufficiente per destabilizzare il paese, chiudere le città, assassinare le persone e tutto ciò che vediamo in questi giorni. Ma non è sufficiente per spezzare il legame di forza.                     

La domanda è: gli Stati Uniti saranno disposti a esporsi maggiormente e a lanciare un’offensiva che potrebbe generare uno scontro armato diretto lungo la frontiera con la Colombia, un’offensiva militare nel sud dell’Amazzonia, con la Exxon Mobil che sta operando nella zona di Guyana e che ha una disputa con il Venezuela? Faranno un passo in più? Come sarà questo passo? Finanzieranno apertamente i settori paramilitari interni? Questi settori avranno una loro identità?

Questo, per esempio, è interessante perché nelle ultime settimane si è creata una tensione tra la dirigenza di destra, la MUD (Mesa de Unidad Democratica), e qualcosa che si chiama “La resistenza”, la quale ha lavorato sulla propria identità, legata ai settori che non corrispondono alla destra e che si vedono come una forza autonoma. Questa forza autonoma può svilupparsi come un braccio armato militare, come è già successo in Medio Oriente, una forza ribelle che opera in territorio venezuelano con l’obiettivo di liberare alcune zone? Questo di vedrà con il tempo. Nei fatti, oggi, quello che si sa è che la destra può avere un vantaggio nella battaglia dei sensi, della comunicazione, ma al momento non ha la capacità per sostenere le sue posizioni. Oggi, per quello che sappiamo, la destra non può, per esempio, prendere la testa di uno stato o di un municipio, occuparlo con la forza e dire: “A partire da oggi questo è un territorio liberto”, e per esempio trasferire il governo parallelo in questa zona. Questo non sembra possibile se si guarda lo sviluppo della sua forza territoriale, materiale.                      

È una nuova guerra, che da una parte continua a mantenere l’elemento classico della guerra, di cui mancano le forze. In Siria c’era l’esercito dello Stato che si rivoltò e si fallì, c’erano settori organizzati con un gran potere militare. In Venezuela non c’è la Forza Armata Nazionale Bolivariana, questo è bene dirlo. Quello che ha al giorno d’oggi sono alcuni gruppi paramilitari che non dispongono della forza necessaria. Per questo insisto nel dire che senza gli Stati Uniti è difficile che la destra venezuelana esca da questo pantano. 

A pochi giorni dal 30 luglio, secondo quello che dici, la destra non tiene modo di dominare questo processo. Quindi, qual è lo scenario che vedi per la consolidazione dell’Assemblea Nazionale Costituente?

Lo scenario più probabile per i prossimi giorni riguarderà un’ escalation della violenza. Non ci dovranno sorprendere azioni militari di altro tipo o di altra portata. Ma, a mano che non abbiano un asso nella manica che nessuno di noi conosce, queste azioni non impediranno le elezioni di domenica.                                           Queste elezioni sicuramente avverranno in un quadro conflittuale molto esteso. Una volta che accadrà potremo analizzare vari elementi: per prima cosa quante persone avranno votato per l’Assemblea Nazionale Costituente, punto chiave per darle legittimità. Quante più persone avranno votato maggiore sarà la sua legittimità e più difficile sarà per la destra affermare che l’Assemblea Nazionale Costituente non ha alcun sostegno politico. Sarà una sfida per il chavismo e il governo.    

Per il momento non do alcun pronostico perché la situazione è complessa. 

Traduzione a cura  dell'Associazione Ya Basta! Êdî Bese!