Oltre il realismo settario-religioso: elementi di classe nella rivolta libanese

30 / 12 / 2019

Quello appena trascorso in Libano è stato un autunno di lotte sociali, all’interno di una grande mobilitazione di popolo in cui sono stati scanditi slogano come “Il popolo vuole la caduta del sistema” oppure “Tutti vuol dire tutti”. Insomma, se la solita narrazione mainstream rispetto alle grandi mobilitazioni dei paesi del nord africa o del medio – oriente si limita a rappresentare un popolo che manifesta contro una generica “corruzione” o vuole la caduta dei suoi dittatori in capo al governo (quasi senza scopo), la grande mobilitazione del Libano ha rimescolato le carte. Una protesta popolare sia in senso di enorme partecipazione, sia nella composizione dei settori sociali coinvolti, cioè il proletariato povero urbano, la classe media in decadimento, le persone provenienti dalle periferie. Tutti uniti dunque nel criticare le misure di austerità di segno di neoliberista del governo Hariri, volte a colpire un popolo già segnato da forti disuguaglianze sociali, in un contesto dove la finanza speculativa ha in mano grandi poteri a dispetto delle condizioni del resto della società del paese dei cedri, caratterizzata da sotto-occupazione ed assenza di welfare. Di seguito un’intervista ad Elia El Khazen, membro dell'organizzazione marxista di base libanese del Social Forum e la campagna per nazionalizzare le banche private in Libano. Fa parte del comitato editoriale della rivista Historical Materialism. Alcuni suoi scritti sono apparsi su Salvage, Jacobin e altre riviste. L'intervista è stata tradotta in italiano da Chiara Costantino.

Quale contesto sociale ha spinto le persone a protestare in Libano? Ci racconta cosa sta accadendo nelle ultime settimane per le strade di Beirut? Quali immagini l’hanno colpita di più in queste manifestazioni?

Prima di rispondere a questa domanda, permettimi di presentare brevemente la politica economica del Libano.

Sin dall’epoca successiva all’indipendenza, il Libano è stato un teatro di sperimentazionedi sistemi di laissez-faire e neoliberismo. La costituzione di unsettore bancario robusto che trascendesse il capitale nazionale contemporaneamente alla formazione dello stato ha rappresentato uno dei tratti distintivi della costituzione dello stato e delle classi in Libano. Sfuggendo dalla formazione dello stato sionista, il capitale palestinese dagli anni 40, i capitali di Egitto, Siria e Iraq in fuga dalla nazionalizzazione nei primi anni ’60 e il capitale in surplus dal Golfo dagli anni ’70, hanno fatto sì che si solidificasse un sistema bancario deregolamentato che, sin dalla sua nascita, ha adottato una delle forme più sregolate di capitalismo liberista.Il settore bancario in Libano è stato per sua natura transnazionale dalla sua nascita.

