London jacquerie

10 / 8 / 2011

Sono quasi quattrocento anni che una rivolta di queste dimensioni non si verifica a Londra. Quest’inverno, durante le manifestazioni degli studenti inglesi, la stampa internazionale aveva parlato di ‘riots’, di subbugli, di insurrezione. Un tipico caso di esagerazione giornalistica. Stavolta no.

Ma stavolta è diverso.

Le riots di questi giorni, iniziate sabato 7 agosto durante una manifestazione di protesta per l’uccisione di un giovane da parte della polizia, hanno un tono che ricorda più le banlieues parigine che la guerriglia urbana dei black bloc. Da tre giorni la capitale Britannica è attraversata da un’ondata di jacquerie semi-fantascientifiche, in cui i moti di folla da ancien regime si incontrano con i messaggi istantanei lanciati dai BlakBerries.

E così le riots si spandono nel nord e nel sud della città, come un’epidemia o una festa. Hackney, Seven Sisters, Camden, Peckham, Woolwich, Brixton, Ealing, Catford, Croydon perfino Notting Hill. E poi anche fuori da Londra, a Birmingham, Leeds, Bristol e Liverpool. E non è ancora finita.

Ma chi sono queste migliaia di riottosi, intenti da giorni a incendiare palazzi, saccheggiare negozi e combattere la polizia? Ieri notte, nel quartiere di Peckham, al sud est della città, la risposta sembrava lampante. Sono giovani e vecchi, uomini e donne, bianchi e neri. Un segmento della popolazione veramente trasversale. Anni luce dalle manifestazioni degli studenti, in maggioranza bianca e middle class. La middle class, questa volta, se ne sta a casa, barricata dietro le finestre. 

Dei rivoltosi di questi giorni, se si vuole racchiuderli in un’unica definizione, si può dire una cosa soltanto: sono poveri. Vivono nei council estates, tragici casermoni di edilizia (im)popolare, nelle zone con il più alto tasso di povertà infantile (Croydon), contagio di AIDS (Peckham) e disoccupazione giovanile del paese. Nonché con il più alto tasso Europeo di famiglie di ragazze madri.Ieri notte, intere famiglie sono scese per strada. I ragazzi, incappucciati, hanno bombardato con sassi e molotov la polizia, hanno scassinato gioiellerie, negozi di scommesse, filiali di prestiti di cash istantaneo, supermercati, catene di negozi di vestiti o di fast food. I ragazzi spaccavano le vetrine, la folla urlava, e, a centinaia, giovani e vecchi, donne e uomini, si lanciavano a saccheggiare quanto più possibile. La gente vuole la roba. La vuole e basta. Come se non ci fosse altro modo per averla. O forse perché non c’è altro modo.

La polizia per strada è poca, sta nascosta dietro gli scudi e cerca di fare il minimo indispensabile per mantenere la calma. Di fronte a folle ben più agguerrite dei famigerati ‘anarchici’ dei moti studenteschi, i celerini giocano di ripiego, sotto una grandine di fuochi di artificio, bastoni, mattoni e quant’altro. Così facendo, per fortuna, in quartieri dove il ‘gun crime’ è alle stelle non si ancora è visto sparare un solo colpo di pistola. Per ora.

Nel frattempo, nei telegiornali, politici di destra e di sinistra si affannano a condannare i disordini. Il leader della cosiddetta opposizione, Ed Milliband, invoca una risposta massiccia della polizia. Tutti convengono: quello che sta succedendo in Inghilterra è una questione di crimine generalizzato, non di politica. Strano, dal momento che la coincidenza tra queste rivolte e i tagli alla spesa sociale decisi dal governo conservato è quantomeno sospetta. Ancora più sospetta, se osserviamo come le principali rivolte degli ultimi trent’anni (1981, 1985-1986, 1991, 2011) sono tutte avvenute, immancabilmente, quando il governo è stato in mano ai Conservatives e le loro politiche hanno tagliato con brutalità ogni forma di Welfare e di redistribuzione.E in tutto questo, la città resta col fiato sospeso. 

I negozianti barricano le porte e si raggruppano in squadre, armati di mazze da baseball e di spranghe. I ragazzi incappucciati appaiono e scompaiono a drappelli nelle zone più disparate della capitale. La polizia minaccia di usare le armi. Le famiglie fanno capolino dentro i negozi devastati e arraffano le ultime cose rimaste sugli scaffali. La middle class condanna con voce ferma. La working class (e la ‘unemployed class’, ben più numerosa), come al solito, non dice niente. Perché la classi più povere, da che mondo è mondo, non dicono mai niente. E quando parlano, lo fanno con voce sguaiata, spaventosa. Come diceva un acuto osservatore, negli anni ’60, ‘a riot is the language of the unheard’. Peccato che oggi, nel panorama politico Britannico, manchi un Martin Luther King in grado di capirlo. E di dirlo.

9 Agosto 2011, London