L’India sta subendo un’orrenda crisi dovuta al Covid. La colpa è di Modi

14 / 5 / 2021

Un articolo di R. B. Moore, tratto da Jacobin e tradotto in italiano da Marco Miotto per globalproject.info, in cui si spiega come il risultato dell’orribile crisi da Covid-19 in India è dovuto non solo alla criminale accumulazione dei vaccini e della loro proprietà intellettuale da parte di paesi ricchi – è dovuta anche al governo di estrema destra di Narendra Modi, che ha reso prioritari i profitti privati a discapito della salute pubblica. 

Il primo ministro dell’India Narendra Modi è, se non altro, uno showman. Il suo culto della personalità e lo stile di governo del Bharatiya Janata Party (BJP), il suo partito di estrema destra, mettono in evidenza lo spettacolo e la gestione dell’immagine. Per molti anni sembrava che, indipendentemente da che tipo di controversia lui creasse o da quanto mediocre fosse il suo partito, Modi potesse uscirne ed emergere più popolare che mai. Così è stato sin dai suoi primi giorni in politica nazionale, eludendo la nomea di “macellaio del Gujarat” (dovuto alla sua supposta complicità nelle rivolte contro i musulmani nel 2002) e cambiando immagine mostrandosi come un campione dello sviluppo economico con l’aiuto di una lobby Statunitense.

Più recentemente, durante i primi tempi del lockdown dovuto al coronavirus, Modi ha introdotto una nuova immagine: il savio induista, dalla lunga lunga barba, diventato capo. Ma ora l’India, e il mondo intero, vedono altre immagini e sentono altre storie che stanno soffocando la meticolosa cura dell’immagine di Modi: le città che devono costruire crematori improvvisati nei parchi e nei lotti di terreno vuoti per gestire un acuto incremento di morti dovute al Covid; le immense carenze di equipaggiamento sanitario essenziale, in particolare di ossigeno; le folle inferocite fuori dei centri vaccinali, dove le dosi scarseggiano; le innumerevoli storie, sui social media, sui telegiornali e riferite di persona, di sofferenza indicibile e morte.

Come si è arrivati a questo punto? È preoccupante leggere le riflessioni iniziali sulla pandemia di Mike Davis del marzo 2020. Lui constatava che, durante la pandemia [di influenza spagnola ndt] del 1918 – 19, il 60% di tutte le morti mondiali si verificavano in India, allora sotto il dominio coloniale britannico. “Questa storicità – specialmente le conseguenze sconosciute delle correlazioni tra malnutrizione e patologie esistenti – dovrebbe mettere in guardia che il COVID – 19 potrebbe avere un decorso più letale nei quartieri poveri densamente popolati e malati dell’Africa e dell’Asia Meridionale”.

Non doveva essere così. Quando l’India ha raggiunto l’indipendenza nel 1947, i leader nazionalisti puntavano all’appena creato National Heatlh Service (servizio sanitario nazionale) britannico come modello, un “obiettivo concreto il cui raggiungimento, al più presto possibile, è vitale per il progresso della nazione”. Tuttavia, nemmeno all’apice del socialismo Nehruviano post-indipendenza (una denominazione alquanto impropria data la forza del capitale privato durante questo periodo), il dominante Congress Party non è riuscito a costruire un sistema sanitario universale.

“Anche se il governo di Modi avesse voluto affrontare la crisi dovuta al COVID con previdenza e cura, esso sarebbe stato severamente limitato dallo stato in cui versano le infrastrutture della sanità pubblica”.

A partire dagli anni '80, con la svolta neoliberista, questo modello è stato abbandonato interamente dal momento che il settore pubblico si è sempre più ritirato dalle sue responsabilità come fornitore della sanità. In anni più recenti la spesa pubblica dell’India sulla sanità è stata terribilmente bassa, circa l’1% del PIL, se paragonata alla spesa pubblica delle nazioni vicine.

Da quando è salito al potere nel 2014 il governo Modi ha solo accentuato questi trend. Anche se il governo avesse voluto affrontare la crisi da Covid con previdenza e cura, esso sarebbe stato severamente limitato dallo stato in cui versano le infrastrutture della sanità pubblica. Forse sapendo quanto vulnerabile fosse il paese, nei primi tempi Modi sembrava prendere seriamente la pandemia, specialmente se confrontato ai colleghi nazionalisti di estrema destra Donald Trump e Jair Bolsonaro.

Mentre queste figure fingevano che la pandemia non esistesse, Modi implementava uno dei lockdown più severi al mondo. Questa risposta precoce e proattiva era ancora marcata dalla preferenza di Modi per la teatralità a discapito della pianificazione dettagliata. Aveva dato un preavviso di sole quattro ore prima di implementare il lockdown e circa 120 milioni di lavoratori migranti si sono improvvisamente trovati senza lavoro e distati dai loro villaggi. Modi ha messo in piedi ben poche protezioni per la classe lavorativa estremamente mobile ed estremamente precaria. I lavoratori migranti che cercavano di tornare ai loro villaggi – spesso camminando per centinaia di miglia – si sono trovati ad essere bersagli della la violenza della polizia e dell’apatia dello stato.

