Messico un anno dopo: dov'è il "cambiamento"?

Bilancio di un anno di presidenza di Andrés Manuel López Obrador

2 / 7 / 2019

Un anno fa il trionfo della speranza: al terzo tentativo Andres Manuel Lopez Obrador diventava presidente del Messico. Un’elezione storica per il paese, infatti, per la prima volta un candidato di sinistra metteva alla porta i due partiti tradizionali che finora si erano spartiti il potere, il vecchio partito-stato PRI e il suo braccio destro - in tutti i sensi - PAN. Oltre che storica, una vittoria schiacciante, con 30 milioni di messicani che, scegliendo AMLO, come è comunemente chiamato, sceglievano di porre fine al regime di terrore instaurato dai due predecessori, Felipe Calderon Hinojosa (PAN) ed Enrique Peña Nieto (PRI). Con lui, il paese sceglieva la speranza di un cambiamento: troppi 12 anni di guerra civile mascherata da guerra al narco, troppi 250 mila morti, troppi 40 mila desaparecidos, troppi 300 mila sfollati interni, troppa corruzione, troppa la violenza. Ma un anno dopo questa importante svolta, il Messico di AMLO rappresenta ancora la speranza di cambiamento?

Forse è troppo presto per dirlo (è passato solo un anno dalla vittoria elettorale e solo sette mesi dall’entrata ufficiale in carica), ma alcuni segnali di questi ultimi mesi sono allarmanti. Di seguito proveremo ad affrontare alcuni di questi segnali che negli ultimi mesi hanno fatto parlare del Messico anche oltre oceano.

La nuova militarizzazione dei territori per combattere la violenza

Come detto, i dodici anni di guerra civile hanno portato il paese al collasso e sono stati, molto probabilmente, uno dei motivi fondamentali per i quali i cittadini messicani hanno scelto Andres Manuel Lopez Obrador come presidente. Purtroppo però le notizie di questi mesi non hanno mostrato un paese che ha cambiato marcia, tutt’altro. E sono i dati a parlare: nel primo quadrimestre del 2019 sono avvenuti 11221 omicidi, il quadrimestre più violento degli ultimi 20 anni [1]. Non solo, nei primi sei mesi sono già 8 i giornalisti assassinati, uno in meno rispetto all’intero anno precedente. Sono 13 invece i leader comunitari o sociali caduti con violenza per la loro lotta a difesa dei territori [2]. La risposta del nuovo governo è stata quella di investire su una nuova militarizzazione dei territori con la creazione della Guardia Nacional, un corpo ibrido metà polizia e metà militare che secondo molti ha cambiato solo forma ma non la sostanza. L’obiettivo della riforma era costituire questo nuovo corpo di polizia che avesse delle basi più civili che militari dato che lo stesso AMLO in una dichiarazione di qualche mese fa considerava la Policia Federal come il peggior corpo di polizia del paese in quanto a violenza procurata e corruzione. La realtà tuttavia è ben altra cosa rispetto alle intenzioni (dichiarate) del presidente: i membri del nuovo corpo di polizia saranno gli stessi uomini della polizia federale, obbligati a cambiare uniforme pena il licenziamento [3]. Anche gli zapatisti, naturalmente, si sono opposti alla nuova Guardia Nacional, intravvedendo subito i potenziali problemi per le loro comunità: e infatti almeno tre caserme saranno posizionate proprio nei pressi dei territori ribelli e liberati dagli indigeni zapatisti (territori che hanno tra gli indici di violenza più bassi dell’intero paese ma che sono in prossimità dei confini e interessati da alcuni mega progetti), come hanno denunciato in recenti comunicati e come ribadito durante la “giornata per la vita e contro nuova militarizzazione dei territori autonomi” [4]. Resta quindi il paradosso per l’amministrazione López Obrador, di voler combattere la violenza facendo rimanere inalterate le possibili cause di questa violenza, una scommessa che difficilmente avrà un esito positivo.

Mega progetti e resistenza indigena

In campagna elettorale AMLO si è speso molto a fianco delle organizzazioni ambientaliste e indigene di difesa dei territori, tanto da assicurare che, una volta presidente, avrebbe fatto in modo di far terminare le politiche estrattiviste. E i presupposti erano anche buoni: già ad ottobre scorso AMLO ha assicurato che avrebbe proibito il fracking, ma proprio negli ultimi giorni si è diffusa la notizia di una nuova concessione data alla PEMEX per utilizzare la fratturazione idraulica per estrarre il petrolio [5]. AMLO ha ribadito che il Messico non utilizzerà più il fracking e ha anche “sospeso” tale concessione, ma al momento, a parte le parole del presidente, non esiste una legislazione che ne vieti l’utilizzo.

