«Marielle? Justicia!». La resistenza ai tempi di Bolsonaro

Monica Benicio ed Eliane Brum, dialogo tra l’attivista, compagna di Marielle Franco, e una giornalista brasiliana al Festival di Internazionale di Ferrara.

4 / 11 / 2019

Nei giorni scorsi, grazie allo scoop di Tv Globo, sono piombate nuove ombre sulla figura di Jair Bolsonaro in relazione all’assassinio di Marielle Franco, avvenuto il 14 marzo del 2018. Da tempo le indagini sono alla ricerca del mandante, ma – al di là degli aspetti giudiziari – è importante sottolineare come l’eredità di Marielle abbia risvegliato i movimenti in Brasile, e la sua compagna Monica Benicio da tempo viaggia in tutto il mondo per raccontare la sua storia e chiedere sostegno internazionale.

L’esecuzione di una consigliera democraticamente eletta ha infranto un protocollo in un Paese, il Brasile, che cerca di apparire come democratico, ma la cui politica è ancora un’esclusiva dell’uomo bianco, maschilista, razzista e misogino.

 

Nella cornice del Teatro Comunale di Ferrara, Monica Benicio commenta aspramente come il corpo di Marielle fosse vulnerabile perché donna, perché lesbica, di colore, proveniente dalle Favelas. Un corpo che in sé racchiudeva una sedimentazione di linee di sfruttamento e che per questo è diventato un simbolo di lotta e di riunificazione. È la storia di un lutto, ma, come fa notare l’attivista brasiliana, lutto e lotta condividono la stessa radice: per questo lei ha trasformato il suo dolore in azione. 

Per contestualizzare la vicenda di Marielle all’interno del percorso storico politico brasiliano, Eliane Brum prende la parola ricordando di come il suo intervento al Festival di Internazionale del 2010 riguardasse l’ascesa della classe media in Brasile, quando l’allora presidente Lula aveva il 90% dei consensi. Alla sua seconda partecipazione, nel 2016, il Brasile era già caos: Lula era in stato di impeachment,

vicino all’essere imprigionato. Oggi è il 2019, il Brasile è governato da un’estrema destra e vicino alla dittatura. Lula è in carcere.

Il Brasile, secondo questa dinamica cronologica, appare come un Paese costruttore di rovine di dimensioni continentali.

La domanda è: cosa cercano di bloccare le svolte autoritarie? Monica Benicio identifica la risposta nelle speranze rappresentate da Marielle. Nei primi anni 2000 ci sono stati forti movimenti di donne e la nascita di nuovi femminismi. Ci sono stati l’inserimento di persone di colore nelle università, quote per le minoranze, le lotte delle popolazioni indigene, specie in Amazzonia, avevano forza e rilevanza. Un elemento fondamentale da ricordare per comprendere la situazione attuale: il Brasile è un corpo, che si fonda su corpi umani, un’affermazione ripetuta più e più volte da Monica Benicio nel corso della conferenza. Più specificatamente corpi indigeni, neri, schiavi.

In quegli anni -i primi anni 2000- viene messa in discussione proprio la supremazia dell’uomo bianco, e per la prima volta questi corpi provano a entrare nella discussione, rivendicando la centralizzazione delle periferie. «Da allora però, tanti momenti intrisi di gravità hanno segnato la storia del nostro Paese», ci racconta Elaine Brum. Il più triste e drammatico degli ultimi vent’anni è stato quando Bolsonaro ha votato per l’impeachment di Dilma Roussef, facendo così in modo che la prima donna presidente del Brasile fosse allontanata dal Paese. “Ustra, ti dedico il voto contro Dilma Roussef!”, così Bolsonaro ha trasformato il momento della votazione in un’ulteriore tortura contro la presidente che veniva destituita, dedicandolo a colonnello Carlos Alberto Brillante Ustra, il responsabile della morte di almeno cinquanta persone, e delle torture inflitte ad altre centinaia di queste. «L’eroe dell’attuale presidente brasiliano», commenta Elaine Brum.

Un altro gravissimo momento, secondo la giornalista, è stato quello che ha visto la diffusione di adesivi per le automobili figuranti Dilma Roussef con gambe aperte lì dove si mette la benzina, adesivi con una forte carica di violenza misogina: l’agghiacciante immagine di una presidente stuprata dalla benzina.