Oltre all’inutile sofferenza umana che ha provocato, il lockdown non ha nemmeno adempiuto la sua mansione di salute pubblica. Gli esperti di salute pubblica, al tempo hanno notato che, mentre il lockdown aveva avuto successo nel temporaneamente rallentare il diffondersi del virus, “il lockdown di per sé era diventato la soluzione al problema invece di fungere da arco temporale in cui i servizi di sanità pubblica si potevano rafforzare.” Modi ha incominciato a credere alla sua stessa propaganda mentre il numero dei contagi diminuiva durante i primi mesi di quest’anno; le dichiarazioni sue e del suo governo diventavano sempre più trumpiane. Nel frattempo il governo ha fatto poco per preparare il paese a una potenziale seconda ondata del virus, persino quando le informazioni sulle mutazioni virali erano apparse fin dall’ottobre 2020.

Questa fiducia mal riposta è continuata anche ben dopo che la seconda ondata ha colpito. Il ministro della sanità del BJP ha dichiarato in un tweet del 7 marzo che il paese era nella “fase finale” del Covid e il 17 aprile, durante un comizio, Modi ha esclamato di non avere mai visto una folla così grande di gente. I suoi commenti trumpiani evidenziano le vere priorità del governo: quando avrebbe dovuto focalizzarsi sull’imminente emergenza della sanità pubblica, il governo stava versando tutte le proprie energie sulle elezioni nel Bengala Occidentale, uno stato in cui il BJP non ha mai mantenuto il potere, ma dove la sua agenda induista nazionalista sta rapidamente prendendo piede.

“I suoi commenti trumpiani evidenziano le vere priorità del governo: quando avrebbe dovuto focalizzarsi sull’imminente emergenza della sanità pubblica, il governo stava versando tutte le proprie energie sulle elezioni nel Bengala Occidentale.”

La stessa agenda era evidente nella decisione del governo di alcune settimane fa  di permettere un enorme pellegrinaggio induista chiamato Kumbh Mela. Ben presto è diventato un evento “super-spreader” (evento dove i contagi aumentano esponenzialmente a causa della quantità di gente presente a tale evento, ndt) ma – date le tendenze ideologiche del regime – non è stato esposto alla reazione negativa violenta e stigmatizzante subita dal gruppo islamico Tablighi Jamaat, che aveva organizzato un evento all’inizio della pandemia. Come in tanti altri paesi la pandemia non ha fatto altro che aggravare le spaccature della società e, in India, questi scismi si sono aperti sul fronte religioso, di genere e di casta.

Ma la seconda ondata è ora impossibile da ignorare e il governo Modi ha incominciato a fare ciò che fa meglio: tentare di deviare la colpa e mettere a tacere forzatamente chi lo critica. Di recente il governo centrale ha richiesto a Twitter di eliminare molti tweet che criticavano la gestione della pandemia e, mercoledì (24/04/2021) Facebook ha temporaneamente bloccato un hashtag che chiedeva le dimissioni di Modi.

Molto inquietante è stata la richiesta di Yogi Adityanath, il primo ministro dello stato dell’Uttar Pradesh, falco del BJP, diretta alle autorità di confiscare le proprietà di coloro che “spargono le dicerie” (leggi: dicono la verità) sulle carenze di ossigeno nello stato. Allo stesso tempo il governo ha liberalizzato la politica sui prezzi dei vaccini, consentendo ai produttori di vaccini di imporre pezzi più alti ai governi degli stati e alle cliniche private e quindi di ammassare i profitti richiesti e, allo stesso tempo, rendere il vaccino proibitivo per la maggior parte della classe lavorativa.

Certo, il disastro in India non può essere attribuito totalmente al BJP. L’ordine mondiale attuale, segnato dal nazionalismo vaccinale e dall’apartheid vaccinale, è anch’esso implicato. Mentre i casi aumentavano in India, gli Stati Uniti si sono rifiutati di revocare il divieto di esportazione delle materie prime necessarie a produrre i vaccini; hanno invertito la rotta solo di recente e sotto pressione significativa. Gli Stati Uniti e altre nazioni continuano a ostacolare le richieste dell’India e del Sud Africa che l’OMS sospenda i brevetti e le restrizioni sulla proprietà intellettuale sui vaccini Covid.

Nonostante questa negligenza nazionale ed internazionale, la gente comune, i gruppi di attivisti e svariate organizzazioni di società civile in India si sono affrettate a colmare il vuoto, organizzando una vasta gamma di mutuo aiuto formale ed informale. Per esempio, mentre il governo Modi continua a demonizzare le proteste dei contadini, i cui manifestanti si sono accampati ai limiti della città di Delhi (in risposta alle leggi neoliberiste forzate nella legislatura durante il primo periodo della pandemia), i gruppi di contadini hanno offerto di usare gli accampamenti per prestare aiuto ai lavoratori migranti affaticati da una seconda tornata di lockdown.

Tali iniziative mettono in luce un senso di solidarietà e di decenza umana di base che è vistosamente carente nell’orrenda risposta governativa al Covid. La rabbia crescente verso i “crimini contro l’umanità” perpetrati dal governo si mischia a un senso di lutto per l’enorme tributo umano dovuto alla crisi. Come ha scritto la poetessa Meena Kandasamy qualche giorno fa: “Piangiamo i morti, piangiamo la nostra indifferenza. Piangiamo per l’orgoglio perduto che ci fa dire ogni giorno, il mio paese è l’India, a cui aggiungiamo sommessamente, il mio paese è un forno crematorio.”