L’insurrezione libanese, iniziata il 17 Ottobre 2019, è il risultato di quasi 30 anni di politiche di austerity, esponenzialmente acceleratesi negli ultimi mesi, come risulta evidente dalla instabilità della moneta locale, che ha portatoalla carenza di pane e di benzina in tutto il territorio. La Banca Centrale Libanese ha imposto al paese innumerevoli provvedimenti speculativi per stabilizzare la lira pareggiandola liberamente alla solvibilità del dollaro. Il deficit di import/export è, sì, responsabile della scomparsa di liquidità in dollarima solo parzialmente. Molti dei provvedimenti monetari e finanziari della Banca Centrale sono stati condizionati dalla liquidità di dollari, ossia dal flusso costante di investimenti esteri diretti, di enormi prestiti statali o di rimesse. Vista la crescente carenza di queste tre forme di flusso di dollari, fortemente dovuta al fatto che il catastrofico debito pubblico risucchia gran parte del deposito di dollari, destinandoli a debitori e banche locali, l’instabilità della valuta è diventata una costante. L’anno scorso le banche locali (che possiedono gran parte del debito pubblico) hanno smesso di erogare prestitiper l’acquisto di abitazioni. Tali prestiti sono stati congelati tra marzo e settembre dello scorso anno in seguito all’esaurimento del pacchetto di supporto fornito dalla Banca Centrale. Alla fine di gennaio, la Banca Centrale ha proposto un nuovo “pacchetto di stimolo” di oltre 1 miliardo di dollari, l’ottavo dal 2012. Di fronte a uno scenario di bassa crescita economica e alti tassi di interesse, questi pacchetti mirano a sostenere i settori di edilizia e dei beni immobili tramite prestiti agevolati concessi attraverso le banche locali. Ciò non comporta altro che una ridistribuzione della ricchezza che mira a rimandare l’imminenza della crisi, assicurando che il capitale venga prodotto tramite la connessione banche locali-beni immobili-settore edilizio, una trilogia finanziaria che ha beneficiato di gran partedella riproduzione del capitale durante l’era di Hariri.Assegnando quasi la metà del pacchetto annuale ai prestiti per le abitazioni la Banca Centrale e il governo libanese fungono da intermediari a garanzia della redditività della riproduzione del capitale del settore bancario (stimato in 4 miliardi all’anno), il sostegno alla domanda di alloggi e la prevenzione del crollo dei prezzi che mantiene il settore dei beni immobili a galla. Quest’anno, l’instabilità della moneta si è manifestata all’inizio del mese di ottobre con il blocco di prelievi di contante e dei cambi di valuta da parte delle banche locali, le quali dichiaravano la carenza di dollari. Di conseguenza, questo ha costretto panetterie e stazioni di servizio a chiudere i battenti, per via del fatto che avrebbero dovuto acquistare i beni in dollari, ricevendo come profitto la moneta locale svalutata. Nonostante la crisi economica sia stata rimandata, a metà ottobre, una serie di incendi che hanno devastato il paese e la successiva risposta dello stato alla catastrofe,ha fatto emergere le conseguenze delle politiche di austerity. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è rappresentata da un nuovo ciclo di misure di austerity discusso e approvato alla riunione di gabinetto a a fine novembre, impiegato per soddisfare le condizioni del FMI e della Banca mondiale. La CEDRE, conferenza internazionale a sostegno dello sviluppo e delle riforme in Libano che ha avuto luogo nell’Aprile 2018, ha contribuito a fornire prestiti agevolati per circa 10,2 miliardi di dollari e donazioni per circa 800 milioni alla stato libanese, che in cambio avrebbe dovuto mettere in atto misure di austerity più severe entro un anno dalla conferenza.