Il susseguirsi di tali vicende ha messo in moto un meccanismo che ha portato al confinare la morte di Marielle Franco in un alone di mistero, e queste indagini irrisolte sono l’esempio perfetto di come funziona la giustizia brasiliana. Commenta Monica Benicio: «Il Brasile dice quali corpi possono vivere e quali devono morire. La popolazione carceraria del Brasile è povera e di colore. Quello di Marielle è stato sicuramente un omicidio politico, ma lei era anche una donna, una donna di colore. Se fosse stata uomo bianco, sarebbe successo lo stesso?».

In questo omicidio politico, il mandante sapeva di restare impunito. Chi ha ucciso Marielle ha pensato: “non succede niente, è solo il corpo di Marielle e viene ucciso continuamente”. Con la compartecipazione dello Stato e della milizia. Elaine Brum inserisce la morte di Marielle Franco in un contesto più ampio, riassumendolo così: «la memoria breve del Brasile è un progetto di potere».

La preoccupazione sorge dal fatto che la mobilitazione sociale dimentichi Marielle e la sua eredità, considerando che per il momento il Brasile sta trasmettendo l’idea che un fatto simile possa ancora passare giuridicamente inosservato, rimanendo nella totale impunità, quando il messaggio che dovrebbe passare è che il Paese non accetti la “barbarie” e si metta lotta per la democrazia.

La giornalista afferma: «Credo che la morte di Marielle, come simbolo di tante morti, sia legata alla nostra dis-memoria. Una costante in Brasile, che ha vissuto nel periodo che va dal 1964 al 1985  una dittatura militare, e la cui transizione verso la democrazia non ha giudicato e punito omicidi e torture compiuti dal governo militare. Si è ottenuta così una democrazia con anima deforme e deformata». «La Commissione Nazionale per la Verità» continua Elaine Brum «è stato un piccolissimo passo per fare giustizia, ed ha turbato il sonno dei generali al punto da mettere in gioco lo stesso Bolsonaro, che per inciso è stato un pessimo capitano dell’esercito solo poi addentratosi in politica: nell’affermare che non c’è stata alcuna dittatura Bolsonaro mette in pratica un momento di riscrittura della storia. Dunque, fare resistenza significa anche mantenere viva la memoria».

Una parentesi sul ruolo della stampa in Brasile: così come non c’è un unico Brasile, non c’è un unico organo di stampa. La giornalista e l’attivista ci raccontano che nelle manifestazioni del luglio del 2013 i giornalisti sono stati fisicamente allontanati dai centinaia di migliaia di manifestanti, erano costretti a documentare lo svolgimento delle manifestazioni letteralmente dall’alto degli edifici perché non riuscivano a entrare nelle piazze, un sintomo del fatto che quando la folla diceva che i partiti non rappresentavano il popolo, voleva implicitamente dire che non si sentiva rappresentata nemmeno dalla stampa stessa.

Successivamente, la crisi mondiale della stampa ha comportato una crisi di credibilità della stampa brasiliana, la stessa che ha iniziato a classificare i manifestanti del 2013 come vandali, inserendoli in uno schema di criminalizzazione. Nel 2014, durante i mondiali di calcio, questo schema si ripete mentre in cui le persone protestano in piazza contro le grandi opere, in particolare contro la costruzione degli stadi. Negli anni successivi la stampa si mostra invece piuttosto tollerante nel raccontare fatti di corruzione, ed è così che in qualche modo asseconda l’impeachment di Dilma Roussef.                                                                                                                                    

Al momento attuale, sembra che la stampa stia facendo giornalismo come non faceva da molto tempo: da una parte ci sono le élite che aspettano la riforma della previdenza e tacciono di fronte alle assurdità di Bolsonaro, dall’altra il giornalismo che ricomincia a svolgere il proprio ruolo ed è questo il motivo per cui Bolsonaro lo attacca, accusandolo di diffondere fake news, come accaduto nel suo video di risposta a Tv Globo.

L’impunito omicidio di Marielle Franco è un richiamo alla resistenza, perché la somma di tutti i fattori sopracitati e di molti altri fa si che il viaggio intorno al mondo di Monica Benicio non sia unicamente una crociata informativa, ma una richiesta di solidarietà, di partecipazione, di nuove speranze.

L’incontro termina con un grido, un vero e proprio urlo che scuote il Teatro Comunale: «Marielle? Justicia!».