Parigi - Una notte all'Odéon occupato

19 / 5 / 2021

La traduzione fatta da Clémentine Lathelier, volontaria di Tele Radio City scs Onlus nell’ambito del programma European Solidarity Corps, ha tradotto un articolo di revue-ballast, che racconta una notte passata all’Odeon, teatro parigino occupato dallo scorso marzo. L’articolo, scritto da Mélanie Simon-Franza, risale al 29 marzo, quando in Francia c’erano 95 spazi culturali occupati. Al momento le occupazioni sono circa 80 e proprio ieri c’è stata una rottura della negoziazione tra occupanti e direzione del teatro, con quest’ultima che ha annunciato che la programmazione culturale (in Francia le riaperture sono previste a partire da mercoledì 26 maggio) non riprenderà finché dura l’occupazione.

Ed ecco che 95 spazi culturali sono occupati in tutta la Francia. Chiusi dall'inizio della pandemia mentre le metropolitane sono strabordanti di dipendenti, i lavoratori del mondo dello spettacolo si stanno difendendo. Sono macchinisti, tecnici, facchini, registi, albergatori, guide, conferenzieri, musicisti, performer o commedianti.

Le loro richieste principali? Il ritiro totale del progetto sulla riforma dell'assicurazione contro la disoccupazione ; un’estensione dell’«année blanche» e l'allargamento a tutti i precari ; altre garanzie per i diritti sociali. Il teatro dell'Odeon, a Parigi, ha dato il via al «ballo nazionale» il 4 marzo: secondo il ministro della cultura, è una cosa «inutile». Ecco il racconto di una notte di occupazione – bandiere sindacali sventolano sulle statue e ricordi lontani fanno lo stesso nell'aria: quelli di un certo mese di maggio, l'Odéon occupato.

 «E' passato un anno da quando noi, lavoratori della cultura, dello spettacolo e del turismo, non riusciamo più a lavorare, e guadagnarci da vivere con i nostri lavori. Di fronte al sovraffolamento degli ospedali, conseguenza di un attaco sistematico al sistema sanitario pubblico, la scelta del governo è chiara: privilegiare la produzione, i luoghi del consumo di massa mentre mantenere chiusi i luoghi di vita, di creatività e di socialità. Fornisce un grande sostegno finanziario alle grandi aziende mentre riduce di più di un miliardo la spesa pubblica per i disoccupati, il cui numero continua ad aumentare.

«Non fare tardi!» ha avvertito tramite SMS un occupante pochi giorni fa. I nuovi inquilini del'Odéon non mancano di rigore: le rotazioni sono controllate, i tempi di entrata e uscita rigidi. In trattativa permanente con la squadra di «sicurezza» del teatro, gli ingressie le uscite sono a orari prestabiliti: alle 9, alle 18. Non prima, non dopo. Il numero di occupanti non può superare i 42: non di più, perché «era necessario negoziare con la direzione del teatro», ci spiega Rémi, del sindacato CGT Spectacle; non di meno «perché è necessario mantenere un'occupazione costante». Contiamo 21 donne e altrettanti uomini: questa lotta, ci fanno sapere gli occupanti, è anche senza dubbiofemminista. Cosi entriamo alle 18 insieme ad alcuni neo-occupanti. Il comitato di accoglienza era a conoscenza del nostro arrivo: siamo qui, in veste di supporto, per progettare il documentario di David Dufresne, Un pays qui se tient sage.

Diversi comitati sono dedicati alla gestione dell'occupazione e alle sue rivendicazioni: il comitato di accoglienza gestisce la guida al sito e la trasmissione delle regole alle nuove persone; il comitato rifornimento si occupa del cibo; il comitato comunicazione si occupa di informare chi è fuori dal teatro delle azioni svolte in loco, in strada e in altri luoghi di occupazione; la commissione coordinazione garantisce il corretto funzionamento dell'occupazione, delle assemblee generali, dibattiti, delle varie azioni, e cosi via. L'occupante che gestisce l'accoglienza ci fa una visita guidata dei locali. Moquette rossa, dorature, scale in marmo e legno, raffinatezza e il peso degli anni su tutti i piani:si diverte a parlare di «una ZAD (zone a défendre) a cinque stelle». Ai piedi delle statue, continua: «Qua Corneille (che sbadiglia)», «Qua Racine (che prende)». Per la maggior parte degli occupanti, è la prima volta nella loro vita che entrano qui e cosi anche per noi.

Camminiamo nei corridori. Dalle terrazze arrivano abitualmente le richieste – ogni giorno alle 14, durante il dibattito partecipativo; nel foyer si tengono alcune assemblee. La lotta, però, non tratta solo della rivendicazione di riaprire i luoghi culturali; testimonia uno slogan scritto sopra una mappa della Francia segnata da quasi un centinaio di punti rossi che segnalano le tante occupazioni: «Questo è solo l’inizio», «che senso ha riaprire questi luoghi quando i nostri diritti vengono violati da cosi tanto tempo, da molto prima della crisi sanitaria?» ci dice un sound manager, presente dall'inizio dell'occupazione. «Non è solo la nostra lotta, è quella di tutti i precari», aggiunge.