I quattro pilastri della conferenza sono i seguenti: l’aumento del livello degli investimenti pubblici e privati; la garanzia di stabilità economica e finanziaria attraverso l’aggiustamento fiscale, l’attuazione di essenziali riformesettoriali e intersettoriali, come la lotta contro la corruzione e la modernizzazione della gestione del settore pubblico e della finanza; lo sviluppo di una strategia per il rafforzamento e la diversificazione dei settori produttivi del Libano e la concretizzazione del suo potenziale di esportazione. Questi capisaldi, se destrutturati, costituiscono una chiara imposizione di un’ulteriore privatizzazione della maggior parte dei settori che generano reddito nello stato Libanese (principalmente quello delle telecomunicazioni, che è ancora redditizio essendo uno dei servizi più costosi al mondo) e un tentativo di rimpiazzare il budget infrastrutturale dello stato con gli IDE (gli Investimenti diretti esteri sono calati dal 16% nel 2003 a un 0,8% quest’anno, che spiega l’interesse del FMI e della Banca Mondiale a colmare il gap e sanare la crisi economica che ha accelerato la rivolta). Il messaggio della conferenza CEDRE era chiaro: se il Libano non fosse stato in grado di attuare le misure di austerity aumentando le tasse, avrebbe dovuto vendere le proprietà pubbliche, come grandi sezioni del porto di Beirut, la Middle East Airlines, servizi aeroportuali, la Beirut Stock Exchange, l’organizzazione Regie Libanaise, il Casinò nazionale, impianti petroliferi futuri e altro. Un’altra condizione imponeva al governo l’astensione dall’investimento in progetti infrastrutturali, ad esempio il blocco di quelli che avrebbero procurato crescita e creazione di posti di lavoro. Sostanzialmente, la CEDRE ha puntato alla monetizzazione della crisi economica imponendo la privatizzazione e gli IDE come unica soluzione a ciò che è percepito come corruzione del settore pubblico. Un messaggio chiaramente recepito da Hariri che nel suo ultimo discorso, lunedì 25 novembre, ha promesso di privatizzare vari settori pubblici e dare il via libera ai progetti sul mercato immobiliare LINOR e ELISSAR. Questi progetti sono riconducibili al tentativo di Hariri di creare un franchising del progetto Solidere nella periferia di Beirut e nel suo distretto Metn. Sotto pressione per via dei moti di rivolta, Hariri ha inoltre dichiarato che non avrebbe imposto nuove tasse dirette o indirette nel 2020, senza dare garanzie riguardo gli anni futuri. Allo stesso tempo, ha annunciato la tassazione sulle transazioni bancarie sostanziose el’applicazionedi profitti che ammontano a 600 milioni di dollari solo nel 2020, assieme a una tassazione progressiva e al dimezzamento degli stipendi parlamentari e del governo. Queste riforme rispondevano chiaramente alla necessità di far calmare le acque e distogliere la rabbia diffusa nei confronti di Hariri, il quale, infatti, ha affermato che questi provvedimenti rientravano già nei piani ma le interferenze di altre sezioni della classe governativa li avevano distolti da questi intenti. La persone hanno risposto con la stessa moneta riversandosi per le strade, riunendosi nelle piazze principali, chiedendo la caduta del regime. “Non ci fidiamo né del governo né di Hariri” è lo slogan di lunedì 25 novembre e martedì 26 novembre, giornate in cui 2.5 milioni di persone hanno affollato le strade di più di 30 città libanesi. Dall’insediamento di RaficHariri al potere, negli anni ’90, l’economia ha fatto totale affidamento sugli investimenti esteri per via della dipendenza della stabilità della lira libanese al dollaro. Inoltre, il sistema monetario garantisce un tasso di cambio fisso adottando un tasso di interesse elevato sul differenziale tra sterlina libanese e dollaro, il che genera sostanziali profitti non solo alle banche ma anche ai depositanti che assumono debiti in dollari con un tasso di interesse del 5, 6 o 7% e collocano queste somme in sterline libanesi a un tasso del 25, 30, 35 %, generando, in pratica, un furto organizzato. La morsa di questa eccessiva dipendenza dagli investimenti esteri e dalla solvibilità del dollaro ha iniziato a farsi sentire a partire dal 2011, quando la crisi economica ha colpito le rimesse dei libanesi espatriati che spediscono indietro i dollari, assieme a un calo degli investimenti del Golfo sull’economia libanese a partire dal 2014 (per via della loro crisi economica) e a un aumento delle sanzioni economiche dal 2016, anno dell’avvento di Trump al potere.Di conseguenza, le piccole e medie imprese(PMI), che costituiscono la maggior parte dell’economia libanese,hanno optato per trasferire fisicamente questa insolvenza sulla classe operaia, scegliendo di sfruttare il lavoro dei migranti del bacino dell’esercito industriale di riserva all’interno della comunità dei rifugiati. Ciò ha esasperato ulteriormente la costituzione dell’economia locale, legata alla solvibilità del dollaro che rimane all’interno del paese e non lo lascia tramite ‘contro-rimesse’ o rimesse fuori dai confini. Questo, a sua volta, spiegala crescente potenza, nella società libanese, del discorso razzista che accusa i rifugiati siriani e palestinesi di aver incrementato la disoccupazione più che l’ingegneria economica e la manipolazione della Banca centrale e del settore finanziario libanese. In più, il saldo di import/export è estremamente negativo, favorendo l’importazione e prevedendo 15 miliardi di dollari di spese annuali che gravano inesorabilmente sulle riserve di dollari della Banca centrale del Libano (dal momento che tutte le spese di import avvengono in dollari). È rilevante notare, ad esempio, che nel 2015 la riserva di dollari della Banca centrale ammontava a 35 miliardi e la stessa doveva alle banche locali oltre 62 miliardi. Il fatto che gran parte del debito pubblico è posseduto da un gruppetto di banche locali rappresenta un grande impedimento alla produttività dell’economia. Ad ogni modo, questo è solo apparentemente negativoper i rappresentanti del neoliberismo.

