Pipeline

Accordo Cina Russia a Shangai, combattimenti elettorali in Ucraina. Alla ricerca di nuovi rapporti di forza internazionali.

di Bz
23 / 5 / 2014


Quelle che seguono sono delle sintetiche suggestioni che ci vengono indotte dal sostenuto incedere delle nuove dislocazioni, dai mutamenti degli scenari che si susseguono sul piano internazionale; sono in corso nuovi e concreti posizionamenti dei Potentati internazionali in cerca di nuovi equilibri, fatto di permanenti tensioni e forzature, dopo il tramonto del sogno del ‘Grande Impero Planetario’, una fase di transizione che necessita di altri eben più profondi contributi.

Dopo oltre 10 anni di negoziazione Cina e Russia hanno sottoscritto a Shangai un accordo bilaterale di cooperazione sulla fornitura di gas per i prossimi 30 anni, con la definizione di una rete di gasdotti che attraversando la Siberia, la Mongolia possano giungere fino alla fascia territoriale della Cina che si affaccia sul Pacifico.

È la base ufficiale formale di un accordo politico e strategico di fase tra le 2 maggiori potenze dell’Eurasia, non è una novità in assoluto, era in stand by da molto tempo per le trascorse diffidenze politiche ed economiche reciproche, e certamente la crisi dell’Ucraina ad occidente e la pressione dell’ASEAN, la Nato del Pacifico ad oriente, hanno accelerato i tempi, hanno fatto superare il bilancino dei reciproci vantaggi economici e fatto convergere gli interessi politici tra Mosca e Pechino, alludendo alla formazione di un potenziale blocco economico, finanziario, politico e militare capace di condizionare le dinamiche sociali planetarie, tale da intimidire qualunque attore internazionale.

Di converso abbiamo assistito in questi ultimi anni ad una espansione della Nato nei paesi dell’est europeo e a una sua ingerenza costante nelle tensioni che si sono sviluppate nel Caucaso, fino al tentativo di affondo cercato in Ucraina, superando palesemente quello che fu l’accordo tra USA e URSS dopo la caduta del muro di Berlino: unificate la Germania ma lì fermatevi. L’assetto internazionale era saltato, gli USA hanno fatto per oltre un decennio la parte del leone a livello planetario, l’Europa – la Germania - si è arricchita, poi, complice la stessa globalizzazione, il piano di dominio imperiale ha cominciato a perdere slancio, a smarrire le coordinate militari del Medio Oriente, quelle politiche in America Latina e in Asia.

Oggi gli USA, forti soprattutto dell’arma del ricatto, della possibilità di una crisi involutiva politica ed economica in Europa, stringono i tempi per la firma del trattato TTIP per costituire da subito un blocco di interessi economico finanziari in grado di contrastare quello che si sta prefigurando in Eurasia. Ecco che, subito, fioriscono le promesse di forniture di shale gas americano in sostituzione di quello russo o di quello libico. Non a caso Bar­roso, poco dopo la noti­zia circa l’ufficialità dell’accordo, ha, per affermare pro forma l’autonomia europea, tuo­nato: «La for­ni­tura di gas non deve essere inter­rotta, conto sulla Rus­sia per­ché man­tenga i suoi impe­gni, è respon­sa­bi­lità di Gaz­prom assi­cu­rare le con­se­gne di gas come sta­bi­lito dai con­tratti con le società Ue». Come dire che l’Europa è alla canna del gas.

Mentre ora gli Stati Uniti inviano circa 11 milioni di dollari per assicurare la regolarità dello svolgimento del voto prossimo in Ucraina, la Russia, dopo aver fatto la voce grossa dichiarando prossima la chiusura delle forniture di gas, come segno distensivo ha ritirato le proprie truppe dislocate lungo il confine est del Paese, non si oppone, quindi, a queste presidenziali, chiedendo il rispetto dei diritti e della volontà espressa da tutti i cittadini, anche dagli insorti delle regioni del Donbass.

Il prossimo presidente sarà il re del cioccolato e del canale televisivo 5, l’oligarca Petro Poroshenko, che raccoglie consensi pubblici trasversali agli schieramenti, l’unica incognita pare essere, se sarà presidente al primo turno o andrà al ballottaggio.

Le elezioni non si terranno ovviamente in Crimea, ma anche nelle regioni orientali del paese di sicuro non filerà tutto liscio.

Pochi giorni fa 46 persone sono morte negli scontri fa i separatisti e i sostenitori del governo di Kiev, mentre l’ONU fa sapere che sono 127 le persone rimaste uccise da quando sono iniziate le ostilità con le milizie filorusse che hanno rifiutato il cambio di regime, hanno occupato i municipi e gestito il referendum, che, stando ai risultati diffusi, plebiscitariamente afferma l’indipendenza dal potere centrale di Kiev.

In vista dell’appuntamento elettorale, indipendentemente dalle mosse dei grandi padrini internazionali, le truppe dell’esercito ucraino e le milizie degli insorti continuano a scontrarsi per difendere o riprendere il controllo delle città, impedire o dar luogo alle elezioni che, quanto meno a parole, tutte le potenze interessate vorrebbero si svolgessero con una patente di regolarità.

Ma come spesso avviene quando le forze oscure dei nazionalismi e degli interessi vengono liberate è molto difficile per tutti ricondurle a ragione, e possono - nella realtà concreta è già successo diverse volte -  rovinare la frittata che viene cucinata nelle altre e lontane stanze chiuse – in questo caso - di Vienna, Ginevra, Washington o Mosca.