Come noi, Gaspard ci parla del funzionamento globale. Rimarrà diverse notti: «Essere li è importante» ci dice. Il comitato striscioni è posizionato in fondo al foyer; i suoi membri dipingono slogan che saranno esposti per le strade della capitale e sulla facciata del teatro. Su un lenzuolo bianco posto sul pavimento, «l'Odéon prende la strada» scritto in lettere nere. Barattoli di pittura, rossa, nera, confinano con i tavoli organizzati dalla commissione rifornimento. Spazzolini da denti, protezioni igieniche, mascherine, gel idroalcolici sono stati raccolti dagli occupanti grazie a un crowdfunding su internete ad altre donazioni. Val', regista e occupante, si rallegra: «La gente viene a passare del cibo attraverso i cancelli del teatro. Tante persone ci supportano fuori». Al primo e al secondo piano, i camerini costeggiano i corridoi. Di fronte alle porte a battente di questi piccoli spazi rettangolari, alcune borse, vestiti e scarpe sono posizionati per significare la presenza di un occupante in pieno sonno.

Allora, stiamo bisbigliando – per non interrompere la prova in corso. Il direttore e regista Christophe Honoré sta preparando la prova generale della sua prossima opera teatrale, Le Ciel de Nantes. Come la direzione del teatro, lui difende piuttosto il «né né»: né si, né no, l'occupazione può continuare fintantoché le prove possono continuare. Comici, direttori di scena, tecnici occupano. Il direttore del luogo, Stéphane Braunschweig ha deciso di dimostrare prudenza: «Non direi che sostengo questa azione, ma capisco l'inquietudine del mondo della cultura. Adesso, è una cosa tra loro e il governo» ha cosi dichiarato all'AFP il 5 marzo scorso, il secondo giorno dell'occupazione. Da allora, la direzione dialoga con rappresentanti dell'occupazione in modo che questa non disturbi le prove: due stanze, due atmosfere, una voragine.

Un bagno, una doccia e due lavandini, sono usati dai 42 occupanti. Siamo sorpresi di vedere un piccolo materasso contro il davanzale della finestra; una sedia mantiene la porta aperta. L'accesso alla doccia è stato frutto di una negoziazione complicata con la direzione. «Allora, per essere sicuri di essere sempre in grado di usarlo, qualcuno deve occuparlo, anche di notte» ci spiegano. «Generalmente solo gli insonni occupano questa posizione: per 42 persone, la doccia deve essere disponibile ogni giorno dalle 6 all’una della mattina. Sono notti brevi...». Ovunque ci sono messaggi per spronare la gente a mantenere i luoghi puliti e al rispetto del vivere comune: scommessa vinta. I lampadari del teatro non sono gli unici a brillare, la minima macchia di caffè viene immediatamente cancellata.

Il teatro è occupato da più di 500 ore. Un numero simbolico che corrisponde al numero di ore di lavoro richieste – 507 – per beneficiare delle indennità di disoccupazione per gli intermittenti dello spettacolo. Si festeggiano anche alcuni compleanni: quelli delle tre settimane dell'occupazione e di Rémi e Salomé: quest'ultima è al teatro dall'inizio dell’occupazione. La commissione rifornimento ha preparato una torta; su uno striscione, creata dalla commissione idonea, è scritto “Grazie Salomé” in lettere d'oro su un lenzuolo bianco. La giovane occupante, assistente operatore vince il César dell'occupazione, creato con un foglio dorato: è lei che ha parlato durante la cerimonia dei César (gli Oscar francesi) per spiegare, sul palco, gli obiettivi del loro movimento. Le candele per il compleanno sono spente con una spatola (gesto obbligatorio a causa del Covid).

Nei corridoi, tra i tavoli, tutte le persone che si incrociano si salutano e si presentano. Sembra che ognuno trovi la sua posizione; una posizione necessaria per la collettività. Nel foyer del teatro, le statue di Corneille e Racine sono adornate da bandiere sindacali: il padre del Cid indossa quello del Syndicat national des professionnels du théâtre et des activités culturelles (Synptac), il padre di Andromaque quello dell’Union nationale des syndicats d’artistes musiciens de France (Snam). I grandi anziani sovrastano gli strumenti musicali dedicati ai momenti collettivi, tra jam session e assemblee. Ci segnalano i recapiti di un avvocato: «questo puo essere utile, vi consiglio di ricopiarlo. Nel caso». In un corridoio un busto nero indossa una corona: ci chiedamo che cosa premi, simile a un cappello d'asino. Sopra è scritto: «io faccio il giornalista».