Nonostante le riforme economiche di Hariri siano state fortemente rifiutate dai manifestanti, il che ha portato alle sue dimissioni, la conferenza CEDRE, supportata dal FMI e la Banca Mondiale, ha segnato un evidente passaggio strategico dalle politiche di austerity alla privatizzazione. Un risvolto pericoloso nella logica di finanziarizzazione e tardo capitalismo, che dimostra una grave crisi del neoliberalismo nelle modalità e nei processi: il malcontento politico e un sistema monetario ed economico in rovina possono, comunque, creare opportunità per il neoliberalismo in crisi, constatato che la privatizzazione delle risorse economiche chiave è a basso costo.È un nostro dovere in quanto marxisti quello di registrare la svolta tatticadalle politiche di austerity a una privatizzazione opportunisticacome nuova modalità di accumulazione tramite espropriazione, simile a quella originaria delineata da Marx.

Qual è la rilevanza di questa protesta nella storia del Libano?

Si tratta di un momento davvero rivoluzionario nella storia del Libano poiché siamo finalmente riusciti a cavalcare l’onda rivoluzionaria dilagante in tutta la regione, che si riaccende continuamente in posti come l’Algeria, il Sudan, la Giordania e l’Iraq. Ma, come accennavo prima, nonostante possa essere considerata un proseguimento dell’insurrezione araba, ha le sue peculiari condizioni delicate. Senza scadere nel nazionalismo metodologico, possiamo affermare con sicurezza che c’è una certa specificità in quello che mi piace chiamare (riprendendo Mark Fisher) realismo settario - religioso, ossia l’idea che sia impossibile considerare lo soggettività del Libano, la sua economia e la sua sovrastruttura al di fuori da ogni affiliazione settaria - religiosa, riprendendo Mehdi Amel, figura fondamentale nella formazione del capitalismo in Libano dal 1860. Questa specificità può in qualche modo spiegare perché la rivoluzione libanese sia sopraggiunta tardi, in quanto l’affiliazione settaria - religiosa nell’era neoliberale combina l’individualismo con sette competitive nel mercato delle risorse limitate. Ma il realismo settario - religioso è una via percorribile del capitalismo solo fin quando il capitalismo stesso e la sua rete ‘clientelare’ sono in grado di fornire i servizi promessi. La crisi economica e finanziaria delineata precedentemente ha scatenato il distacco delle persone dall’offerta religiosa – settaria principalmente poiché questo sistema non era stato in grado di rispettare le sue promesse su un’ampia scala che includeva tutte le sette. Ciò spiega perché il Libano ha beneficiato di quello che Trotsky chiama “il privilegio dell’arretratezza storica”, da un prospettiva ideologica e di classe non si era preparati a una rivoluzione, in quanto la finanziarizzazione descritta in precedenza ha reso la maggior parte della classe operaia libanese (ora principalmente nel settore terziario) priva di potere, disorganizzata e accanita contro una classe operaia di migranti continuamente ipersfruttata. Come probabilmente saprete, a partire dal 1990, l’economia in Libano ha accentrato la riproduzione di capitale in surplus attorno al settore finanziario e immobiliare, impedendo la formazione di lavoro proletarizzato all’infuori del settore terziario. Ma questo privilegio si è manifestato chiaramente negli enormi avanzamenti ottenuti dalle masse ed è stato caratterizzato dai cori, dagli slogan e dalle forme di organizzazione innovative che sono stati adottati.

L’efficienza organizzativa della società civile, congiunta al fallimento dello stato settario - religioso neoliberale nel rispettare le false promesse di prosperità competitiva, ha causato una percezione di classe per sé stessa in particolare nelle zone rurali. Se la ragion d’essere del neoliberalismo settario - religioso giace nel presupposto che la divisione settaria non solo è inevitabile ma anche cruciale per la prosperità comune, ciò che il nuovo ciclo di politiche di austerity ha provato in meno di una settimana è che queste premesse sono state condizionate dalla continua fruttuosità dellacompetizione settaria.

La diffusione della rivolta è stata immediata in quanto ambiva a regolare i conti da lungo in sospeso con una classe dirigente distaccata, condannando, in questo modo, anni e anni di inconsistenti analisi da parte degli scienziati politici che avevano disinnescato a lungo ogni potenziale rivoluzionario sotto le macerie di ciò che avevano concordato di chiamare “la convivialità tra l’oppresso e l’oppressore” e “l’opprimente natura settaria delle persone e delle istituzioni libanesi”.