Il problema tuttavia non è solo il fracking. Sono infatti numerosi i mega progetti fatti approvare attraverso il ricorso alle consulte popolari (strumenti che favoriscono l’avvallo delle popolazioni ai mega progetti e allo stesso tempo a disinnescare la protesta e a criminalizzare chi contesta) tra i quali dobbiamo citare il Tren Maya, il Proyecto Integral Morelos e il corridoio nell’Istmo di Tehuantepec. Molti di questi progetti erano stati bloccati dalle precedenti amministrazioni per la forte opposizione locale incontrata ma ora, proprio grazie all’utilizzo delle consulte, hanno ricevuto l’approvazione popolare. Ciò che tiene uniti tutti questi progetti è una parola che forse dovremmo imparare a leggerla in termini negativi: sviluppo. Sviluppo del turismo per Yucatan e Chiapas con il Tren Maya, sviluppo dei commerci per il corridoio nell’Istmo di Tehuantepec (pensato per velocizzare la circolazione di materie prime tra gli oceani Atlantico e Pacifico e competere con il canale di Panama), sviluppo del Paese con la costruzione di due centrali termiche in Morelos nell’ambito del PIM (Proyecto Integral Morelos). Uno sviluppo che però porta con sé controindicazioni nefaste per l’ambiente e le popolazioni, quasi sempre indigene, che abitano i territori sede di questi mega progetti. In questi mesi AMLO ha usato spesso la retorica del trionfo, di un paese intero che lo segue e che appoggia le sue decisioni: in questa ottica dobbiamo vedere quindi la consegna del “bastón de mando” donatogli da alcune etnie indigene durante la cerimonia di inaugurazione del suo “sessennio”, come simbolo dell’appoggio del mondo indigeno al suo operato. In realtà non tutto il mondo indigeno appoggia il presidente e a trainare l’opposizione è il Congreso Nacional Indigena, di cui fa parte anche l’EZLN, che fin dal primo momento hanno dichiarato ferma opposizione ai mega progetti del presidente, in particolare del Tren Maya che attraversa alcuni territori autonomi zapatisti. Per gli indigeni quelli portati avanti dal presidente sono progetti di morte che andranno a incidere negativamente sulla vita delle popolazioni che abitano i territori, avvelenando le acque e distruggendo terreni agricoli fondamentali alla sussistenza di molte popolazioni indigene, sfruttando la popolazione con l’impiego di lavoratori a basso costo e in molti casi, costringendo le popolazioni a spostarsi per i danni provocati da progetti ed estrazioni. In Morelos, l’opposizione al PIM è costata la vita all’attivista Samir Flores alcuni mesi fa, ucciso a colpi di arma da fuoco davanti alla porta di casa. AMLO in campagna elettorale aveva promesso la ferma opposizione al progetto per poi ritrattare una volta salito in carica. Analizzando tutti questi progetti [6] pare evidente che con questo nuovo governo non ci sarà la fine del neoliberismo come annunciato pomposamente qualche mese fa. Tutto fa credere che la logica predatoria del sistema estrattivista continuerà anche con AMLO e che le opposizioni saranno duramente represse.

La crisi migratoria e l’ingerenza statunitense

21.500. È il numero delle forze federali distribuite lungo la frontiera meridionale e settentrionale del Messico: un primo gruppo di 6.000 agenti della Guardia Nazionale sono stati inviati al confine con il Guatemala; altri 2 mila nelle zone di Chetumal, Quintana Roo, Tapachula e Chiapas oltre a 4.500 nell’Istmo di Tehuantepec. Mentre al confine nord sono stati inviati altri 15 mila agenti [7].

Numeri che rappresentano il compromesso che il “nuovo” Messico di AMLO ha preso con gli Stati Uniti. Un accordo arrivato dopo un periodo di tensione in cui Trump ha più volte minacciato di imporre dazi sui prodotti esportati dallo stato messicano verso i vicini del nord - mossa che avrebbe indebolito la già fragile economia messicana - se non fosse riuscito ad arginare l’avanzata delle migliaia di centroamericani che in questi ultimi mesi si sono messi in cammino. Di fronte ad una crisi migratoria senza precedenti, con un sistema di accoglienza ormai al collasso, la soluzione adottata dal governo di AMLO è stata la militarizzazione del territorio, la caccia al migrante e la criminalizzazione degli attivisti, come successo a Cristóbal Sánchez e Irineo Mujica (attivista per i diritti dei migranti il primo e direttore della ONG Pueblo Sin Fronteras il secondo), arrestati con l’accusa di traffico di persona e successivamente rilasciati. Tale soluzione prevede di accogliere i migranti centroamericani mentre questi aspettano la risposta alla loro richiesta di asilo rivolta però agli Stati Uniti. Un piano per l’immigrazione che al suo interno prevede la garanzia all’accesso ai servizi educativi, sanitari e legali, oltre al rispetto e alla tutela dei diritti dei migranti. Ma la realtà sfortunatamente è un’altra: il clima di odio e discriminazione, già ben presente tra i cittadini messicani, è ulteriormente alimentato dalla diffusione di notizie false, mentre numerosi sono stati i casi di aggressioni da parte delle autorità messicane. Purtroppo si sono registrate anche alcune morti. Ultime, in ordine di tempo, quella del giovane padre morto insieme alla figlia di due anni nel tentativo di guadare il Rio Bravo e quella di una donna e dei suoi tre figli nello stato di Veracruz.