Siamo venuti per la proiezione del film Un pays qui se tient sage. Vista la portata della mobilitazione, questa proiezione ci sembra quasi un dettaglio. Ma dettaglio necessario: ci permette di ritornare su quello che succedeva, il 18 marzo scorso, a poche strade di distanza dal Senato con l'approvazione della legge sulla sicurezza globale (248 voti per, 97 contro). Droni per tutti, e per tutto; riconoscimento facciale che ci «proibiamo di proibire» (dunque che autorizziamo), braccia aperte alla sorveglianza di massa e intensiva; i poliziotti, armati, che con questa nuova legge potranno recarsi, fuori del servizio, ai concerti, teatri, cinema. Questo 18 marzo, il nome della legge è stato cambiato: «legge per un nuovo patto di sicurezza rispettoso delle libertà». Il suo contenuto è invariato...o quasi. L'articolo 24, riscritto dai senatori a seguito di numerose contestazioni, crea in realtà un nuovo delitto civile di «stimolo all'identificazione» che rischia di contribuire a coprire la violenza della polizia. Tra gli occupanti, questa sera, ci sono anche membri del coordinamento Stop Global Security Law.

Accanto a un tecnico occupante spieghiamo un enorme telo bianco, presto appeso tra le colonne, sotto una scala di marmo. Il suo coltello multiuso è di grande aiuto. Alcuni occupanti hanno già visto il film nelle sale e desiderano rivederlo; altri lo scopriranno quando lasceranno l'AG. L'ordine del giorno riguarda il testo da leggere l’indomani, a Place du Palais-Royal, ma anche la lista degli eventuali ospiti presenti a teatro nei prossimi giorni: persone famose e non. Il tempo è ben scandito; tutto viene messo ai voti. Sopra di noi, un enorme striscione blocca la visuale; leggiamo "O Q P". È bellissimo. Di fronte, un altro sollecita "Reclamiamo il futuro". Lo è ancora di più.

Il suono esce da un altoparlante mono e l'immagine proiettata a volte galleggia nelle correnti d'aria. Umile magia dell'immagine proiettata e dell'esperienza condivisa. Durante le due ore successive alla sessione, discutiamo in cerchio le strategie per mantenere l'ordine, la necessità dello storytelling e il suo contenuto. Il moderatore è un certo Léan: fa sì che tutti possano interrogarsi ed esprimersi. Il fantasma di Malik Oussekine, ucciso nel dicembre 1986 dai poliziotti a due strade di distanza, entra nel cerchio. Poi un'ombra si avvicina. Dietro di lei, un uomo su una sedia a rotelle: spinge un burattino del CRS, un poliziotto con berretto e machete. Scoppiano le risate; il creatore non nasconde la sua gioia. «Il film parla di violenza legittima. Ma siamo, noi, legittimi?», Poi fa una voce. Piccolo frastuono. Una giovane donna va a cercare l'etimologia su Wikipedia: "legale", "legittimo", chi combatte cosa e con quali armi? Il dibattito è in corso.

Alcuni si stanno preparando per un domani luminoso e frenetico: nei corridoi viene appeso un elenco di posti occupati, che si allunga ogni giorno di più. 95, in questo momento. "Occupiamo, occupiamo", ripetiamo. Ma quanti posti dovremmo cancellare da questo elenco? Martedì 23 marzo, la Manifattura d´Arts, una ex scuola di Belle Arti di Saint-Étienne, è stata sgomberata dalla polizia per ordine della Direzione delle azioni culturali della città. A Bordeaux, due giorni dopo, il municipio ha posto fine all'occupazione del teatro dell'opera: quella che era iniziata come un'occupazione "tollerata" è finita in lacrimogeni. Ad Alès la lotta non si affievolisce: lavoratori intermittenti e precari, sloggiati dall'agenzia Pôle Emploi che volevano occupare, hanno spostato l'occupazione al Cratère-Théâtre nella sottoprefettura del Gard. Denis Lafaurie, direttore del locale, accetta. O meglio, tollera - fintantoché "la macchina è in funzione". Un'aria di già sentito.

Sono le tre del mattino. Niente più rumore, nella grande sala dell'Odéon - Théâtre de l'Europe. Niente più rumore, se non qualche russare dai box occupati dagli occupanti. Nei corridoi si sentono passi morbidi e sussurri di chi veglia sui compagni addormentati. Domani sarà un'altra giornata impegnativa; come ogni sera è stato organizzato il giro della guardia. E domani, venerdì 26 marzo, si terrà dunque il terzo "venerdì della rabbia", a Place du Palais-Royal, per lottare contro la proposta di riforma dell'assicurazione contro la disoccupazione. «Non facciamo stanze dello stesso sesso, ma potremmo fare notti dello stesso sesso per i grandi russatori!». Ride Val, che non smetterà di sorridere per tutta la notte.

Al mattino, sul frontone del palazzo, il collettivo Black Lines viene a posare la sua pietra: un graffito "Liberi gli artisti" mostra gli studenti delle scuole superiori di Mantes-La-Jolie, inginocchiati, ammanettati, una-classe-che- si-mantiene-saggia. A sinistra, uno striscione celebra a suo modo i 150 anni della Comune: «Quello che la gente ottiene, lo prende». Firmato Louise Michel.