Osservazioni che, a detta loro, erano diventate, adesso, una realtà da accettare. Di fronte alla profonda e immortale fede di questi accoliti liberali nel progresso istituzionale e nelle strategie di “doppio potere”, la lotta di classe ha pervaso le strade; in poche ore, molti quartieri della classe operaia si sono riempiti di barricate.

In questo contesto, le barricate sparse non rappresentano solo un’alternativa temporanea alla richiesta di unosciopero generale da parte di un sindacato centralizzato, ma la volontà di capovolgere dalla testa ai piedi il paradigma tra centro e periferia. Beirut, così, non è più il centro a cui si fa riferimento per diffondere il fervore rivoluzionario, poichéil cuore pulsante della rivoluzione passa da un centro rurale a un altro, in base all’intimidazione dello stato nei confronti delle barricate. Queste diventano, quindi, un monumento celebrativo del rifiuto a essere parte di un mercato del lavoro basato sulla formazione settaria dei soggetti.

Il rafforzamento della coscienza di classe che passa attraverso la valorizzazione della soggettività libanese delle aree rurali come Nabatieh, Sour, Tripol, JalelDib, costituiscono a partire da Dan Labotz, dei laboratori rurali in cerca di una cura al capitalismo, in cui studiosi della classe operaia di periferia, principalmente parte dei settori terziario, finanziario e dell’educazione, fanno esperimenti per le strade nel tentativo di far rivivere sindacati a tutt’oggi poco incisivi.

Queste zone rurali, così, non costituiscono più cantoni settari impenetrabili, omogenei dal punto di vista religioso, atomizzati in quanto capisaldi settari competitivi nella psiche libanese, bensì diretti campi di scontro con lo stato e le sue milizie che affermano di continuo la centralità della lotta di classe. Più le milizie sono violente, repressive e umilianti, più attestano il loro ruolo in quanto agenti della classe dirigente. Esigendo l’abbattimento del sistema settario - religioso tramite le barricate, i manifestanti hanno rigettato la logica del mercato che non propone altre alternative al di là della competizione settaria, che vincola verticalmente l’individuo alla sua ‘setta’, e di conseguenza la classe dirigente.

Quali sono gli slogan e i cori emblema di questa protesta? Ci sono dei nessi con quella del 2015?

Sin dal primo giorno la gente ha intonato “le persone vogliono la caduta del regime”, uno slogan che è stato motivante dalla primavera araba nel 2011. Mentre uno slogan più noto,ormai decennale ma divenuto popolare durante le proteste del 2015,è “tutti quanti significa tutti quanti”, un altro ancora, meno cantato ma ugualmente significativo “se Syria e Sudan hanno un dittatore noi ne abbiamo 100”, un riferimento al fatto che il settarismo neoliberale in Libano congiunge tutti i membri della classe dominante che hanno governato per decenni. “Noi siamo la rivoluzione, voi siete guerra civile!” è un coro più recente che fa riferimento al coinvolgimento della classe dominante e la sua responsabilità nel distruggere la fabbrica sociale, che vuole essere ricucita da chi è sceso nelle strade. Un altro coro rilevante arriva dagli studenti universitari e delle scuole che si sono impegnati personalmente per riaccendere il fervore della rivolta, la cui partecipazione stava iniziando a calare nella seconda settimana. Il loro contributo è stato fondamentale con il loro slogan pertinente “Non siamo qui per studiare storia, siamo qui per scriverla” in quanto la loro collaborazione ha inciso sull’andamento della rivoluzione, dandogli un ancora di salvezza.

Le bellissime immagini di solidarietà transfrontaliera con i compagni rivoluzionari sparsi nel mondo arabo tra Sudan, Syria, Iraq, Egitto e altri paesi, non devono, tuttavia, distoglierci dall’interrogarci riguardo la mancanza di partecipazione da parte del lavoro migrante nella rivoluzione. La nostra rivoluzione non deve essere infangata da quel nazionalismo metodologico che rinuncia ai compagni siriani, palestinesi, egiziani, srilankesi in nome di omogeneità, evitando di trovare un “comune denominatore”. I nostri compagni sono stati emarginati, sfruttati e alienati dalla politicizzazione e dell’organizzazione per troppo tempo. La loro imminente rivoluzione dovrebbe costituire la base sulla quale costruire la seconda e la terza ondata di slancio rivoluzionario.