Una situazione, quindi, che rischia solo di portare ad un aumento degli abusi da parte delle autorità e da parte di coloro che vorrebbero trarre profitto da una situazione simile, mantenendo i migranti in una condizione di vulnerabilità e precarietà per il loro futuro. Dall’altra parte, fortunatamente, è costantemente attivo il sistema di accoglienza portato avanti dal basso dalle centinaia di attivisti e volontari che si sono mobilitati affinché queste carovane si potessero muovere in sicurezza e raggiungere il loro obiettivo. Un sistema che viene continuamente attaccato e criminalizzato, ma che il governo messicano dovrebbe imparare a coinvolgere nella stesura dei piani riguardanti l’immigrazione essendo l’unica pratica in campo che funziona. 

Rivoluzione, quarta trasformazione o continuità?

Come si evince dai temi trattati l’amministrazione López Obrador presenta molteplici aspetti di continuità con le precedenti amministrazioni. I pur lodevoli richiami del presidente a tutte le istituzioni (in particolare a Guardia Nacional, polizia ed esercito) di rispettare i diritti umani, di favorire una crescita quanto più eguale, di rispettare e di valorizzare l’indigenismo e la salvaguardia dei territori, il continuo utilizzo della retorica della “quarta trasformazione”, la vendita dell’aereo presidenziale e l’apertura al pubblico del palazzo di Los Pinos (ex residenza presidenziale), come simbolo della fine dell’era della corruzione e della depravazione, come si è visto stonano con una realtà dei fatti che sembra andare controcorrente e promuovere invece violazioni dei diritti umani, sfruttamento dell’ambiente e degli indigeni (spesso i più poveri), continuando a favorire, in due parole, estrattivismo e violenza. Quello che spaventa è anche il dopo: abbiamo visto in Italia ma anche in molte esperienze progressiste in tutto il continente latinoamericano quanto i governi cosiddetti progressisti che hanno optato per politiche moderate, non solo abbiano pagato in termini di consenso ma hanno pure favorito la crescita di una “ultradestra” fascista e molto pericolosa che, una volta preso il sopravvento, non ha nessuna remora a schiacciare con ogni mezzo, legale o illegale (vedi il caso Lula in Brasile) ogni oppositore politico. Come dice lo scrittore Pino Cacucci [8] quella di Lopez Obrador non è una rivoluzione ma il tentativo di trasformare culturalmente il paese: «AMLO è stato eletto con un processo elettorale e sappiamo benissimo che non potrà mai fare una rivoluzione, ovviamente si procederà a piccoli passi senza sfidare troppo i poteri forti». Ma qual è il senso di questa strategia? Nel mentre AMLO si adopera per trasformare culturalmente il paese, alle frontiere i migranti vengono uccisi, torturati, fatti sparire e cacciati come animali; allo stesso tempo si permette che la logica estrattivista continui a produrre macerie. Il Messico è un paese dai mille volti e dalle mille possibilità che ci ha abituato nel corso della sua storia a sorprendenti novità, dire a cosa lascerà spazio la speranza che un anno fa ha trionfato è ancora presto e sebbene con molte nubi all’orizzonte è bene concedere ancora una possibilità, con molti dubbi e una certezza: per la rivoluzione guardiamo altrove.

[1] https://www.jornada.com.mx/2019/05/21/politica/007n3pol

[2] https://www.grieta.org.mx/index.php/2019/05/16/al-menos-20-asesinatos-de-lideres-comunitarios-desde-mayo-del-ano-pasado-a-este-11-de-estos-ocurrieron-en-el-2019/

[3] https://www.proceso.com.mx/589437/entre-condiciones-precarias-policias-federales-son-forzados-a-conformar-la-guardia-nacional

[4] https://www.globalproject.info/it/mondi/ezln-una-giornata-per-la-vita-contro-la-nuova-militarizzazione-dei-territori-autonomi/22049

[5] https://piedepagina.mx/otra-asignacion-con-fracking-para-pemex/

[6] https://roarmag.org/essays/amlo-in-office-from-megaprojects-to-militarization/

[7] http://www.laizquierdadiario.mx/Lopez-Obrador-despliega-21500-militares-contra-los-migrantes-en-las-fronteras

[8] https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/26/messico-amlo-obrador-libro-pino-cacucci/42659/