Qual è la prospettiva di questa rivolta? Pensa che il governo darà una risposta repressiva più forte?

Contrariamente a quanto accade in Iran, Iraq, Cile e altri paesi che stanno testimoniando rivoluzioni storiche, il governo in Libano non ha ancora sprigionato il suo pieno potere repressivo nei confronti dei manifestanti, non ancora. Nonostante il numero di morti al momento conta 7 martiri, il governo libanese ha optato per utilizzare il suo sistema di sicurezza per controllare la folla, esternalizzando la violenza contro i dimostranti alle milizie settarie complementari. Questa forma di crimine organizzato serve a due scopi: in primo luogo, a mettere i membri della classe operaia gli uni contro gli altri, in secondo luogo, a esonerare momentaneamente lo stato dai suoi doveri repressivi. Come ci ricorda Charles Tilly, il racket non è un’esclusiva dell’organizzazione parastataleche sfida lo stato ma è il modus operandi originale di quest’ultimo, che è frequentemente esternalizzato alle milizie con il fine di difendere l’ordine, la legittimità e l’atto originario dell’espropriazione. Tilly ci aiuta a mettere in dubbio la “nozione di stato fallito”, spesso illuminata negli ambienti politici in riferimento agli stati a sud del globo, in quanto le milizie settarie durante la guerra civile libanese hanno reificato lo stato piuttosto che aver compromesso la sua autorità. La graduale annessione di milizie bellicose nel sistema di sicurezza statale è solo dimostrazione del fatto che la motivazione dietro la loro guerra civile-racket era un’estensione della politica più che la sua assenza. Questa incorporazione ha spianato la strada al naturale e violento passaggio dallo sregolato capitalismo liberista al selvaggio neoliberalismo di cui RaficHariri era a capo. Il ruolo delle milizie settarie nello svuotare e colonizzare le strutture statali è andato di pari passo alla finanziarizzazione dell’economia del Libano.

Hezbollah si presenta come la massima espressione direpressione controrivoluzionaria e racket organizzato. Il partito e i suoi satelliti hanno assunto un ruolo primario nella controrivoluzione incontinuazione a quello avuto in Syria; il così detto blocco di resistenza non aveva offertoai manifestanti altro che teorie di cospirazione sui finanziamenti dell’ambasciata e coercizione fisica a Beirut e nel sud del Libano. Nel suo secondo famoso discorso, 9 giorni dopo l’inizio della rivoluzione, Nasrallah aveva messo in dubbio la legittimità e la spontaneità della gente in strada utilizzando una narrativa cospirativa sui “finanziamenti dell’ambasciata”, facendo rivivere i tropi della guerra civile, criticando i dimostranti per la mancanza di unleader e di chiarezza nelle loro richieste e ricordando ai suoi sostenitori, e ugualmente ai manifestanti, che se le proteste fossero andate avanti, la guerra civile siriana sarebbe diventata uno scenario possibile. Così facendo, il partito Hezbollah, tramite il discorso di Nasrallah, ha incarnato un’insignificante politica borghese, riflettendo sempre più il carattere del suo elettorato.

Hezbollah ha storicamente giocato il ruolo di un intermediario che scioglie con cura le tensioni tra le fazioni della classe operaia e la classe dominante, eche rappresenta la lotta di classe proiettandola continuamente verso un futuro incerto e irrisolvibile, mentre la liberazione nazionale resta una priorità.

Come Joseph Daher dimostra nel suo libro su Hezbollah, il partito continua a ricevere supporto da persone appartenenti a diverse classi, ma le sue priorità sono sempre più indirizzate alle classi alte.Questo ha creato attriti all’interno della comunità sciita, in particolare tra i sostenitori del partito, dopo aver realizzato di non essere una priorità, ma di costituirela base di reclutamento per la guerra diHezbollah contro i siriani, una guerra di cui avrebbero giovato gli appartenenti a classi elevate all’interno del partito e il loro entourage sempre più costituito dalla classe medio-alta e dalla borghesia sciita. Per questo motivo, Hezbollah ha deciso di buttare questo attrito fuori dalla sua comunità e riaccendere le tensioni settarie scagliando i sostenitori sciiti delle classi basse contro i rivoluzionari del 17 ottobre. In questo modo, Hezbollah non solo risolve momentaneamente la crescente tensione tra le classi all’interno della comunità sciita, riorientando e spostando fisicamente la contraddizione di classe verso una lotta settaria e dissolvendo la rabbia della sua classe operaia nei confrontidell’alleanza del partito con i membri della classe di governo, ma è anche in grado di far leva contro ogni discorso di governo tecnocratico, targatoHariri e altri (appoggiati dagli Stati Uniti). Mandando le classi basse allo scontro con i manifestanti del 17 ottobre, il partito punta a rimpiegare e amplificare la tattica settaria che era stata persa quel giorno, una tattica secondo la quale il pubblico generale è ancora radicato alla fedeltà settaria e non è ancora pronto per un governo tecnocratico. Reificare il settarismo come tattica controrivoluzionaria serve ad Hezbollah su due fronti, quello interno e quello esterno, aiutando a portare in salvo la sua alleanza con il fronte presidenziale che garantisce lo status quo.

Anche l’esercito libanese, raramente menzionato come altra componente della controrivoluzione in Libano, ha storicamente avuto un ruolo sia passivo che attivo, completando il ruolo delle milizie. Sin dall’ascesa al potere di FouadChehab, nel 1958, mossa orchestrata in quanto compromesso tra l’egemonia del Nasserismo e degli USA, l’esercito libanese è stato il principale componente della pratica controrivoluzionaria rimasto tatticamente titubante fin quando non è stato in grado di prendere il potere. La classe dirigente, nonostante, adesso, sia frenata dai finanziatori (USA e Arabia Saudita), può ancora fare affidamento su alcuni generali in grado di manipolare gli attriti politici al fine di reprimere alcune aree (JalelDib, Zouk e altre) o innescare tensioni settarie in altre (Tripoli).

Ci può dire di più sulla campagna alla quale state lavorando?

Prima ho dimenticato di menzionare uno slogan che ha a che fare con ciò che il pubblico definisce “rivendicazione del capitale rubato” e ciò a cui si riferiscono è, in piccola parte, la corruzione della classe dirigente capitalista ma in gran parte l’inarrestabile crescita del debito pubblico che sta divorando più del 40% del bilancio annuale governativo per coprire il coacervo del tasso di interesse di questo debito. La maggior parte del debito pubblico/privato, ad esempio più di 50 miliardi di dollari (su approssimativamente 85 miliardi) è posseduto da banche private locali. Per questa ragione, abbiamo deciso, come gruppo di sinistra, di impegnarci sulla questionedella nazionalizzazione delle banche, che, vista la rilevanza storica del settore bancario menzionata prima, non solo è una novità ma sarebbe vista con favoredalla rivoluzione pre-17 ottobre.

Abbiamo anche avvertito che le istanze socio-economiche, elementi essenziali che hanno portato la massa a protestare i primi due giorni sono state affondate dalle richieste più populiste sulla corruzione e sull’applicazione della costituzione. La richiesta di nazionalizzare le banche, in un’era di crisi neoliberale causata dal debito pubblico (sponsorizzato dalla CEDRE, dalla Banca Mondiale e dal FMI) non vuole solo essere il trasferimento della proprietà delle banche private al settore pubblico,che le rende di dominio pubblico, di proprietà delle persone, senza rimborso ai proprietari, ma un rovesciamento di anni di privatizzazione e politiche di austerity.

La banche private (possedute in parte o quasi dall’establishment) hanno dato in prestito decine di miliardi di alti e capitalizzati tassi d’interesse di debito pubblico utilizzando obbligazioni del tesoro garantite dallo stato. Attraverso la nostra campagna abbiamo distribuito davanti a più istituti bancari brochure informative riguardanti la necessità di nazionalizzare le banche, cibo gratis e abbiamo aperto discussioni di economia. La reazione delle persone alla nostra iniziativa è stata largamente positiva e incoraggiante dal momento che le misure repressive che le banche private hanno intrapreso nelle ultime due settimane, per pressare sia la massa che il governo, hanno aumentato l’ostilità della gente verso le banche. Stiamo sfruttando questa rabbia che deriva dall’interazione con la banca per politicizzarla e indirizzarla verso la riproduzione di capitale e la spoliazione in Libano.